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Uno sguardo alla recente sentenza emessa dal Tribunale di Bolzano in materia di dentenzione di software
Con la sentenza n. 145 del 31.3.2005, il Tribunale di Bolzano ha affrontato il problema, a lungo dibattuto in dottrina e giurisprudenza, che concerne il reato di cui all’art. 171 bis della legge 22.4.1941, n. 633, in materia di detenzione di software su supporto non originale o senza possesso di licenza. In virtù della legge n. 248 del 18.8.2000, che ha modificato la precedente legge sul diritto d’autore, è stata avvertita l’esigenza di garantire una particolare tutela in capo alle “software house” in tema di duplicazione abusiva di programmi per elaboratore. Da una lettura attenta della nuova disposizione riguardante l’art. 171 bis, possiamo notare che la principale novità consiste nella volontà del legislatore di cambiare l’originario termine “fine di lucro” in un più ampio “fine di profitto”. La scelta infelice di tale termine induce a far rientrare nell’alveo del “profitto” tutte quelle utilità, anche di natura non patrimoniale, che possano ad ogni modo procurare dei benefici all’utilizzatore di tale software ed a prescindere dall’uso che se ne possa fare. La soglia di punibilità è stata innalzata per colpire il vantaggio che deriva dal mancato pagamento dei diritti d’autore. Tuttavia occorre ricordare che la duplicazione può essere punita solo se finalizzata alla futura commercializzazione di tale programma privo della necessaria licenza. Occorre tener presente, infatti, la differenza tra la detenzione di software duplicati a fini commerciali da quella a fini domestici o lavorativi.
Sebbene il legislatore abbia stabilito che tale articolo vada applicato quando tali duplicazioni illecite vengano perpetrate in ambito imprenditoriale, cioè da professionisti per fini inerenti alla propria attività economica, a mio avviso, si ignora anche di specificare che il semplice uso privato non comporta alcun tipo di responsabilità penale, ma solo una sanzione amministrativa (art. 16 della L. 248/2000, poi abrogato dal d.lgs. 68/2003 ed inserito nell’art. 174 ter nella legge sul diritto d’autore). In ogni caso, occorre riferire che l’attuale quadro normativo, tanto dibattuto in dottrina a causa di una normativa altalenante, rimane poco chiaro e la presente sentenza non contribuisce del tutto ad indicare un preciso percorso di lettura. Infatti, quello che emerge da questa sentenza è soprattutto la mancanza della prova della detenzione illegittima di software duplicati, oltre che del dolo specifico richiesto e del necessario scopo imprenditoriale. Nel caso di specie, infatti, la Guardia di Finanza ha provveduto ad un sommario controllo, limitandosi a segnalare solo la mancanza del numero di registrazione, del supporto originale, del manuale ovvero che alcuni di questi software erano installati su più computer, mancando in ogni caso qualsiasi prova dello scopo commerciale o imprenditoriale illecito dell’utilizzatore.
La prova dell’acquisizione illecita di tali software non è desumibile, perciò, dalla sola mancanza del supporto originale, potendo questo essere stato legittimamente venduto all’utente e poi, per altre cause, essere andato distrutto o perso, conservando tuttavia l’acquirente il diritto di farne una copia, come tale considerata valida dalla legge. Ricordiamo, inoltre, che il D.Lgs. n. 68/2003, all’art. 71 sexies, consente la riproduzione di una copia di scorta del programma per uso privato.
Continua l’articolo 171-bis punendo, purché preordinate al fine di profitto, l’importazione, la distribuzione, la vendita, la detenzione a scopo commerciale o imprenditoriale o la concessione in locazione di programmi contenuti in supporti non contrassegnati dal marchio SIAE. Il novellato art. 171 bis, infatti, punisce la sola mancanza del contrassegno SIAE sul supporto relativo ad un determinato programma, non considerando tuttavia che il successivo art. 181 bis prevede la possibilità che tale contrassegno possa anche non essere apposto (potendosi in questi casi provare la legittimità del programma grazie ad apposite dichiarazioni identificative rese alla SIAE).
Venendo meno poi l’obbligo di registrazione presso la software house (che è solo facoltativo) e di conservazione dei documenti di acquisto, ci potremmo trovare di fronte ad una probatio diabolica di una tale illiceità. Infatti, come è stato giustamente argomentato, risulterebbe molto difficile risalire alla fonte del programma, a chi à stato venduto originariamente ed ottenere al prova dell’acquisizione illecita. Da ciò è scaturita, infatti, l’applicazione dell’art. 129 c.p.p., circa l’obbligo di immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità.
A favore di una pronucia di non punibilità, in quanto non considerato reato penalmente perseguibile, giova ricordare l’articolo 1, comma 7, del tanto discusso Decreto – legge 14 marzo 2005, che porterebbe a ricondurre questa fattispecie verso un illecito amministrativo affermando che: “Salvo che il fatto non costituisca reato, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria fino a 10.000 euro l’acquisto o l’accettazione, senza averne accertata la legittima provenienza, a qualsiasi titolo, di cose che (…) inducono a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà intellettuale”.
Ciò detto, sembra evidente la piena rispondenza ai principi di legge della sentenza emessa dal Tribunale di Bolzano, in quanto non solo l’acquisto, ma anche la semplice accettazione di programmi per elaboratore, dei quali non venga accertata la legittima provenienza o la loro conformità alla legge italiana, potrà essere soggetta alla sola sanzione amministrativa pecuniaria.
Rispetto al Decreto Urbani, inoltre, sembra quasi che il Governo voglia fare un passo indietro, restringendo il campo di applicazione dell’art. 171 ter a fronte di un inasprimento delle sanzioni amministrative pecuniarie: infatti il disegno di legge n. 3276-bis (recentemente approvato in Senato) vorrebbe apportare delle modifiche al su indicato articolo, sostituendo alle parole “per trarne profitto” quelle “a fini di lucro”. Si ritornerebbe, cioè, a colpire penalmente la sola condotta effettuata a “fini di lucro”, residuando la sola ipotesi più generale del “fine di profitto” a mera sanzione amministrativa. Così facendo, però, se da un lato verranno alleggerite e limitate le ipotesi di reato penalmente perseguibile, dall’altro si andrà incontro a pesanti sanzioni pecuniarie per chi dovesse macchiarsi di tale illecito.
Per concludere, questa sentenza è forse una manifestazione di quel comune sentire che non considera l’utilizzo di copie di programmi per elaboratore come comportamenti in grado di suscitare un elevato allarme sociale, tale da essere sanzionato penalmente. E’ infatti assurdo sanzionare penalmente un cittadino per il solo fatto di detenere copie di programmi per elaboratore (fra l’altro a fronte di una inadeguata attività di indagine che non consenta di poter risalire con certezza alla loro esatta provenienza), equiparandolo a chi, di questa attività, ne fa commercio ai fini illeciti.

Autore: Graziano Garrisi


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