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Sei in: Approfondimenti La giurisprudenza
Violenza sessuale con abusi di inferiorità
FATTO

Nell’aprile 1999 Z Z presentò un atto con cui richiamava quanto da lei riferito qualche giorno prima al P.M. presso il Tribunale di Monza chiedendo che le sue dichiarazioni venissero considerate formale querela nei confronti dei colpevoli.
Infatti, la donna aveva chiesto un incontro urgente con il Sostituto Procuratore di turno ed in data 22 aprile 1998 era stata ricevuta da un P.M. a cui aveva narrato che, in procinto di separarsi dal marito, Y Y, per il deterioramento del loro rapporto dopo 10 anni di matrimonio, aveva rinvenuto il precedente 10 marzo alcune lettere da cui risultava che il Y era stato in contatto con un ginecologo di Venezia, il prof. X X, da cui nel 1990 si era fatta visitare alcune volte.
Già a quell’epoca la querelante aveva scoperto una lettera che il Y stava per spedire al X in cui si facevano apprezzamenti sulle sue parti anatomiche ed aveva contestato tale fatto al futuro marito il quale l’aveva assicurata che non sarebbe più successo.
Dalle lettere rinvenute nel 1999 aveva, poi, capito che i due erano stati in corrispondenza già prima delle visite ginecologiche e tali contatti erano continuati anche dopo.
Tra l’altro la Z aveva trovato anche una foto di una donna distesa sul lettino ginecologico in cui si era riconosciuta per un anello indossato.
Gli atti vennero trasmessi per competenza territoriale alla Procura della Repubblica di Venezia ed il P.M. lagunare, identificato il X, dispose perquisizioni presso la sua abitazione ed il suo studio medico di Venezia nonché presso l’ambulatorio da lui utilizzato in Padova e presso il suo ufficio all’Università degli Studi di Padova .
Mentre la perquisizione negli studi diede esito negativo nell’abitazione vennero rinvenuti e sequestrati una scheda ambulatoriale intestata a Z Z , ritagli di giornali pornografici, due videocassette con immagini pornografiche e moltissime fotografie riproducenti rapporti sessuali nonchè organi sessuali femminili scattate evidentemente in uno studio ginecologico durante la visita medica .
Di tali foto relative ad altre persone, peraltro, non interessa in questa sede in quanto attualmente si procede separatamente nei confronti del X per il reato di cui all’art. 615 bis c.p.
Il P.M. di Venezia provvide, poi, a sentire la Z per chiarire i particolari della vicenda denunciata.
Costei riferì che si era recata dal ginecologo 3 o 4 volte nel 1990 per dei semplici controlli su consiglio dell’allora convivente Y Y il quale glielo aveva descritto come un medico particolarmente capace .
In occasione della terza visita la querelante aveva avuto la sensazione che la condotta del medico fosse strana in quanto egli era troppo insistente nelle usuali manovre di palpazione ed ispezione.
Comunque, il X le aveva proposto di avere presso il suo studio un rapporto sessuale con il Y al fine di fare il cd. postcoital test, cioè un prelievo di sperma, e lei aveva acconsentito sia pure con imbarazzo.
Solo nel marzo 1999 allorché aveva scoperto la corrispondenza intercorsa tra il marito ed il ginecologo ella aveva capito che il X aveva assistito di nascosto a quel rapporto sessuale.
Nell’occasione, si era resa conto che il Y - di cui era a conoscenza che faceva uso di materiale pornografico - era uno “scambista”: aveva un fermo posta attraverso il quale inviava fotografie e si faceva inviare fotografie pornografiche proponendo lui e la Z come coppia per ottenere foto da altre coppie.
E’ stato, poi, interrogato il X il quale si è avvalso della facoltà di non rispondere.
Il Y, invece, interrogato dal P.M. ha ampiamente risposto a tutte le domande spiegando come si era sviluppato il suo rapporto amoroso con la Z fino alla separazione dopo dieci anni di matrimonio e come aveva conosciuto il X atteaverso un annuncio che lui aveva fatto su una rivista per adulti che si occupava di scambi di coppie.
Aveva inviato una foto della moglie che si era prestata a farsi ritrarre ma la donna era all’oscuro dell’iniziativa del marito.
Aveva, poi, convenuto con il X una prima visita in quanto la sua fidanzata ne aveva bisogno essendo stata controllata da un ginecologo qualche anno prima senza più farsi visitare.
La Z, comunque, era stata completamente all’oscuro delle implicazioni anche quando le era stato proposto il coital test .
Il Y ha fatto presente che la Z aveva apprezzato il medico tanto che gli aveva detto di essersi trovata bene con quel ginecologo.
Era stato il ginecologo a proporgli il rapporto sessuale con la scusa del test postcoitale e lui ne aveva parlato alla fidanzata poiché la ragazza aveva il desiderio di una gravidanza e voleva controllare se era tutto a posto.
Il Y le aveva prospettato l’opportunità di quell’esame e di avere il rapporto nello studio del ginecologo in modo che il medico potesse immediatamente e con la dovuta competenza raccogliere lo sperma.
In occasione del rapporto nello studio medico il ginecologo era entrato prima che fosse terminato e, secondo l'imputato, aveva accarezzato il seno della donna; poi, mentre lui si recava in bagno il X aveva scattato delle foto alla Z che si trovava ancora sul lettino.
Successivamente erano usciti tutti e tre, avevano fatto una passeggiata per Venezia ed avevano consumato un aperitivo.
Il giorno successivo si erano rivisti ed avevano pranzato insieme in quanto la Z aveva simpatizzato con il X e gli aveva detto:”Rivediamoci, è una persona simpatica”.
Tuttavia, qualche tempo dopo, nel 1991, la Z aveva trovato una lettera indirizzata dal Y al X ed aveva capito tutto.
Il Y ha insistito particolarmente su tale circostanza giacché tale conoscenza dei fatti da parte della querelante già nel 1991 comporta che la querela è stata da lei presentata ben al di là del termine di 3 mesi prescritto dalla legge.
Al riguardo, l'imputato ha indicato quali testimoni due psicoterapeuti, il dott. B e la dott.ssa R, di un Centro Analisi e Terapia della coppia in crisi di Milano a cui i coniugi si erano rivolti nel gennaio 1999: a costoro la Z aveva raccontato quanto accaduto nel 1990 .
Tra l’altro, della vicenda si era anche parlato nel corso di una riunione familiare nel dicembre 1998.
E’ stata, anche, risentita dettagliatamente la querelante la quale ha categoricamente smentito quanto narrato dal marito.
In particolare, la Z ha negato decisamente di aver detto che si era trovata bene con quel ginecologo e che il X fosse rientrato prima della conclusione del rapporto e le avesse accarezzato il seno e scattato delle foto.
In merito al coital test la parte offesa ha riferito al P.M. che le era stata prospettata sia dal X che dal Y l’opportunità dell’esame e che, poi, era stato il futuro marito a convincerla a farlo nell’ambulatorio per essere sicuri che la raccolta del campione avvenisse validamente ad opera di un esperto quale il ginecologo che, comunque, non avrebbe assistito.
Siccome all’epoca si parlava di matrimonio e la donna era molto interessata alla maternità il Y le aveva detto:”Guarda, così sappiamo subito se possiamo avere tranquillamente bambini”.
Prima dell’atto il X le aveva detto di stare tranquilla perché era una cosa comune giacché molte coppie facevano quel test.
Quindi, era uscito per rientrare subito dopo il coito quando i due erano ancora in parte svestiti ed aveva effettuato il prelievo mostrandole, poi, il campione al microscopio e commentando la lentezza degli spermatozoi nella risalita.
Era vero che poi erano andati a fare una passeggiata per Venezia in quanto il X si era offerto di mostrare loro la città.
Interpellata sul motivo per cui aveva accettato di farsi visitare da un ginecologo a Venezia la Z ha chiarito che il Y le aveva dato l’impressione di aver avuto il nominativo del X nell’ambito familiare giacché la famiglia del futuro marito era solita rivolgersi sempre a medici di una certa levatura .
Dopo questo coital test la querelante, nonostante avesse provato fastidio, era tornata un’altra volta a farsi visitare dal X perché era previsto che facesse un controllo ed in quest’ultima occasione si era resa conto che vi era qualcosa di strano tanto da aver provato una sensazione di vergogna.
Nell’inverno del 1990, poi, aveva scoperto la lettera di cui si è detto ed il Y, alle sue rimostranze, le aveva spiegato che le visite lo avevano eccitato per cui era iniziata una corrispondenza col ginecologo.
L’uomo, comunque, aveva strappato quella lettera e non si era più parlato della vicenda anche perché la Z sapeva che il suo partner aveva delle abitudini strane come ad esempio fare uso di videocassette pornografiche.
Nel 1998, in occasione di una terapia familiare iniziata per i dissidi che si erano evidenziati nella coppia, la Z aveva ricordato l’episodio e ne aveva parlato con due psicoterapeuti.
Solo nel marzo 1999 aveva rinvenuto le lettere, una foto e due o tre riviste per adulti da cui aveva capito che il marito era stato in contatto col ginecologo da molto tempo prima e che i due avevano organizzato le visite per scopi diversi da quello medico.
A tale riguardo il P.M. ha escusso anche i genitori della Z ed entrambi hanno confermato che la documentazione che aveva portato alla luce la vicenda per cui è processo era stata rinvenuta in garage nel marzo 1999.
Le difese, peraltro, con memorie presentate già dopo gli avvisi di cui all’art. 415 bis e nuovamente prima dell’udienza preliminare hanno evidenziato il fatto che la Z fosse stata già al corrente dei fatti di cui all’imputazione nel 1990-1991 per cui la querela era stata presentata ben oltre il termine prescritto dall’art. 124 c.p. ed hanno insistito per l’audizione dei predetti psicoterapeuti a cui la querelante avrebbe riferito di tali fatti nel 1999.
Questo giudice, quindi, ha convocato per l’udienza preliminare i due psicoterapeuti per essere sentiti ai sensi dell’art. 421 bis c.p.p.; costoro, però, non sono comparsi comunicando di avvalersi della facoltà di non deporre prevista dall’art. 200 del codice di procedura in quanto esercenti la professione sanitaria giacchè avrebbero dovuto testimoniare su fatti coperti dal segreto professionale .
Quindi, all’odierna udienza preliminare, svoltasi nella contumacia degli imputati ed in assenza della parte offesa Z Z costituitasi parte civile già alla precedente udienza , le parti hanno concluso come da verbale in atti.

MOTIVI DELLA DECISIONE
L’IMPUTAZIONE
Appare opportuno per una migliore comprensione della decisione riassumere in estrema sintesi la scansione dei fatti che non può non definirsi certa non solo per quanto riferito dalla parte offesa ma anche per quanto ammesso dal Y il quale sostanzialmente ha confermato quanto accaduto nel 1990 riferendo solo delle divergenze che devono essere considerate secondarie ed ininfluenti per la ricostruzione del nucleo essenziale della vicenda .
La ricostruzione, poi, appare decisivamente avvalorata dal ritrovamento delle lettere del X indirizzate al Y da cui si evince chiaramente quali siano stati i rapporti di «complicità» fra i due.
I due imputati sono entrati in contatto a mezzo di un annuncio pubblicato su una rivista pornografica in quanto interessati ad incontri a fini libidinosi di tipo, per così dire, «triangolari».
Infatti, nel 1990 su indicazione del Y la Z cominciò a farsi seguire dal ginecologo prof. X e si recò a Venezia per essere visitata dal medico e tra la prima e la terza visita fu convinta ad avere un rapporto sessuale nello studio del predetto medico onde effettuare il coital test.
Nel 1990 o 1991 rinvenne una lettera dell’allora suo convivente diretta al ginecologo e nel marzo 1999 ha rinvenuto nel garage dell’abitazione coniugale della documentazione tra cui varie lettere inviate dal X al Y per cui ha presentato la querela.
Il capo d’imputazione, quindi, concerne due aspetti in quanto è stato contestato che abusando delle condizioni di inferiorità psichica della donna i due imputati, in concorso tra loro, la abbiano costretta sia a subire violenze sessuali (cioè, atti di libidine) durante le visite sia a subire un’altra violenza sessuale consistita nel coito nello studio del ginecologo.
IL PROBLEMA DELLA TARDIVITÀ DELLA QUERELA
Innanzitutto, è stata eccepito che la querela sarebbe stata proposta, come detto, ben oltre il termine di legge giacché la Z sarebbe stata al corrente dei fatti già col ritrovamento della prima lettera.
Al riguardo, si osserva preliminarmente che è noto che il termine per proporre la querela incomincia a decorrere dal momento in cui il titolare del relativo diritto si sia reso conto di tutte le connotazioni oggettive e soggettive necessarie per l'integrazione della fattispecie criminosa .
Infatti, ai sensi dell'art. 124 c.p. il termine inizia a decorrere dal giorno della notizia del fatto e tale deve intendersi non già un mero stato soggettivo di sospetto o di dubbio bensì la conoscenza completa, precisa e certa del reato .
Inoltre, è pacifico che nell'ipotesi in cui venga eccepita la tardività della querela, la prova di tale non tempestività deve essere fornita da colui che la deduce e non può basarsi su semplici presunzioni o mere supposizioni .
La situazione di incertezza va interpretata in favore del querelante .
Nel caso di specie non è stata fornita una prova rigorosa bensì semplicemente sono state segnalate delle incongruenze nelle dichiarazioni della parte offesa da cui si dovrebbe “dedurre” la sua conoscenza dei fatti per cui è processo.
L’unica prova vera avrebbe potuto essere costituita dalle dichiarazioni di due persone - indifferenti alla causa - quali gli psicoterapeuti i quali, peraltro, come detto, hanno ritenuto di avvalersi della facoltà di non deporre.
Né possono essere indicati quali portatori di tale prova i genitori del Y dal momento che le loro dichiarazioni non potrebbero essere considerate decisive in quanto sono praticamente in perfetta antitesi con quelle rese al P.M. dai genitori della Z .
Vanno esaminate, poi, le dichiarazioni della parte offesa dalle quali i Difensori hanno ritenuto che si possano trarre delle certezze che, al contrario, questo giudice non ravvisa affatto.
Infatti, come si è detto, la Z ha riferito solo che dalla lettera da lei rinvenuta nel 1990 o 1991 aveva appreso che i due imputati erano in contatto epistolare.
Il marito le aveva spiegato che ciò era avvenuto successivamente alle visite ed era stato determinato da un suo eccitamento.
Dunque, già da tale ricostruzione dei fatti si dovrebbe escludere che la Z possa aver capito in quell’epoca la vicenda e le implicazioni.
Inoltre, la querelante ha sempre fatto capire di aver avuto delle perplessità e delle sensazioni ma tanto non integra affatto quella certezza che si è detto essere necessaria.
Né possono essere tratte delle “deduzioni” da certe brevi risposte fornite dalla Z a lunghe e complesse domande dell’inquirente nell’esame del 21 giugno 2000.
Al contrario, la donna ha chiaramente escluso la sua consapevolezza ripercorrendo quanto avvenuto sia nel 1990-1991 sia nel 1998-1999 .
In particolare, la querelante ha riferito che il Y le aveva fatto intendere che fra lui ed il X vi era stata un’intesa successiva e poiché si era nel 1991 è ben possibile che ella non abbia dubitato della regolarità delle visite avvenute l’anno precedente.
Solo le lettere rinvenute nel 1998 le avevano fatto capire che i due erano entrati in contatto molto tempo prima .
Egualmente, non possono essere considerate attendibili le affermazioni dei consulenti - richiamate dai Difensori - perché costoro potrebbero aver ricostruito i fatti semplicemente su una loro impressione che la Z fosse stata già da anni al corrente di tutta la vicenda laddove essi hanno raccolto le confidenze della donna dopo il 1999 quando certamente ella già era al corrente.
Il fatto è che quella lettera rinvenuta all’epoca fu immediatamente distrutta dal Y per cui non se ne conosce l’esatto tenore e non può trarsi alcuna indicazione dalle “impressioni” di questo o di quello.
E’ logico che la Z abbia sospettato ed intuito ma non ha potuto avere certezza di “tutto”, ad esempio dei veri e propri atti di libidine compiuti dal X durante le visite.
Tra l’altro, si trattava di una sola lettera scritta dal Y per cui, tenuto pure conto delle sue ammissioni alle contestazioni della Z, questa non può avere avuto la piena consapevolezza e, probabilmente, non ha prestato la dovuta attenzione e non ha creduto completamente dal momento che sapeva bene di avere a che fare con un tipo “strano” che poteva aver solo dato sfogo a delle fantasie erotiche.
Insomma, non vi è certezza di alcunchè!
IL PROBLEMA DELLA SUCCESSIONE DELLE NORME
Deve essere tenuto presente che l’accusa di violenza sessuale come da imputazione è fondata espressamente sul presupposto dello “abuso delle condizioni di inferiorità psichiche di Z Z”.
Rettamente la contestazione richiama l’abuso poiché nel caso di specie deve essere applicata l’attuale disposizione normativa in base ai principi delle successioni di legge stabiliti dall’art. 2 c.p.: adesso sono richiesti oltre alla condizione d’inferiorità della parte offesa il requisito dell’induzione e quello dell’abuso da parte dell’agente che sono requisiti nuovi e, quindi, più favorevoli all’imputato rispetto alla generica previsione precedente .
Infatti, il passaggio dal vecchio disposto dell’art. 519, capoverso, n. 3 al nuovo art. 609 bis, capoverso n. 1, c.p. configura un tipico caso di successione di leggi cd. impropria poiché le due fattispecie astratte coincidono soltanto per una parte della condotta ma la nuova disposizione prevede in più due aspetti fondamentali, quali appunto l’induzione e l’abuso.
Ed in materia di successioni di leggi penali nel tempo e di applicazione del principio del favor rei la giurisprudenza è assolutamente costante nel ritenere che la disciplina più favorevole va individuata sulla base di un raffronto oggettivo tra le norme applicabili, ossia facendo riferimento alla disciplina complessiva risultante dalle norme precettive e sanzionatorie, senza tener conto di disposizioni più favorevoli .
Nella fattispecie in questione in base a tale raffronto appare evidente come, nonostante la nuova disposizione preveda una sanzione più grave, essa deve essere applicata in quanto prescrive la sussistenza di quei due elementi che in precedenza non erano previsti.
Insomma, poichè la norma di cui all'art. 609 bis c.p., introdotta con l'art. 3 della legge 15/02/1996 n. 66, che prevede la violenza sessuale in danno di persona che si trovi in stato di inferiorità psichica o fisica, configura la violenza consistente nell’approfittamento delle condizioni di incapacità della vittima in modo diverso da quanto previsto dal previgente art. 519 c.p. ne consegue che se non fossero riscontrabili l’induzione o l’abuso l’agente andrà esente da pena beneficiando di una vera e propria abolitio criminis.
L’INDUZIONE E L’ABUSO DELLE CONDIZIONI DI INFERIORITÀ PSICHICA
L’imputazione del presente processo non richiama affatto l’induzione come previsto dal secondo comma dell’art. 609 bis c.p. bensì la “costrizione” indicata dall’art. 519.
Nozione che, come si è visto, è stata radicalmente abrogata dall’attuale normativa che, invece, richiede appunto la «induzione».
Pertanto, è necessario trattare l’argomento appunto della «induzione» richiamato quanto detto in precedenza a proposito del problema della successione delle norme.
In generale, volendo tutelare il diritto alle relazioni sessuali anche delle persone affette da inferiorità psichica o fisica, il legislatore del 1996 ha punito come delitto il rapporto sessuale con queste persone solo quando sia caratterizzato da un qualificato differenziale di potere; cioè quando sia connotato da induzione da parte del soggetto forte e da abuso delle condizioni di inferiorità del soggetto debole .
Il soggetto attivo del reato è punibile non già per l'effetto dell'automatismo derivante dalla malattia mentale della vittima, ma per aver indotto costei al compimento di atti sessuali abusando di tale condizione di inferiorità: l'induzione punibile, attuata mediante l'abuso nei confronti del soggetto che si trovi in stato di "inferiorità fisica o psichica", non si configura come attività di persuasione, cui corrisponde la "volontaria" adesione del soggetto più debole, bensì come vera e propria sopraffazione nei confronti della vittima; la quale non è in grado di aderire perchè convinta, ma soggiace al volere del soggetto attivo, ridotta a strumento di soddisfazione delle sue voglie
In particolare, il giudice di legittimità ha precisato che l'induzione si realizza quando, con un'opera di persuasione spesso sottile o subdola, l'agente spinge o convince il partner a sottostare ad atti che egli altrimenti non avrebbe compiuto.
La nozione di “induzione” prevista ora in tema di violenza sessuale corrisponde sostanzialmente a quella necessaria per la circonvenzione di incapaci di cui all’art. 643 c.p. ed essa si deve concretare in un’apprezzabile attività di suggestione, pressione morale o persuasione finalizzata a determinare la volontà minorata del soggetto passivo” .
L'abuso, a sua volta, si verifica quando le condizioni di menomazione sono strumentalizzate per accedere alla sfera intima della persona che, versando in situazione di difficoltà, viene ad essere ridotta al rango di un mezzo per il soddisfacimento della sessualità altrui .
Orbene, con riferimento all’abuso, perché esso ricorra non basta che l'agente abbia esercitato una attività di pressione morale o di persuasione per ottenere il consenso, ma occorre che l'agente, in concreto, abbia approfittato di tali condizioni .
Come si è visto la S.C. richiede un qualificato differenziale di potere: in altre parole occorre un vero e proprio stato di superiorità che consenta all’agente di superare le difese della vittima tanto da essere riscontrabile una sopraffazione nei suoi confronti.
Nel caso in esame non è provata tale evenienza in quanto non risulta che il Y, nell’indicare alla Z la possibilità delle visite ginecologiche a Venezia, abbia posto in essere un impegno dialettico tale da poter essere qualificato come opera di persuasione.
Infatti, nel suo primo esame davanti al P.M. di Venezia in data 19 gennaio 2000 la Z ha testualmente riferito:” Fu l’allora mio compagno...Y a consigliarmi il dottor X non perché avessi problemi ginecologici particolari, ma per semplici controlli. Poiché mi fidavo del Y, che mi descriveva il X come un medico particolarmente capace e ritenevo che le visite fossero la occasione per una visita alla città, accettai di farmi seguire dal X”
Successivamente, nel dettagliato esame della Z da parte del P.M. in data 21 giugno 2000 la querelante ha precisato solo che all’epoca aveva ritenuto che il nominativo del prof. X fosse stato suggerito al Y da qualcuno nella sua famiglia poiché i parenti dell’imputato conoscevano e si rivolgevano sempre a personale medico molto qualificato .
Non pare possa rientrare nel concetto di “induzione” la circostanza che il Y avesse indicato il X come un sanitario molto bravo poiché trattasi di un’indicazione del tutto generica.
Diverso sarebbe stato se la Z avesse avuto dei problemi particolari ed il X fosse stato segnalato come particolarmente competente e specialista in quella patologia da cui l’opportunità, se non la necessità, di rivolgersi proprio a quel medico.
Invece, il X è stato indicato come qualunque altro ginecologo di una certa levatura e certamente medici di quel livello non mancano a Milano o in Lombardia.
Né può apparire strano che la Z abbia accettato di recarsi da Monza fino a Venezia dal momento che la stessa querelante ha fornito la spiegazione precisando, come si è visto, che voleva cogliere quell’opportunità per fare del turismo.
Allo stato, quindi, per quanto è dato sapere dalle dichiarazioni della stessa querelante non vi fu alcuna “insistenza”, “affabulazione” o altro da parte del Y il quale si limitò semplicemente a prospettare alla Z la possibilità di farsi seguire da un ginecologo di Venezia.
Piuttosto, una qualche perplessità può sorgere per il fatto che la Z abbia accettato di sottoporsi al cd. post-coital test nello studio del ginecologo.
Anche a tale riguardo, tuttavia, nel predetto esame davanti al P.M. la Z non ha segnalato alcuna “stranezza” nei discorsi del Y il quale la convinse, a fronte della sua naturale ritrosia, dicendole:”Guarda, la raccolta fatta a casa non è sicura, non siamo tecnici, non siamo in grado di fare...avverrebbe tutto...è una cosa normale, avverrebbe tutto in ambulatorio”.
E in tale prospettiva non può integrare i requisiti normativi della “induzione” e dello “abuso” la spiegazione del medico:”State tranquilli, io esco...considerate che molte coppie lo fanno, è normale” .
Certo, è ben possibile che vi sia stato in occasione di tali discorsi un quid pluris che la querelante non ha riferito forse perché non espressamente richiestole così come accertato esattamente il tenore e le circostanze in cui si sono svolti quei discorsi potrebbe essere ravvisata l’induzione nella forma della persuasione occulta.
Ed appare questa l’ipotesi più probabile in considerazione del fatto che non v’è dubbio che il Y aveva un rilevante interesse, un ben preciso fine e voleva che la Z andasse a Venezia a farsi visitare da quel ginecologo.
Questo giudice, tuttavia, non ha ritenuto di approfondire questo aspetto procedendo direttamente all’audizione della Z nell’udienza preliminare ai sensi dell’art. 421 bis c.p.p. in quanto subentra a questo punto l’altro problema dello «stato di inferiorità psichico», logico risvolto dell’induzione e dell’abuso, che può e deve essere risolto non tanto con le dichiarazioni della Z quanto con l’esame degli atti e delle consulenze prodotte dalla stessa parte civile.
Il fatto è, oltretutto, che il problema dell’induzione assume rilevanza anche da un altro punto di vista giacché la formula normativa e, cioè, l’uso del gerundio - “abusando” - e la dizione “induce a compiere o subire atti sessuali” indicano che l’induzione deve essere, se non contemporanea, quantomeno direttamente collegata sia allo stato di inferiorità che alla violenza sessuale.
Ossia, l’agente riesce nella sua opera di persuasione proprio perché approfitta delle condizioni mentali minorate della vittima riuscendo in tal modo a commettere o far subire un atto sessuale.
Tralasciando per il momento questo aspetto, a questo punto appare opportuno anche a proposito dell’inferiorità psichica precisare in generale in cosa debba consistere tale stato, escludendo naturalmente condizioni di malattia o di deficienza mentale per cause fisiche che nella specie non sono assolutamente ravvisabili.
Orbene, è stato precisato che in tema di violenza sessuale, la condizione di inferiorità psichica prescinde da fenomeni di patologia mentale essendo riferibile a fattori di natura diversa connotati da tale consistenza ed incisività da viziare il consenso all'atto sessuale della persona offesa.
Tra tali fattori vanno compresi quelli ambientali o derivanti da traumi oltre a cause quali la tossicodipendenza, l’assunzione di determinati farmaci e così via.
E già sotto la vigenza delle precedenti disposizioni si era ritenuto che:” Le condizioni di inferiorità psichica del soggetto passivo, che possono dar luogo alle conseguenze previste dall'art. 519 c.p. (violenza carnale) e quindi dal successivo art. 521 (atti di libidine violenti), non richiedono uno stato di infermità mentale vera e propria, ma è sufficiente una causa di minorazione che non consenta al soggetto passivo di potere liberamente sottrarsi alle altrui voglie sessuali; che impedisca, cioè, di esprimere un valido consenso, perchè colui, che si concede alle altrui brame non ha la capacità di apprezzare l'importanza morale e materiale dell'atto che si appresta a compiere” .
Tale nozione di inferiorità si ritiene che abbia tuttora valore per l’assoluta identità della previsione di cui all’art. 609 bis c.p. e di quella dell’art. 519 dello stesso codice.
E’ pur vero che la condizione di inferiorità psichica non postula una assoluta soggezione e quasi una meccanicità del comportamento del soggetto passivo di fronte alla sollecitazione di prestazioni sessuali da parte del soggetto attivo ed è compatibile con un relativo grado di resistenza alla medesima .
Ma in ogni caso appare decisiva la più recente giurisprudenza di legittimità secondo cui “lo stato di inferiorità psichica deve avere una consistenza ed incisività tale da comportare se non l’assenza del consenso quanto meno un evidente vizio assoluto nella formazione dello stesso” .
In altri termini, occorre una incapacità che possa significativamente incidere sulla libertà sessuale dell’individuo.
Nel caso di specie tale condizione di inferiorità viene implicitamente ravvisata nell’imputazione nella situazione di soggezione della paziente durante la visita medica.
Per altro verso, il Difensore di parte civile l’ha identificata nella situazione di «sudditanza» in cui versava la Z nei confronti del Y.
Ed anche se non contestata tale seconda circostanza si ritiene di valutarla in primo luogo perché maggiormente aderente per alcuni aspetti ai fatti per cui è processo.
Infatti, nel caso del rapporto sessuale avvenuto nello studio del ginecologo, contestato come violenza sessuale con abuso delle condizioni di inferiorità della Z, l’induzione potrebbe essere collegata esclusivamente allo stato di inferiorità della medesima dovuto ad una sua dipendenza dal Y.
Per tale fatto non vi è stata prima o durante l’atto sessuale alcuna visita per cui la prospettazione del P.M. dell’inferiorità dovuta alla circostanza di essere una paziente non ha senso.
Tanto premesso, dalle consulenze effettuate nel corso della causa di separazione e prodotte in questa sede è risultato che i rapporti fra i due coniugi Y-Z non erano per niente paritari in quanto il marito aveva una visione distorta della sessualità ed impulsi e bisogni sessuali che, pur con la massima apertura, non possono proprio essere considerati normali.
Non ci si riferisce solo ai ripetuti contatti del Y attraverso riviste “per soli adulti” con persone con i suoi stessi gusti.
A tale proposito, si deve precisare che proprio in tal modo egli era entrato in contatto col X il quale aveva risposto ad un suo annuncio circa uno scambio di coppie .
E la corrispondenza fra il Y ed il X, le missive morbosamente pornografiche del ginecologo, le visite mediche ed il post-coital test organizzati concordemente fra i due sono tutti momenti, sia considerati singolarmente che visti cumulativamente, estremamente significativi della natura, non certo normale, del Y.
In particolare, le lettere scritte dal X al coimputato in occasione delle visite ginecologiche confermano ampiamente la “perversione” del Y il quale è entrato in contatto con quella persona proprio per alimentare i suoi “gusti” ed ha accettato quei commenti (e quei comportamenti) sulla sua convivente.
In questa sede non appare il caso di riportare il contenuto di tali missive perché inutili ai fini della presente decisione dal momento che neanche gli imputati hanno contestato la sussistenza dei fatti che sono dati per scontati.
Quel che è più significativo ai fini che ci interessano è l’atteggiamento del Y nell’intimità nei confronti della Z quale è stato riferito da costei agli esperti che hanno svolto le consulenze e su cui non si dubita dal momento che l'imputato non ha affatto smentito le affermazioni della moglie.
Senza entrare in tanti particolari appare sufficiente richiamare il fatto che solitamente la moglie, abbigliata in modo sexy, doveva attendere seduta in un’altra stanza che il marito si eccitasse guardando in cucina i giornaletti pornografici che teneva riposti in un cassetto.
Una tale condiscendenza ed umiliazione da parte di una donna - che, oltretutto, nelle lettere del X viene descritta come molto attraente - sembrerebbe presupporre uno stato di vera e propria soggezione tale da poter integrare quella condizione di “inferiorità psichica” richiamata dalla legge.
Occorre, però, a questo punto analizzare quanto accertato dai consulenti che si sono occupati dei coniugi nel corso della causa di separazione anche al fine della decisione sull’affidamento dei figli minori .
Dalla relazione della psicologa M.C.C. si apprende che i coniugi le hanno descritto il loro rapporto come una «intensa storia d’amore» e, pur rilevato un forte sentimento di autodisistima della Z la quale riteneva che il suo compagno fosse superiore a lei, non si trascura il fatto che in alcune occasioni ed in alcuni momenti della vita era il Y a manifestare sintomi di depressione ed in tali momenti di difficoltà “il supporto della signora ribaltava i ruoli della coppia e rinsaldava una relazione di complementarietà” .
La stessa Z ha definito la vita della coppia come un “perfetto incastro” .
Gli aspetti negativi, quindi, sembrano essersi evidenziati dopo il matrimonio mentre in precedenza, durante il periodo di convivenza, le esigenze del Y - ad esempio, l’utilizzo di materiale pornografico - sono state conosciute e tollerate dalla futura moglie.
E’ pur vero che la Z ha riportato l’esperienza del ginecologo a Venezia come un fenomeno di “dipendenza” dall’allora convivente ma una tale situazione psicologica non sembra integrare quello stato di “inferiorità” di cui all’art. 609 bis c.p. che richiede, come si è visto, una incapacità a resistere alle voglie sessuali di un individuo.
Il consulente di parte nella causa civile, dott. C., nelle sue osservazioni segnala che “Fin dall’inizio del rapporto affettivo con la signora Z, il signor Y ha cercato di proporre una relazionalità sessuale che vedeva il coinvolgimento di terzi...alla signora è stato proposto di avere rapporti sessuali in un contesto di scambio di coppia. Di fronte all’opposizione della signora il Y ha desistito dal coinvolgerla in modo consapevole per avviare successivamente una condotta comportamentale finalizzata ad eludere le resistenze della Z, coinvolgendola a sua insaputa, con l’inganno...” .
Lo stesso consulente di parte, quindi, praticamente riconosce che almeno in quel periodo la Z è stata pienamente in grado di tener testa al Y il quale aveva dovuto ripiegare su un atteggiamento basato su un vero e proprio raggiro.
E’ pacifico che allorché la Z ebbe una qualche comprensione, col ritrovamento di una lettera, dei rapporti intercorrenti fra il Y ed il X e del vero scopo delle visite ginecologiche contestò i fatti al convivente il quale si affrettò a scusarsi promettendole che non sarebbe mai più accaduto.
E proprio quegli episodi e le reazioni della Z indussero il Y al matrimonio che, indubbiamente, aveva il valore di rassicurare la Z e darle la dimensione dell’affetto e della stima che aveva per lei .
Già da tanto appare veramente irrealistico sostenere che la Z fosse in una condizione di inferiorità tale da subire le violenze sessuali di cui all’imputazione!
Semmai si può rilevare che la stessa sia stata fin troppo ingenua nel credere ed accettare acriticamente quello che le veniva prospettato dal partner.
Orbene, lo stato di inferiorità psichica del soggetto passivo non è quello di una completa assenza delle facoltà mentali o di una totale mancanza di capacità di intendere e di volere giacché è sufficiente una minorata capacità psichica, uno stato di deficienza del potere di critica e di indebolimento di quello volitivo tale da rendere possibile l’altrui opera di suggestione o tale da agevolare l’attività di induzione svolta dal soggetto attivo.
Tuttavia, esso non può identificarsi con la mera “ingenuità” o con la troppo facile “condiscendenza” nell’accettare le indicazioni altrui: deve trattarsi di una incisiva menomazione delle facoltà di discernimento o di determinazione volitiva riconoscibile con certezza ab externo.
Ed almeno in quel momento - che è l’unico che ci interessa - la Z aveva una pressocchè normale capacità mentale tanto vero che non ebbe alcuna difficoltà ad interrompere i rapporti col X ed a non recarsi più a Venezia appena ebbe una qualche contezza della situazione.
Né una tale conclusione viene smentita ed, anzi, viene avvalorata dalle relazioni fatte fare dalla parte civile in occasione di questo processo penale.
Infatti, il prof. A., pur dopo aver parlato di “quasi totale dipendenza della Z che rendeva impossibile ed intollerabile l’idea di separazione dal partner” conclude testualmente:” Si ritiene pertanto che la signora Z abbia in realtà accettato la complicità e il coinvolgimento con il marito nel mettere in atto pratiche perverse o ai limiti della perversione nel clima emotivo dell’innamoramento senza che fossero implicati tratti di personalità passivo-dipendente. Da un punto di vista clinico e psicologico infatti ciò che attiene alla sfera emotiva deve essere distinto da ciò che attiene all’ambito della caratterialità” .
Insomma, non si può ritenere affatto dimostrata questa condizione di inferiorità che, si badi bene, deve essere di carattere «psichico», non semplicemente psicologico o, tanto meno, di carattere emotivo.
Basti solo considerare che il legislatore, sia pure ad altri fini, ha dato una chiara indicazione precisando con l’art. 90 c.p. che gli stati emotivi o passionali non escludono né diminuiscono l’imputabilità .
E’ pur vero che per l’integrazione del reato di cui all’art. 609 bis c.p. non è richiesta l’incapacità bensì solo condizioni di “inferiorità” ma neanche questa è riscontrabile nella specie come ampiamente illustrato.
In conclusione, non può non riconoscersi - come ammesso dallo stesso Y - che egli pose in essere semplicemente un nei confronti della Z senza affatto abusare di una del tutto presunta inferiorità psichica della sua compagna.
Subentra, oltretutto, a questo punto un altro problema giuridico relativo alla sussistenza nel Y del dolo del contestato reato.
Infatti, come noto, il momento conoscitivo nel dolo, deve riguardare tutti gli elementi del "fatto tipico", inteso quale descrizione che fa la singola fattispecie incriminatrice della condotta vietata e costituente, quindi, la necessaria linea di confine tra ciò che è penalmente lecito e ciò che non lo è.
In altre parole, l’agente deve essere a conoscenza della sussistenza di tutti gli elementi previsti dalla norma incriminatrice e solo dopo l’accertamento da parte del giudice di tale consapevolezza potrà essere verificato il momento volitivo .
Dagli atti non risulta in alcun modo che il Y fosse consapevole di un qualunque stato di inferiorità psichica della Z di cui abbia voluto abusare.
E’ verosimile che egli fosse consapevole dello stato di innamoramento della donna ed abbia approfittato della situazione sentimentale e della disponibilità della compagna che gli ha consentito di convincere la Z senza dover impegnarsi in una particolare opera di persuasione e, quindi, di induzione.
Ma tale condizione emotiva non si identifica - come in precedenza chiarito - con la “condizione di inferiorità psichica” di cui all’art. 609 bis c.p.
D’altra parte, anche per quanto riguarda il X non sussistono elementi per ritenere che egli abbia voluto concorrere nel contestato reato di violenza sessuale .
Non risulta, infatti, che il X sapesse di una qualunque condizione di inferiorità psichica della Z la quale, al contrario, alle visite mediche è apparsa come una persona assolutamente normale.
Né è dato sapere quali notizie sulla Z avesse fornito il Y al X quando si sono messi d’accordo per le “finte” visite ginecologiche.
Anzi, le prime lettere del X, rivolte ad entrambi i coniugi come dimostra il fatto che viene usato il plurale, sembrano escludere che il Y gli avesse riferito che la Z non era affatto d’accordo e che lui l’aveva ingannata o che, addirittura, fosse una sua «succube».
Successivamente, peraltro, il X deve essere stato informato della non consapevolezza della sua compagna come dimostrano le altre missive in cui il X chiaramente tratta solo con il Y perché la donna è all’oscuro di tutto.
In una lettera il ginecologo accenna alla possibilità di penetrazione (da parte del Y) durante una visita previa sedazione .
In ogni caso si tratta appunto di un semplice accenno senza alcuna altra indicazione e, comunque, ammesso che l’affermazione sia stata fatta realisticamente (sembra piuttosto una fantasia erotica) si risolverebbe in un’ipotesi di condizione di inferiorità fisica e psichica del tutto diversa da quella di cui si discute e soprattutto che non si è concretizzata neanche a livello di tentativo.
Per l’aspetto che ci interessa è significativo soprattutto che in altra lettera successiva il X esprime un giudizio ampiamente positivo sulle qualità intellettuali della Z!
Successivamente, in occasione del post coital-test il X non fece altro che assecondare l’inganno del Y e certo non si segnala - per quanto narrato dalla stessa parte offesa - che egli abbia avuto un qualunque atteggiamento che indicasse un suo anche solo sospetto di trovarsi al cospetto di una persona in stato di inferiorità psichica.
In conclusione, non può non essere tenuto conto del fatto che essendo la “condizione di inferiorità” il presupposto fondamentale del reato di violenza sessuale previsto dall’art. 609 bis c.p. così come quello di violenza carnale previsto dall’abrogato art. 519 c.p. esso deve essere assolutamente e pienamente accertato e dimostrato.
Qualora sussiste il dubbio su di esso l'imputato deve essere assolto con la formula piena per cui, anche ammesso e non concesso che possano sussistere perplessità su tale presunto stato della Z di cui si è ampiamente discusso finora, il Y ed il X non potrebbero che essere prosciolti in quanto difetta uno degli elementi del fatto-reato.
Discorso analogo deve essere fatto per quanto sostenuto dal P.M. e, cioè, che la condizione di inferiorità psichica fosse sussistente per il fatto stesso della visita ginecologica a cui era sottoposta la Z.
Deve essere precisato, peraltro, che riguardo a tali altri fatti l’induzione non è collegata direttamente allo stato, per così dire, di passività della paziente come si è detto essere necessario in base alla dizione normativa.
Per richiamare la terminologia legislativa non si può sostenere che il Y abbia indotto la Z a subire gli atti sessuali abusando - ossia, approfittando - dello stato di inferiorità che si registra durante una visita medica bensì che abbia indotto la Z a mettersi in quelle condizioni di inferiorità per poi approfittarne.
In altri termini, l’induzione non è stata certo favorita dallo stato di inferiorità psichica e non è stata in rapporto con l’abuso.
L’induzione non ha affatto riguardato le violenze sessuali che sarebbero state commesse dal X così come non si può ritenere che in quel momento si sia verificata un’induzione da parte del X che non risulta - ed è verosimile - che abbia detto o fatto alcunché prima o durante le visite .
Ciò non vuol dire che vadano esenti da pena proprio casi gravissimi quali, ad esempio, l’induzione della vittima ad assumere una droga per abusare di lei.
La prima fase dell’azione - causazione nella vittima di uno stato di inferiorità psichica - potrebbe già integrare il reato di cui all’art. 613 c.p. qualora si verifichi una vera e propria incapacità.
Quindi, occorrerà verificare la condotta e la situazione a seguito di tale stato di inferiorità: se l’agente perviene al compimento dell’atto sessuale a mezzo di induzione che ottenga un consenso, sia pur viziato, egli risponderà del delitto di cui all’art. 609 ter, capoverso, n. 1 c.p.; se l’agente abusa sessualmente della vittima approfittando della sua incoscienza o della sua minorata difesa, difettando completamente il consenso, egli risponderà del delitto di cui alla prima parte dello stesso art. 609 bis in quanto avrà commesso il fatto a mezzo violenza .
Oltretutto, il fatto che il Y possa aver previsto una condizione di inferiorità psichica della Z al momento della visita è tutta da dimostrare!
Comunque, a proposito degli atti di libidine commessi dal X durante le visite ginecologiche osserva questo giudice che potrebbe essere ravvisabile uno stato di inferiorità psichica consistente nella condizione di vera e propria “confusione mentale” in cui viene a trovarsi la paziente la quale non riesce a comprendere il discrimen fra atti necessari od opportuni dal punto di vista della visita medica ed atti a scopo di concupiscenza e di brama sessuale.
Nel caso di specie, infatti, la Z ha riferito al P.M. che alcuni movimenti “insistenti” del ginecologo le erano parsi non normali ed il fatto che lei non abbia ritenuto di sottrarsi o di reagire dimostra proprio la sua condizione di inferiorità poichè in quei momenti non è stata in grado di capire, quantomeno con la necessaria certezza, la situazione.
Si realizza, quindi, durante la visita medica quella causa di minorazione mentale che non consente al soggetto passivo di discernere gli atti del sanitario sì da venire parzialmente meno innanzitutto la sua capacità di intendere.
Non può non ritenersi, tuttavia, anche a tale proposito, pur tenuto conto della valenza di tale stato di inferiorità, che essa non può essere identificata con quell’incapacità psichica richiesta dalla legge.
Trattasi pur sempre di un aspetto psicologico e non già psichico tanto vero che la stessa parte offesa davanti al P.M. ha usato due volte proprio tale termine .
In definitiva, sia il X che il Y hanno approfittato della situazione e delle condizioni di inferiorità psicologica (non psichica) della Z senza aver commesso o commettere una qualunque azione di induzione.
L’IPOTESI DELLA VIOLENZA
Va sottolineato che in effetti i fatti per cui è processo relativamente a quanto accaduto durante le visite ginecologiche non sono mai stati dalla giurisprudenza identificati in relazione all’ipotesi di incapacità psichica o fisica della vittima bensì integranti l’ipotesi degli atti di libidine con violenza di cui all’art. 521 c.p. .
Infatti, già da molto tempo è stato affermato dalla giurisprudenza prevalente formatasi in relazione all’art. 521 c.p. che la "violenza" richiesta dalla norma incriminatrice non è soltanto quella che pone il soggetto passivo nell'impossibilità di opporre tutta la resistenza voluta, tanto da concretarsi in un vero e proprio costringimento fisico, bensì anche quella che può manifestarsi nel compimento insidiosamente rapido dell'azione criminosa, consentendo in tal modo di superare la contraria volontà del soggetto passivo .
Per integrare gli estremi della violenza è sufficiente anche la violenza meramente potenziale, che si verifica quando il medico operi pur sapendo che il consenso non vi sarebbe stato e che l'opposizione o la resistenza non sarebbero mancati se fossero stati possibili .
Anche recentemente è stato riaffermato che “l'inerzia incosciente della persona offesa, quando non è sintomatica di un vero e proprio consenso (cioé quello stato di inattività che dipende non dalla rinunzia ad una resistenza attiva nella consapevolezza della volontà dell'aggressore, ma dalla ignoranza assoluta della intenzione dello stesso), non esclude, in relazione alle circostanze concrete del singolo caso, vere e proprie forme di aggressione alla libertà sessuale compiute con una repentinità di azione, idonea a limitare la libertà di autodeterminazione della vittima ed a renderne inoperante la capacità di resistenza, facendole subire un atto che in altre condizioni non sarebbe stato compiuto” .
Del resto, la nuova impostazione normativa della materia dimostrata dall’inserimento dei reati sessuali nella sezione dei “Delitti contro la libertà personale” comporta che l’illiceità del comportamento deve essere valutato alla stregua del rispetto dovuto alla persona umana per cui questa interpretazione più ampia del concetto di violenza appare ora assolutamente adeguata alla realtà normativa e sociale .
E riguardo ai delitti contro la libertà personale è pacifico ormai che:” Ai fini della configurabilità del delitto di violenza privata, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l'offeso della libertà di determinazione e di azione, ben potendo trattarsi di violenza fisica, propria, che si esplica direttamente nei confronti della vittima o di violenza impropria che si attua attraverso l'uso di mezzi anomali diretti ad esercitare pressioni sulla volontà altrui impedendone la libera determinazione” .
Questa nozione di violenza naturalmente si attaglia solo, come si è precisato all’inizio di questo paragrafo, agli atti commessi durante le visite mediche.
E non si può ritenere che si sia trattato esclusivamente e semplicemente delle usuali ispezioni, palpazioni, eccet. del ginecologo giacché sussistono vari elementi che dimostrano come le visite non fossero normali.
1) Lo stesso fatto che fossero intervenuti accordi fra il Y ed il X per effettuare quelle visite a fini di libidine integra l’illecito penale dal momento che non si trattava esclusivamente ed asetticamente di attività medica.
2) Il Y stesso ha ammesso i fatti sia pure insistendo sulla circostanza che si trattava di sue manie di esibizionismo .
3) La Z ebbe delle grosse perplessità sulla normalità delle visite in considerazione della insistenza delle manipolazioni del medico la qual cosa indica, oltretutto, che vi fu un quid pluris delle usuali manovre.
4) Le lettere del X dimostrano con estrema chiarezza e con abbondanza di particolari le sue mire libidinose.
A titolo di esempio è sufficiente citare due periodi :”Visita accurata e particolare” e “Visitandola l’ho masturbata a lungo col pollice sul clitoride, slargando la vagina con altre due dita aperte a forbice e lei si è bagnata abbondantemente...Per completare l’ispezione non ho esitato a saggiare lo sfintere, trovandolo molto compiacente...” .
5) La foto che ritrae la Z in posizione ginecologica conferma ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, la natura lussuriosa delle visite .
Occorre chiarire che in relazione al reato già previsto dall'art. 521 c.p., antecedentemente all'emanazione della legge 15/2/1996, n. 66, veniva considerato atto di libidine "lo sfogo dell'appetito di lussuria diverso dalla congiunzione carnale" e venivano ricondotte alla figura criminosa in parola tutte le manifestazioni dell'istinto sessuale, e cioé tutte le forme di cui può estrinsecarsi la libidine (ivi compresi i semplici palpamenti), diverse dal coito, suscettive di dare sfogo alla concupiscenza, anche in modo non completo e di durata brevissima .
La predetta violenza, invece, non sussiste per l’episodio del rapporto sessuale svoltosi senza costrizione alcuna e determinato solo da inganno.
Per completezza deve essere precisato che devono essere disattese le considerazioni della difesa della parte civile circa l’inganno consistito nella sostituzione ad altra persona.
La dizione normativa si riferisce chiaramente al diverso caso in cui una persona riesca a sostituirsi ad un’altra e compia atti sessuali al posto di questa.
La "sostituzione" di persona cui si riferisce la norma può consistere in una qualsiasi delle azioni previste come reato dall'art 494 c.p. ma nella fattispecie non è in discussione, come sostenuto nella memoria datata 28 aprile 2001 , l’attribuzione di false qualità dal momento che non si è realizzata tale evenienza: il X era veramente ginecologo.
L’inganno ha riguardato le finalità delle visite non già era finalizzato ad una qualunque sostituzione di persona.
Tanto meno il rapporto sessuale è avvenuto con una persona diversa dal Y.
FATTO DIVERSO
A questo punto è di tutta evidenza come il fatto caratterizzato dall’elemento della violenza sia completamente diverso da quello contestato e, cioè, dall’abuso delle condizioni di inferiorità per cui appare impossibile il rinvio a giudizio con l’attuale imputazione.
Si realizza una vera e propria variazione del fatto quale è stato contestato [ossia, un vero e proprio stravolgimento dell'imputazione originaria] cosicché esso risulta sostanzialmente diverso nel suo contenuto essenziale dal fatto addebitato .
Dall'immutazione deriva per la difesa una menomazione per cui essa non ha avuto la possibilità della prospettazione delle proprie ragioni in riferimento al predetto elemento essenziale dell’ipotizzato illecito penale .
Appare opportuno precisare che il «fatto» viene assunto nel suo significato comune per designare l'elemento materiale del reato nei suoi elementi obiettivi per cui esso rimane immutato quando rimangono invariati i suoi tre elementi fondamentali, ossia la condotta, l'evento e l'atteggiamento psicologico .
In altre parole, deve intendersi per immutazione del fatto quella che modifica la struttura della contestazione in quanto sostituisce radicalmente il fatto tipico o il nesso di causalità o l’elemento psicologico, e, per conseguenza di esso, l’azione risulta tanto diversa da quella contestata da essere incompatibile con le difese apprestate dall’imputato per discolparsene.
E nel caso in esame, come detto, si ravvisa la completa diversità di uno degli elementi essenziali del reato che non è stato contestato né in fatto né con il richiamo alla disposizione di legge e che, anzi, era stato praticamente escluso con l’indicazione nell’imputazione di un presupposto del tutto diverso.
Ne consegue che deve essere applicata la disposizione di cui al secondo comma dell’art. 521 c.p.p. espressione di un principio generale che riguarda anche l’udienza preliminare .
Pertanto, per gli atti di libidine commessi dai due imputati deve essere disposta la trasmissione al P.M. per una nuova contestazione tenuto conto del fatto che questo giudice ritiene che per tali fatti gli imputati dovrebbero essere rinviati a giudizio alla luce degli elementi sopra illustrati.

CONCLUSIONI
Gli imputati, quindi, devono essere prosciolti dall’episodio del rapporto sessuale in quanto il fatto è insussistente non essendo avvenuto né con abuso di una condizione di inferiorità né con violenza.
Non si ravvisa la sussistenza di tali elementi neanche in relazione all’eventualità che al coito fra il Y e la Z abbia assistito di nascosto il X.
Si è usato il termine “eventualità” perché tale circostanza è stata adombrata e sospettata ma di essa mancano precisi elementi di prova.
Anzi, da una delle lettere del X sembra doversi ritenere che al ginecologo interessasse dal punto di vista della libidine più che il rapporto in se stesso la successiva ispezione vaginale che lui avrebbe effettuato .
La Z ha dichiarato di aver tratto la convinzione che il ginecologo avesse visto il rapporto sessuale dalle sue lettere ma di tanto non v’è certezza alcuna.
In effetti, è del tutto verosimile e presumibile che il ginecologo abbia assistito di nascosto ma non può non concludersi che difetta la prova di ciò.
Inoltre, come si è riferito nella prima parte del presente provvedimento la Z ha escluso che in occasione del rapporto il X sia intervenuto ed abbia avuto un qualunque comportamento non professionale.
Gli atti vanno, invece, trasmessi al P.M. perché proceda per il reato di atti di libidine di cui all’art. 519 c.p. commessi con la stessa violenza prevista dal vigente art. 609 bis c.p. in relazione ai fatti avvenuti durante le visite mediche.
Tale è la conclusione che indica tutta la giurisprudenza e che appare la più corretta alla luce di quanto illustrato da questo giudice.
Ciò non esclude, peraltro, che il P.M., se lo ritiene, nella nuova imputazione possa ascrivere, a titolo di contestazione non solo alternativa ma anche complementare, sia l’ipotesi della violenza sia quella delle condizioni di inferiorità .
Non si ritiene di accogliere l’istanza di trasmissione di copia degli atti all’Ordine dei Medici dal momento che non è certo compito dell’Autorità Giudiziaria disporre in tal senso in favore di una parte .
Tanto più che l’Ordine si è costituito parte civile e può regolarmente farsi rilasciare copia degli atti .

P. Q. M.
Visto l’art. 425 c.p.p. dichiara non luogo a procedere nei confronti di X X e Y Y in ordine all’episodio del rapporto sessuale presso lo studio del ginecologo commesso con abuso delle condizioni di inferiorità psichica di Z Z perché il fatto non sussiste.
Come illustrato nella motivazione della presente sentenza, ritiene che gli altri fatti avvenuti nel corso delle visite ginecologiche integrino il reato di atti di libidine commessi a mezzo violenza di cui agli artt. 521 e 609 bis c.p. per cui, trattandosi di fatto diverso, ai sensi del secondo comma dell’art. 521 c.p.p. ordina la trasmissione degli atti al P.M. perché proceda per tale reato.
Venezia, 6/3/2003


IL GIUDICE
dr. Giandomenico Gallo

Autore: Avv. Giustino Sisto


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