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I concetti di soft law e di lex mercatoria nel diritto del commercio internazionale

Dare una definizione unitaria e esaustiva di “soft law” è molto difficile, considerando la moltitudine di fenomeni che è possibile ricondurre a questo concetto. In un’accezione molto generale, possiamo dire che il termine in questione si riferisce a tutti quei fenomeni di autoregolamentazione diversi dai tradizionali strumenti normativi che sono  frutto di un processo formale di produzione legislativa ad opera di organi investiti della relativa funzione (cd. “hard law”), e la cui caratteristica essenziale è data dal fatto di essere privi di efficacia vincolante diretta. Gli autori che hanno affrontato il tema utilizzano infatti l’aggettivo “soft” proprio per sottolineare questa natura non vincolante, oltre che il carattere informale di tali strumenti, che nonostante ciò oggi ricoprono un ruolo assai rilevante, integrando le tradizionali fonti di produzione legislativa.
La Soft law, pertanto, ricomprende un’ampia gamma di attività che vanno dagli atti e codici di autoregolamentazione di singole imprese, ai codici di associazioni professionali e di categoria (es. codici deontologici), alle raccolte di principi e regole spontaneamente sorte od effettuate da determinati organismi allo scopo di introdurre discipline uniformi in determinati ambiti (es. Lex mercatoria e Principi Unidroit).
Il termine “soft law” è tipico del diritto internazionale, nel cui contesto sorge a partire dagli anni ‘70, anche se è solo negli anni ottanta che trova ampia affermazione, sviluppandosi come una sorta di fonte alternativa rispetto ai trattati internazionali, utilizzata quando per motivi che possono essere i più vari non è possibile ricorrere a questi ultimi (1).
In questa particolare accezione, il concetto di soft law trova oggi numerosi oppositori tra gli studiosi di diritto internazionale, i quali sottolineano come tali strumenti, essendo rimessi totalmente alla volontà delle parti, e non essendo soggetti né alle regole della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati, né al fondamentale principio di diritto internazionale “pacta sunt servanda”, sarebbero circondati da minori garanzie rispetto alle fonti classiche di diritto internazionale pubblico: da qui l’esigenza di porvi un freno (2).
Anche a livello comunitario esistono esempi di fonti di soft law che costantemente influenzano la vita degli Stati membri: basti pensare alle raccomandazioni, le quali sebbene costituiscano atti ufficiali dell’UE, non hanno carattere vincolante, rappresentando provvedimenti (la cui inosservanza non comporta alcuna sanzione) i quali mirano ad ottenere unicamente che il destinatario (sia esso una Istituzione comunitaria, uno Stato od un soggetto di diritto interno), tenga un certo comportamento, in maniera tale da raggiungere determinati risultati desiderabili. Di fatto però, le raccomandazioni influenzano il comportamento dei soggetti giuridici ai quali sono destinate, producendo effetti giuridici nei loro confronti, sia pur dotati di minor grado di intensità ed efficacia rispetto altri atti a carattere vincolante, quali ad esempio i Regolamenti e le Direttive. Anche con riguardo a quest’ultimo tipo di atti, tuttavia, si riscontra, negli ultimi tempi, ad una tendenza al rinvio a meccanismi e procedure “informali” per la trasposizione dei propri contenuti negli ordinamenti nazionali. Possiamo citare ad esempio la Direttiva sulle vendite a distanza (n. 7/1997), la quale all’articolo 11.4 afferma:
“Member States may provide for voluntary supervision by self-regulatory bodies of compliance with the provisions of this Directive and recourse to such bodies for the settlement of disputes to be added to the means which Member States must provide to ensure compliance with the provisions of this Directive (3).
La Direttiva in questione in sostanza, autorizza gli Stati membri a ricorrere a “self-regulatory bodies” (organismi autonomi), i quali si occupino della vigilanza del rispetto delle sue disposizioni, nonchè della composizione di eventuali controversie insorte riguardo la loro applicazione, organismi che, nel caso specifico in questione, non si sostituiscono, ma si aggiungono ai mezzi tradizionali con cui viene assicurata, all’interno degli Stati membri, la recezione dei contenuti delle direttive (4).
In una accezione più ampia, il termine “soft law”ricomprende invece diversi fenomeni normativi che pur avendo efficacia paragonabile alle leggi in senso formale, poiché in grado di incidere sulla volontà e la libertà dei loro destinatari (restringendola), non determinano l’insorgenza di una vera e propria obbligazione giuridica, bensì di una “soft obligation”, ossia di un’obbligazione priva di una sua vincolatività sul piano giuridico.
Le ragioni dell’uso di questa tecnica legislativa sono riconducibili alle esigenze di adottare strumenti normativi dotati di maggiore flessibilità e come tali in grado di essere adattati più rapidamente alla continua evoluzione alla quale sono soggetti certi settori (è il caso del diritto commerciale internazionale) o di rendere possibile, in alcuni ambiti, il recepimento, all’interno di uno o più ordinamenti, di best practices varate dagli organismi internazionali. Si può pensare ad esempio al settore finanziario: tale materia infatti, nella gran parte degli ordinamenti nazionali è oggetto di un sistema complesso di regole in cui, in genere, la legge in senso formale contiene solo i principi fondamentali che presiedono alla gestione delle relative attività, mentre la definizione in dettaglio della regolamentazione viene spesso affidata alle autorità di vigilanza preposte al settore. Queste ultime non fanno altro che immettere nell’ordinamento regolazioni di soft law, e non è infrequente che le scelte regolamentari effettuate in quelle sedi vengano successivamente recepite da atti normativi di organismi internazionali o sovranazionali, come più volte è avvenuto, proprio nel settore in questione, con le direttive dell’Unione europea, che hanno trasformato, attraverso il procedimento legislativo comunitario, regolazioni di soft law in atti vincolanti (5).
Nel quadro della “soft law” viene collocata anche la cd. “lex mercatoria”, la quale può essere generalmente definita come quel corpo autonomo di regole, aventi diversa origine e contenuto, create dalla comunità dei commercianti per servire i bisogni del commercio internazionale. Tale corpo di regole del commercio internazionale, che emerge prevalentemente dalla prassi (specialmente dalle decisioni di alcune importanti camere internazionali di arbitrato), ha una natura estremamente controversa, al punto che alcuni ne negano addirittura l’esistenza. Nonostante i numerosi contributi accademici, la nozione rimane infatti ancora sconosciuta a numerose comunità d’affari e giuridiche.
L’origine della lex mercatoria è assai antica: essa nasce nel basso Medio Evo come corpo di regole e principi a carattere transnazionale relativi alle transazioni mercantili, sviluppate dai commercianti allo scopo di regolare i loro rapporti d'affari ed applicata alle dispute internazionali dai tribunali dei principali centri dove si concentravano i traffici commerciali in Europa. La lex mercatoria nasce essenzialmente per superare una situazione di vuoto normativo: di fronte all’incapacità, da parte delle leggi nazionali dei Stati cui le parti di un contratto internazionale appartenevano, a regolare i loro rapporti a carattere transnazionale, una borghesia commerciale assai ricca diede spontaneamente vita ad un  insieme di principi generali e di regole consuetudinarie non scritte applicabili alle transazioni mercantili, i quali erano destinati a regolare i loro rapporti d'affari a carattere transnazionale, evitando l’applicazione dei diritti nazionali, costituendo per l’appunto un’alternativa agli stessi.
Questo fenomeno fu dunque il risultato dello sforzo, compiuto dalla comunità commerciale medievale, di superare la frammentazione dei diritti e le regole obsolete contenute in leggi feudali che non rispondevano alle esigenze dei traffici internazionali. Per quasi 800 anni, questo corpus di regole uniformi di legge è stato applicato dai commercianti di tutta l’Europa occidentale. In seguito, con la nascita dei nazionalismi e delle codificazioni del 19° secolo, si affermò la supremazia della legge statuale come fonte di regolazione del commercio e delle dispute. La lex mercatoria venne così assorbita nelle leggi nazionali di ciascun Paese, mescolandosi con esse e perdendo quel carattere di uniformità che la aveva caratterizzata in origine. Gli Stati presero dunque il controllo sui commerci internazionali e iniziò a sorgere un corpo di norme di diritto internazionale privato che si occupava della regolamentazione sia delle relazioni economiche che delle dispute transnazionali.
Ma la complessità del diritto internazionale privato ed il processo di rapida obsolescenza delle leggi nazionali non sempre riuscivano a soddisfare le esigenze di semplicità e chiarezza richieste dalla comunità d’affari. Gli stati divennero quindi presto consapevoli dell’esigenza di dare vita ad alcune convenzioni internazionali e leggi-modello capaci di armonizzare le regolamentazioni delle transazioni internazionali od alcuni aspetti giuridici sostanziali delle stesse.
Fino ad oggi numerose sono state le convenzioni e le leggi modello adottate, nei settori più diversi, quali l’arbitrato, il factoring, il leasing, le lettere di credito o la vendita (si pensi a quest’ultimo proposito, alla Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale - CISG). Ma il lungo e difficoltoso processo di negoziazione e di adozione di tali Convenzioni, unito alle differenze economiche, sociali e giuridiche tra i vari stati che ne prendono ogni volta parte ed alla necessità di provvedere alla loro ratifica negli ordinamenti degli Stati che le hanno sottoscritte, non consentono alle stesse di entrare in vigore in tempi brevi. Il processo di ratifica delle convenzioni all’interno degli ordinamenti degli Stati membri, inoltre determina spesso il rischio che vi siano interpretazioni divergenti riguardo i loro contenuti all’interno degli Stati stessi. Se poi aggiungiamo che le Convenzioni costituiscono un modello rigido di regolamentazione, in quanto non si prestano facilmente ad essere riviste e modificate per essere adattate all’evoluzione del commercio internazionale, si comprende quale possa essere la rilevanza di fenomeni per cosi dire “extralegislativi” o “paralegislativi” di unificazione del diritto, quali appunto la lex mercatoria od i principi Unidroit.
La supremazia della legge nazionale nelle relazioni economiche internazionali determinata dai nazionalismi e delle codificazioni di cui abbiamo accennato sopra, cominciò ad essere messa in discussione da alcuni studiosi nei primi anni ‘60 del 1900. Quegli stessi studiosi riscontrarono inoltre un fenomeno sorprendente: la rinascita della lex mercatoria. Proprio come era avvenuto durante il Medio Evo, i commercianti stavano nuovamente adottando delle soluzioni alternative per evitare l’applicazione della leggi nazionali alle loro transazioni: per mezzo di clausole standard, contratti “self-regulatory” (cioè particolarmente dettagliati, in modo da contenere una disciplina autonoma dei loro rapporti transnazionali), il ricorso agli usi commerciali e specialmente all’arbitrato commerciale internazionale, i commercianti stavano ricreando un nuovo quadro regolamentare, alternativo a quello definito dalle leggi nazionali, fenomeno che viene oggi definito “nuova” lex mercatoria (6).
Concludiamo questa esposizione con i Principi Unidroit, frutto dell’attività dell’Istituto Internazionale per l’Unificazione del Diritto Privato (organo composto da giuristi di diversa provenienza) conclusasi, con la loro pubblicazione nel 1994, anche questi comunemente ricompresi nell’ambito della “soft law” (7).
I motivi del ricorso ai principi Unidroit sono gli stessi del ricorso alla lex mercatoria: ciascuna parte contraente di un contratto internazionale è in genere riluttante ad accettare che a quest’ultimo si applichi il sistema giuridico dell’altra parte, a causa delle (a volte) profonde differenze della disciplina interna dei contratti o della confusione determinata dalla differente interpretazione esistente in ordinamenti diversi di uno stesso termine o clausola contrattuale. Inoltre, in molti contratti internazionali accade che di fatto una sola delle parti contraenti venga favorita (di solito quella dotata di maggiore potere contrattuale), con conseguente danno per l’altra.
Lo scopo principale dei principi UNIDROIT è proprio quello di ridurre molte di queste incertezze che nascono tra i contraenti di un contratto internazionale, attraverso l’adozione di una disciplina equilibrata, nel cui contesto andrà incasellato il contratto, la quale ponga le parti contraenti su un piano di parità.
I principi Unidroit, i quali sono applicabili a condizione che vengano richiamati dai contraenti nell’ambito del contratto internazionale, sono operativi purchè le parti abbiano accettato di vincolarsi ad essi (8).  

Bibliografia:
1- M. Bini, “Gli atti non previsti dal Trattato nel sistema delle fonti di diritto dell’Unione Europea”
2- H. Hillgenberg, “A fresh look at soft law”, EJIL, 1999
3- “Gli Stati membri possono prevedere che il controllo volontario del rispetto delle disposizioni della presente direttiva da parte di organismi autonomi ed il ricorso a tali organismi per la composizione di controversie si aggiungano ai mezzi che gli Stati membri debbono prevedere per assicurare il rispetto delle disposizioni della presente direttiva”.
4- In “Soft law in the European Union”, discussion paper pubblicato dal National Consumer Council, Aprile 2001
5- C. Brescia Morra “Verso un sistema bancario e finanziario europeo?” - Le fonti del diritto finanziario in Europa e il ruolo della autoregolamentazione, in Ente per gli studi monetari, bancari e finanziari “Luigi Einaudi”, Quaderni di Ricerche, n.44
6- A. Mercedes Lòpez Rodriguez, “Lex Mercatoria”, Department of Private Law, University of Aarhus, 2002
7- Per un approfondimento, vedasi G. De Mari, F. Sbordone, D. Desiderio ed altri “Il commercio internazionale: le regole fiscali, doganali e contrattuali”, Ed. MAP, Torino, luglio 2004, pag. 21 e ss.
8- A. Sharif, “Contemporary affairs in international contracts: a brief discouse on Unidroit”, New England International and Comparative Law Annual, Volume 7, pag. 193 e ss.


Autore: Danilo Desiderio


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