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Sentenza n. 1277 del 22 Gennaio 2014: la Cassazione riafferma il valore della famiglia di fatto. Brevi osservazioni sui precedenti storico-normativi.

Con la sentenza n. 1277 del 22 gennaio 2014 citata sentenza, la Cassazione muove un ulteriore (ed ennesimo passo) nella direzione del riconoscimento della famiglia di fatto.
Si legge nel corpo della sentenza un esplicito richiamo all’art. 8) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo come interpretato dalla Corte di Strasburgo  e per la quale la nozione di famiglia “ non è limitata alle relazioni basate sul matrimonio e può comprendere altri legami familiari, se le parti convivono fuori dal vincolo di coniugio” (Cass. 1277/2014).
In proposito si rende allora degno di nota un veloce richiamo alle interpretazioni più salienti che la Corte EDU di Strasburgo ha –nel corso del tempo- offerto a questo art. 8) dalla formulazione alquanto imprecisa.
Sin dal 1979 (Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, Sentenza del 13 giugno 1979, Marckx c. Belgio) nell’affermare che l’art. 8), ove avesse operato una distinzione tra famiglia legittima o illegittima, sarebbe in contrasto con l'art. 14) e con il divieto da esso imposto di prevedere qualsiasi discriminazione nel godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla CEDU, la Corte EDU prendeva posizione sull’argomento in oggetto. Successivamente la Corte ha riconfermato il richiamo al rispetto della vita familiare affermando che essa comprende sia le unioni legittime che quelle prive di un vincolo giuridico-formale in quanto entrambe costituiscono una famiglia ai sensi dell'art. 8) e «sono pertanto protette da esso, anche se la relazione esiste al di fuori del matrimonio» (Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, Sentenza del 18 dicembre 1986, Johnston c. Irlanda, A 112).  Ancora nel 1994 la Corte  EDU riaffermava il principio generale per il quale “il rispetto della vita familiare esige che la realtà biologica e sociale prevalga su una presunzione legale contraria sia ai fatti accertati che agli auspici delle persone interessate, senza in realtà giovare a nessuno “ (Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, Sentenza del 27 ottobre 1994, Kroon c. Paesi Bassi).
Pertanto la nostra Giurisprudenza, sull’argomento di cui trattasi, si è sempre ispirata ai criteri interpretativi della sovraordinata Giurisprudenza Europea fino alla sentenza ultima qui in commento.
Così anche il provvedimento in commento che continua poi con il richiamare il riconoscimento delle formazioni sociali ai sensi dell’art. 2 della Cost. (per il quale va ricondotta la tutela di ogni forma di comunità e, quindi, anche della stabile convivenza tra due persone, sia pure dello stesso sesso) ed ancora tutti gli interventi normativi più o meno recenti, tutti mossi nella direzione di riconoscere i legami familiari di fatto.
Dunque un ennesimo tassello che la Cassazione pone in un percorso iniziato ormai molti anni or sono e che qui di seguito si vuole riassumere, nell’ottica di un inquadramento sistemico di quella formazione sociale che, giunta ormai ad un chiaro riconoscimento derivante dalle interpretazioni della Giurisprudenza e da leggi che ( e comunque) ne riconoscono effetti e tutela, non trova però (ancora oggi) un esplicito e dettagliato inquadramento e riconoscimento normativo.
Le vicende della famiglia di fatto, sebbene possano apparire come un tema che ci occupa relativamente da pochi anni, sono invece sempre state oggetto dell’attenzione tanto del giurista, quanto del legislatore.
Sembrerà strano, ma già la convivenza “more uxorio” con il R.D. 17/7/1937(art.2)  e D.P.R. 30/05/1955 n. 797 veniva in rilievo in tema di assegni familiari, ancora con il D.P.R. 20/1954 n. 64 e con il D.P.R. 30/06/1965 n. 124 veniva in rilievo in tema di infortuni sul lavoro, con la Legge n. 218/1952 veniva in rilievo in tema di pensioni di reversibilità, mentre con l’art. 138 del T.U. 645/1958 venivano considerati familiari a carico, in quanto conviventi, i figli naturali non riconosciuti, i figliastri ed i trovatelli.
In realtà un‘analisi sull’antefatto storico del tema oggi sempre più attuale, non può prescindere da una suddivisione che veda da un lato gli aspetti normativi e , dall’altro, quelli interpretativi.
Sarà dunque seguito tale schema.

L’inquadramento storico normativo.

Il fenomeno della famiglia di fatto da sempre ha occupato (ed occupa) tutti gli ordinamenti giuridici che, di volta in volta, le hanno offerto un’attenzione maggiore o minore, favorevole o contraria.
Tra i precedenti di studio va assolutamente citato il famoso Convegno di Uppsala tenutosi in Svezia nel 1959 dal titolo “Family Living in a changing society”.
Nel detto convegno confluirono alcuni dati di un’indagine sociologica dai quali emerse come (all’epoca) la convivenza “more uxorio” fosse per lo più intesa come un periodo prova finalizzato al matrimonio vero e proprio e come vi fossero tre diversi orientamenti in merito alla valutazione sociologica (e di conseguenza normo giuridica) della famiglia di fatto: 1) fenomeno considerato come deviante, mal visto o combattuto dalla morale sociale ( una fra tutte la Svizzera che prevedeva addirittura risvolti penali nella convivenza more uxorio); 2) fenomeno tollerato ed anche accettato; 3) fenomeno istituzionalizzato.
In Italia, sebbene l’argomento non sia mai stato accettato, e tanto meno istituzionalizzato, non si può certo negare che non sia stato oggetto di attenzione dal punto di vista normativo ed interpretativo.
Il che rende addirittura (forse) apprezzabili gli sforzi  intrapresi ed i risultati raggiunti, alla luce di una considerazione che non deve mai essere tralasciata: la profonda tradizione cattolica del nostro Paese e le forti interconnessioni tra mondo laico ed ecclesiastico dovute (tra le altre) alla presenza dello Stato pontifico e alla endemica interconnessione del potere temporale con quello spirituale.
Per questo non può certo meravigliare il fatto che (ancora oggi) non ci sia una chiara presa di posizione la quale, con provvedimenti normativi ad hoc, disciplini in maniera netta e definita questo fenomeno sociologico, preferendosi aggirare il problema con una serie di provvedimenti finalizzati a risultati ugualmente importanti, ma non organici e definiti.
Ma tant’è!
E’ giusto comunque suddividere l’evoluzione normativa italiana in due periodi fondamentali che vedono il proprio spartiacque nella Riforma del Diritto di Famiglia.
E così andrà studiato:
I) il periodo ante Riforma;
II) il periodo post Riforma.

Il periodo ante riforma. Dal Codice del 1865 alla Legge n. 151/1975 ( Legge Riforma del Diritto di Famiglia) .

Il Codice del 1865 e quello successivo del 1942, muovendo le mosse dalla tradizione giuridica del Code Napoleon, dava esclusivo riconoscimento alla famiglia fondata sul matrimonio che rispecchiava l’ideale napoleonico della “forte famiglia nel forte Stato”.
Il riconoscimento dato al matrimonio legittimo era tale da escludere qualunque altra considerazione verso situazioni diverse e la discriminazione di trattamento colpiva anche l’aspetto della filiazione.: la posizione dei figli nati fuori dal matrimonio era, infatti, deteriore rispetto a quella della filiazione legittima.
Sebbene con il Codice del 1942 la situazione (anche se pur lievemente migliorata rispetto al Codice del 1865) era ancora questa, l’emanazione della Costituzione del 1948 introdusse numerosi principi e rimedi di giustizia sociale verso l’equiparazione della filiazione legittima con quella naturale.
Ma detti progressi riguardarono (e avrebbero riguardato per molto tempo) solo gli aspetti della filiazione, lasciando senza alcuna tutela la famiglia di fatto come formazione sociale, nonostante questa andasse sempre più affermandosi.
Anzi, con l’art. 29, la Costituzione riaffermò chiaramente il favor matrimonii (art. 29 Cost. “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.Il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare”.)
D’altra parte, riprendendo quanto già accennato poco prima, le strette connessioni tra Stato e Chiesa -celebrate con la firma dei Patti Lateranensi del ’29- non potevano che portare alle conclusioni già esposte di un mancato riconoscimento della convivenza “more uxorio” che, ancora dalla Dottrina degli anni ’60, veniva definita come “concubinato” ( A.De Cupis “Il Concubinato nel diritto privato” in Foro Pad. 1961, 11, 196).
In effetti la morale cattolica ben si sposava con il concetto di famiglia napoleonico suddetto, tanto che l’intreccio delle correnti di origine francese e di influenza cattolica fece sì che la famiglia fosse recepita come concetto di famiglia-istituzione per la quale la famiglia aveva finalità a carattere pubblicistico ed era da intendersi come espressione di un valore tanto assoluto da trascendere i suoi stessi membri. In questa ottica l’interesse dell’individuo davanti all’istituzione famiglia e all’istituzione Stato doveva, se necessario, essere sacrificato e quindi la famiglia di fatto sacrificata, come fenomeno sociologico, sull’altare della famiglia- istituzione di natura pubblicistica.
Ma il fermento sociale è come la cenere che cova sotto il fuoco. Così anche in questo periodo storico, le situazioni sociali che concretamente si andarono a creare (anche grazie ai due conflitti bellici mondiali e alla concezione di indissolubilità del matrimonio che non lasciava spazio alla possibilità di regolamentare convivenze fuori dall’unione legittima) determinarono talmente tante situazioni reali non legittimate dal matrimonio, che non si potè evitare di regolamentarne gli aspetti.
La legislazione speciale intervenne così a cercare di sanare quanto la legislazione generale ignorava o contrastava.
Alcuni esempi: il D.L.L. 27/10/1918 che ai fini della pensione di guerra parificava alla vedova la donna che non avesse contratto matrimonio con il militare deceduto entro 3 mesi dalla procura  o dalla dichiarazione di voler contrarre matrimonio fatta con il militare in pericolo di vita, sempre quando la stessa fosse diretta a riconoscere lo stato di preesistente convivenza; la Legge 356/1958 che prevedeva l’assistenza per i figli naturali non riconosciuti dal padre caduto in guerra, quando la madre ed il presunto padre avevano convissuto more uxorio nel periodo del concepimento.
Si venne così a creare una vera e propria dicotomia: da un lato la legislazione generale che  non riconosceva  la famiglia di fatto, dall’altro la legislazione speciale che non poteva non occuparsi della regolamentazione di alcuni suoi effetti.
Sulla base di una spinta sociale sempre più crescente.

Il periodo post riforma: la svolta della Riforma del Diritto di Famiglia .

L’emanazione della Legge 151/1975 aprì una fase nella quale, innanzitutto, si tese ad adeguare la disciplina codicistica a quella costituzionale.
Con la Legge 151/1975 vennero emanate tutta una serie di norme innovatrici rispetto al passato che, se da un lato disciplinarono le situazioni di fatto più che altro con riguardo al rapporto genitori-figli, dall’altro fecero dedurre che vieniva ormai dato un certo rilievo giuridico alla famiglia di fatto.
Con la Riforma si attuò una sorta di inversione di tendenza con la quale si cercò di organizzare sistematicamente tutti quegli interventi che legislazione speciale e Giurisprudenza avevano gi, in  precedenza, operato verso un riconoscimento indiretto della famiglia di fatto.
E la Dottrina ovviamente non rimase silente davanti a questi mutamenti tanto che tra gli anni 1976 e 1978 si tennero ben due Convegni sull’argomento: - il Convegno Nazionale del Centro Lunigianese di Studi Giuridici dedicato alla famiglia di fatto; - il Convegno di Pisa del marzo 1978 sul tema “Due anni di applicazione della Riforma del Diritto di Famiglia” .
In realtà l’ostacolo più importante che si dovè superare, fu il coordinamento della legislazione ordinaria con i precetti costituzionali.
Come prima accennato, l’art. 29 della Costituzione aveva introdotto (e tutt’ora introduce) un favor matrimonii nel nostro ordinamento.
Si trattava quindi di inquadrare eventuali tutele della famiglia di fatto, all’interno di altri precetti costituzionali.
Sul punto la Dottrina ovviamente si divise:
- Coloro che nell’art. 29 Cost. individuavano un limite insormontabile rispetto al quale alcuna tutela poteva riconoscersi alle situazioni more uxorio ( Trabucchi “Natura, Legge, Famiglia” in Riv. Dr. Civ. 1977, 1, 26; Pascalino “Famiglia naturale ed ordine pubblico” in “La famiglia di fatto” Atti del Convegno di Pontremoli, Pontremoli 1977, 344; Azzariti “Dichiarazioni costituzionali e riforme legislative in tema di filiazione illegittima. Studi legislativi sulla filiazione” Milano, 1952; Trabucchi “Il ritorno all’anno zero: il matrimonio come fonte di disparità”, in Riv. Dir. Civ. 1975, 2, 488) .
Per i sostenitori di queste posizioni, il riconoscimento statale alla famiglia legittima rappresentato dal crisma dell’art. 29 Cost. avrebbe escluso qualsiasi altro legame di diversa origine.
- Coloro che, pur riconoscendo il favor matrimonii introdotto con l’art. 29 Cost. arrivarono a ritrovare in altri precetti costituzionali una tutela, sia pure indiretta, delle situazioni familiari di fatto. Per questa parte della Dottrina il favor matrimonii costituzionale non avrebbe rappresentato un principio aprioristico che porta ad escludere la famiglia naturale da ogni tutela in quanto ad una tutela poteva comunque giungersi tramite la distinzione tra “l’istituzione famiglia” e la “funzione familiare”.
Nell’ambito della “funzione familiare” erano da far rientrare gli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione della prole di cui all’art. 30 Cost. mentre il riconoscimento della famiglia naturale sarebbe derivato dall’art. 2 Cost. ( “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità (…)” ) . Secondo questo orientamento Dottrinale ( più socialmente attento e garantista, a parere di chi scrive) nell’ambito della nostra Costituzione coesistono quindi due diverse tutele familiari: quella della famiglia legittima ( rappresentata dall’art. 29 Cost) quella della famiglia naturale ( rappresentata dall’art. 2 Cost. e -indirettamente- dall’art. 30 Cost.). Superandosi così la contrapposizione tra le tutele dei due tipi di famiglia, riaffermandosi che una non esclude l’altra ed elaborandosi la preziosa distinzione tra “famiglia istituzione “ e “funzione familiare” alla luce del principio per il quale quando nella realtà i due nuclei familiari svolgono identiche funzioni, non possono che essere tutelati in modo eguale tra loro. (Piepoli ”Realtà sociale e modello normativo nella disciplina della famiglia di fatto” in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ, 1972, 1943 e ss; Campagna “Famiglia legittima e famiglia adottiva”, Milano, 1966; Tommasini “La responsabilità per il mantenimento, l’educazione e l’istruzione dei figli naturali” in Studi sulla riforma del diritto di famiglia, Milano, 1973, 213; Bessone/Ferrando “Regime della filiazione, parentela naturale e famiglia di fatto” in Dir. Fam. , 1979, 1333) .

L’evoluzione della Giurisprudenza: tracce del passato.

Le prime pronunce sul tema che ci occupa, risalgono a tempi remoti quando la Giurisprudenza ( oltre che la normativa speciale cui prima si è accennato) fu chiamata a dirimere in via applicativa/interpretativa fattispecie sociali “di fatto” che non trovavano tutela nell’ordinamento.
Pertanto queste sentenza (di legittimità e di merito) si ebbero in riferimento a casi concreti da disciplinare.
Se ne riporterà qui di seguito un breve excursus rappresentativo, anche se (forse) non esaustivo.

In tema di locazioni:
1) Pretura Pordenone Sentenza del 07/12/1950 – relativamente ad una controversia sorta tra locatore e locatario, il Giudice riteneva che il locatore potesse richiedere il rilascio dell’immobile non solo per esigenze sue, ma anche per quelle della propria famiglia naturale (Dir. Fam. 1951, I, 800) ;
2) Tribunale Firenze Sentenza del 13/02/1951 – con questa pronuncia il Giudice toscano ammetteva l’efficacia della proroga legale delle locazioni di immobili urbani anche nei confronti del familiare di fatto del conduttore ( Foro It. 1951, I, 800);
3) Pretura Genova Ordinanza del 16/07/1977 – in questa ordinanza di rinvio il Giudice sollevava la questione di incostituzionalità dell’art. 2-bis del D.L 236/1974 (come modificato dalla legge di conversione n. 351/1974) per violazione dell’art. 3 Cost. laddove, in caso di morte del conduttore. Escludeva dal beneficio della proroga legale il convivente more uxorio cui spettava quindi, per legge, un trattamento deteriore non solo rispetto al coniuge ed ai parenti legittimi, ma anche rispetto ai figli naturali (Giust. Civ. 1978, III, 191);

Sull’obbligo di versare gli alimenti e sugli obblighi di assistenza familiare:
1) Corte di Cassazione Sentenza del26/06/1961 – la Corte interpretava l’art. 572 cod.pen. in modo da riconoscere anche a carico del convivente il reato di maltrattamenti in famiglia (Riv. Dir. Matr. 1963, 511);
2) Tribunale di Roma Sentenza del 25/01/1972 – in ordine al lamentato diritto di una donna separata di ricevere gli alimenti dall’ex marito, il Giudice esclueva tale diritto sulla base della convivenza more uxorio della donna con altro uono (Dir. Fam. 1972, 792);
3) Pretura di Galatina Sentenza del 21/11/1975 – il Giudice non ricnosceva la vilazione degli obblighi di assistenza familiare ex art. 570 cod.pen. a carico del marito che era stato denunciato per aver fatto mancare i mezzi di sostentamento alla moglie, in quanto questa aveva formato nuova famiglia naturale con altro uomo che provvedeva anche alle sue necessità (Giur. Mer. 1976, I, 278);
4) Corte di Cassazione Sentenza n. 556 del 08/02/1977 – la Corte affermava l’orientamente del Tribunale di Roma per cui la donna separata o divorziata che avesse costruito un nucleo familiare di fatto, perdeva il diritto agli alimenti da parte dell’ex marito ( Dir. Fam. 1977, 514 con nota Liotta).

Sull’assegnazione della casa familiare:
1) Tribunale Minori di bari Sentenza del 11/06/1982 – Disgregatosi il nucleo familiare di fatto, la casa familiare veniva assegnata alla convivente cui erano stati affidati i figli nati da quella unione, motivandosi la decisione sulla base dell’interesse preminente sella prole naturale con applicazione analogica dell’art. 155 comma 5° cod.civ. (Foro It., 1982, I, 2032);
2) Tribunale di Genova Ordinanza del 31/03/1987 – a seguito della cessazione di una convivenza more uxorio, la casa familiare veniva assegnata alla donna affidataria della figlia nata da detta convivenza ed anche qui il Tribunale applicava in via analogica dell’art. 155 comma 5° cod.civ. sulla base della ratio della norma diretta a tutelare principalmente l’interesse della prole ( Dir. Fam. 1988, I, 285).

Sulla modifica dei provvedimenti di affidamento della prole:
1) Tribunale di Napoli Sentenza del 27/01/1985 – Si affermava il principio per il quale la nuova convivenza instaurata dalla madre di un bimbo nato da precedente matrimonio, non fosse per il bimbo stesso elemento di disagio, bensì di benessere che avrebbe garantito al minore maggiore stabilità affettiva, economia ed una maggiore sicurezza nei rapporti intersoggettivi ( Dir. Fam. 1985, 606);
2) Tribunale di Genova Sentenza del 22/09/1988 – Si affermava il principio per il quale la nuova famiglia di fatto di un genitore separato, ove costituisse un nuovo nucleo familiare favorevole alla crescita del minore per essere caratterizzata da armonia e stabilità, non solo non era da ritenersi ostativa all’affidamento della prole nata da precedente matrimonio, ma anzi veniva intesa come momento importante dello sviluppo psico-fisico del minore (Dir. Fam. 1990, 871);

Sulla rilevanza della famiglia di fatto nel nostro ordinamento:
1. Pretura di Genova Sentenza del 17/07/1979 – Il Giudice affermava i principi per i quali i) la famiglia di fatto aveva rilevanza per il nostro ordinamento quando ricorrevano stabile convivenza, solidarietà reciproca dei conviventi, riconoscimento dei figli nati durante la convivenza; ii) l’espressione “moglie” sarebbe stata una espressione meno tecnica rispetto a quella di “coniuge” permettendo di intendere come “moglie” anche la convivente soprattutto alla luce della Legge 151/1975 che aveva parificato in molti settori la moglie di fatto a quella di diritto; iii)  una interpretazione troppo restrittiva della sarebbe stata in contrasto con gli artt. 2 e 30 Cost. ( Dir. Fam. 1981, 203) ;
2. Corte di Cassazione Sentenza n. 3035 del 08/05/1980 – La Corte, decidendo su alcuni casi di dichiarazione di adottabilità, distingueva, nei casi di convivenza more uxorio, le ipotesi di semplici relazioni sentimentali da quelle integranti una vera e propria famiglia di fatto che permetteva ai minori di sviluppare la propria personalità (Foro It., 1981, I, 72) ;

In Materia Fiscale:
1. Corte di Cassazione Sentenza n. 2744 del 10/07/1957 – Sollecitata a rispondere in materia fiscale, la Corte affermava che il convivente di fatto, i cui redditi fossero stati ricompresi nell’insieme di quelli tassati con l’imposta di famiglia, era responsabile solidalmente col debitore d’imposta iscritto a ruolo per il pagamento dei relativi tributi ( Giust. Civ. 1957, I, 2109);
Sulla costituzione di parte civile:
1) Corte d’Assise di Genova Sentenza del 18/03/1982 – Si affermava la legittimità della costituzione di parte civile da parte della convivente di un uomo vittima di un incidente. Questa sentenza vedeva un precedente importante nella sentenza di Cassazione n. 169 del 24/01/1958 pubblicata in  Resp. Civ. e Prev. 1958, 493 (Giur. Mer. 1983, II, 433).
Sull’esercizio della potestà sui figli:
1) Corte d’Appello di Venezia Sentenza del 26/11/1990 – In una ipotesi di separazione di una famiglia naturale, si affermava il principio per il quale, nel caso in cui tra i genitori vi fosse stato accordo in tal senso, sarebbe stato possibile l’esercizio congiunto della potestà anche in relazione a situazioni di fatto, applicandosi in via analogica quanto previsto per la famiglia legittima ex legge 898/1970 ( Dir. Fam. 1991, 570).
Sulla conclusione di un affare familiare:
Tribunale di Bari Sentenza del 21/01/1977 – il Giudice affermava il principio per il quale anche in caso di convivenza more uxorio,  l’acquisto di una casa di abitazione presentava tutte le connotazioni economiche, sociali e psicologiche di un affare familiare caratterizzandosi come il frutto di una collaborazione tra i componenti del nucleo familiare naturale, ottenuto con mezzi appartenenti ad entrambi i conviventi (Dir. Fam. 1979, 1186).

Conclusioni.

L’excursus storico appena delineato, prendendo spunto dalla recentissima sentenza del Gennaio 2014 in commento, raggiunge questo unico e certo risultato: nonostante i molteplici processi evolutivi in via interpretativa e normativa determinati anche dalla veloce evoluzione del costume sociale ( che ha visto l’ampliarsi dei fenomeni familiare di natura consensuale e non istituzionale) ancora oggi il nostro ordinamento non presenta un inquadramento chiaro della famiglia naturale, lasciandone irrisolti e senza regolamentazione molti sui aspetti.
Si è cercato di utilizzare le consuete “soluzioni tampone” per arrivare a riconoscere ciò che formalmente ancora si tralascia, dimenticando però che, in mancanza di un espresso inquadramento, la famiglia di fatto mantiene ancora con la famiglia istituzione delle differenze che non sono state né colmate con la legislazione speciale, né si possono risolvere con l’applicazione analogica della famiglia legittima ( si pensi ad es. alla presunzione legale di concepimento che, tipica della famiglia legittima, non trova stesso spazio nella famiglia naturale dove, in mancanza di un volontario riconoscimento da parte del padre, occorre fornire la prova positiva dell’esistenza del rapporto all’epoca del concepimento affinchè di ottenga la dichiarazione giudiziale di paternità) .
Si sente ormai sempre più impellente, pertanto, la necessità di un nuovo assetto normativo che raccolga, coordini e  sottoponga a norma la tutela della famiglia naturale che oggi poggia ancora su un quadro frammentario e non organico.
Non dimenticando mai però come l’evoluzione del costume sociale imponga continui mutamenti al diritto di famiglia e che, citando il Trabucchi, “quello familiare è un campo che si sottrae all’applicazione rigorosa delle rigide figure del diritto e degli strumenti tecnici generali del diritto, proprio per il suo contenuto umano “ ( Trabucchi in Commentario al diritto di famiglia a cura di Oppo, Cian, Trabucchi – Cedam-  Padova)
 


Autore: Claudia Blandamura


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