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La prescrizione in materia previdenziale: profili problematici e le soluzioni adottate nella recente giurisprudenza della Corte di Cassazione e nella prassi amministrativa.

1. La prescrizione. 2. Natura e fondamento. 3. La prescrizione dell'indennità di maternità. 3.1. Premessa. 3.2. La prescrizione dell'indennità di maternità nella giurisprudenza. 3.3. La fattispecie concreta. 3.4. Il quadro normativo di riferimento. 3.5. L'indennità di maternità nella prassi amministrativa. 5. La prescrizione dei contributi previdenziali e assistenziali. 5.1. Premessa. 5.2. Il quadro normativo di riferimento. 5.3. La prescrizione dei contributi previdenziali e assistenziali nella giurisprudenza. 5.4. La fattispecie concreta. 5.5. La denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti. 5.6. L'idoneità degli atti conservativi del termine decennale. 5.7. L'adeguamento della prassi amministrativa alla giurisprudenza. 6.Conclusioni.

1. La prescrizione
Secondo quanto stabilito dall'art. 2934 c. c. ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare, non lo esercita per il tempo determinato dalla legge. Si ritiene(1), tuttavia, che la norma parli impropriamente di estinzione del diritto, se la prescrizione operasse nel senso di estinguere il diritto non si comprenderebbe la regola posta dal successivo art. 2940 e.e, secondo cui non è possibile chiedere la restituzione di quanto pagato in adempimento di un debito prescritto.

Infatti, se il debito fosse estinto, il pagamento non sarebbe dovuto e se effettuato dovrebbe essere restituito. Pertanto, il diritto più che estinguersi perde la propria forza, nel senso che, se si agisce in giudizio, il terzo potrà eccepire la prescrizione, e in tal modo arresta l'iniziativa giurisdizionale. Se tale eccezione non viene opposta, il diritto potrà essere fatto valere ad ogni effetto. Altri(2) preferiscono parlare di estinzione dell'azione, piuttosto che di estinzione del diritto. Da questa breve descrizione si può affermare che i presupposti dell'istituto sono(3):
1) un diritto soggettivo che può essere esercitato e non imprescrittibile;
2) il mancato esercizio del diritto (inerzia da parte del titolare);
3) il decorso del tempo previsto dalla legge.

Con riguardo alle specifiche regole sulla prescrizione, l'art. 2936 stabilisce che è nullo ogni patto diretto a modificare la disciplina legale della prescrizione. La norma precisa che i precetti dettati dalla legge non sono derogabili convenzionalmente dalle parti, dunque, non possono essere stabilite eccezioni tendenti all'eliminazione, prolungamento o all'abbreviazione dei termini. Il divieto si riferisce anche a quelle modifiche riguardanti, quindi la decorrenza, le cause di sospensione o di interruzione. La nullità del patto inteso a modificare la disciplina legale della prescrizione fonda la sua ratio, sulla considerazione che la prescrizione è un istituto di ordine pubblico, e la sua normativa è pertanto inderogabile e, tra i cui fini, vi è quello di assicurare che ciascun soggetto possa godere della tutela legislativa in piena libertà, senza essere indotto per un motivo o per l'altro a subirne le modificazioni.

Il successivo art. 2937 stabilisce che solo dopo che sia trascorso il tempo stabilito, è consentita la rinuncia che è un atto di dismissioni di un diritto da parte del suo titolare, atto unilaterale a carattere non recettizio, che dipende esclusivamente dalla volontà di chi lo compie.

La prescrizione, al fine di operare, presuppone dunque il mancato esercizio di un diritto per un dato tempo. Questo tempo è fissato inderogabilmente dalla legge in misura variabile secondo i casi, infatti, l'art. 2946 e.e, stabilisce che, salvi i casi in cui la legge dispone diversamente, i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni. La norma in oggetto è di portata generale, nel senso che se non è previsto un termine più breve o più lungo di prescrizione, si applicherà quello generale. Si tratta di una norma di chiusura, ovvero applicabile ove il legislatore non abbia specificatamente previsto un termine diverso. Come per esempio, il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito che si prescrive in cinque anni (art. 2947 c.c.), in due anni si prescrive, invece, il risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli di ogni specie. L'art. 2948 c.c., prevede altri casi di prescrizione di diritti in cinque anni, mentre l'art. 2955 c.c. contempla casi di prescrizione in un anno, l'art. 2956 in tre anni. Infine, la legge regola anche le prescrizioni denominate presuntive, che sono caratterizzate dal fatto che, trascorso un certo periodo di tempo indicato variamente dagli artt. 2954 - 2956, il diritto si presume estinto per intervenuto pagamento. Si tratta di una presunzione iuris tantum di estinzione, salvo la prova contraria, secondo le regole degli artt. 2959-2960.

Il termine di prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935 c.c.). E' stato evidenziato in dottrina che l'inerzia non rileva in quanto tale, ma esclusivamente l'inerzia che, configurandosi come incuria e disinteresse rispetto al diritto e alla sua tutela, sia giuridicamente e socialmente apprezzabile come non esercizio di una situazione giuridica soggettiva(4). Se l'inerzia del titolare del diritto è giustificata o viene a mancare, la prescrizione non decorre più, si delineano, così, i due istituti della sospensione e dell' interruzione.

Il legislatore ha previsto talune cause di sospensione e di interruzione, la prima, si verifica quando l'inerzia del titolare permane, ma trova giustificazione in particolari situazioni espressamente previste dalla legge, durante le quali, la prescrizione, viene provvisoriamente arrestata(5). La giurisprudenza(6), reputa che i casi di sospensione siano tassativi, ossia solo quelli previsti dalla legge. Si ha interruzione della prescrizione, quando l'inerzia del titolare del diritto viene a mancare o perché compie un atto con quale esercita il suo diritto o perché il diritto viene riconosciuto dal soggetto passivo del rapporto(7). La differenza fra i due istituti consiste nel fatto che la sospensione apre una parentesi, l'interruzione è una frattura che impedisce di tener conto del tempo già trascorso, cosicché inizia a decorrere un nuovo periodo di prescrizione, mentre con la fine della sospensione, il computo del termine ricomincia, sommandolo, al periodo precedente.

2. Natura e fondamento
Gli orientamenti dottrinari in proposito sono molteplici, secondo alcuni(8) la prescrizione è la risposta all'esigenza di adeguamento alla situazione di fatto della situazione di diritto che risulta compromessa dell'inerzia del titolare. Altri,(9) ritengono che il fondamento della prescrizione sia da identificare nella necessità di assicurare un uso produttivo delle risorse. Secondo un diverso orientamento, la ratio andrebbe ricercata nella soddisfazione di esigenze di certezza giuridica(10), in questa direzione, la Corte costituzionale(11) in una non recente sentenza rileva che alla base della prescrizione vi è l'esigenza di certezza dei rapporti giuridici.


3. La prescrizione dell'indennità di maternità

3. 1. Premessa
L'indennità di maternità è un'indennità sostitutiva della retribuzione prevista dall'artt. 16 e 22 del D.Lgs 26 Marzo 2001, n.151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità) che viene pagata alle lavoratrici assenti dal servizio per gravidanza e puerperio.

Per ottenere l'indennità di maternità le lavoratrici:

• dipendenti devono avere un rapporto di lavoro in essere con diritto a retribuzione;
• domestiche devono aver versato almeno un anno di contributi nei due anni precedenti o
almeno sei mesi di contributi nell'anno precedente;
• agricole devono aver effettuato minimo 51 giornate di lavoro nell'anno precedente;
• autonome devono risultare iscritte negli elenchi degli artigiani o dei commercianti;
• parasubordinate devono avere un minimo di tre contributi mensili nei 12 mesi precedenti.
L'indennità di maternità per astensione obbligatoria, spetta per un periodo massimo di cinque mesi; per l'astensione facoltativa, per un periodo non superiore a undici mesi complessivi tra i due genitori, da fruire nei primi otto anni di vita del bambino. L'indennità di maternità è comprensiva di ogni altra indennità spettante per malattia, è corrisposta con le modalità di cui all'art. 1, del D.L. 30.12.1979, n. 663 convertito, con modificazioni, dalla legge 29.2.1080, n. 33. L'art. 2, definisce, variando la vecchia terminologia, che per congedo di maternità si intende l'astensione obbligatoria dal lavoro della lavoratrice.

3.2. La prescrizione dell'indennità di maternità nella giurisprudenza
La sentenza Corte di Cassazione - Sezione Unite - del 6.4.2012 n. 5572, nel panorama delle sentenze riguardanti la prescrizione dell'indennità di maternità, si distingue sia per la ricchezza delle argomentazioni giuridiche prospettate, nel l'affronta re i diversi aspetti problematici ed in una certa misura interessanti, sia per le soluzioni a cui è giunta.

In considerazione della profondità del ragionamento giuridico esposto, se ne riportano i più significativi stralci, che costituiscono una importante guida, anche come riassunto di tutte le questioni e decisioni che si sono susseguite in questi ultimi anni. Giova evidenziale che il cui punto nodale di divergenza, riguarda la modalità d'intendere la sospensione della prescrizione. Tale sentenza, nel risolvere la diatriba, compie con accuratezza un lungo excursus relativo alla giurisprudenza degli ultimi anni sull'argomento, confrontando le varie tesi, esaminandole ed evidenziando gli aspetti di pregio o le eventuali carenze e persino contrapponendole fra di loro, per poi giungere alla scelta della interpretazione più favorevole per la ricorrente, ma nel rispetto del quadro normativo non sempre chiaro.

3.3. La fattispecie concreta all'esame della sentenza della Corte di Cassazione - sezioni unite del 6.4.2012 n. 5572
La ricorrente con ricorso del 28 ottobre 1999 adiva il tribunale di Roma per vedersi riconoscere l'indennità di maternità per il periodo di astensione obbligatoria dal 15 dicembre 1998 al 15 maggio 1999 e chiedeva la condanna dell'Inps al pagamento di tale prestazione, previa declaratoria incidentale della sussistenza del rapporto di lavoro con l'azienda.

L'Inps si costituiva resistendo alla domanda. Con sentenza del 9 ottobre 2002, il Tribunale di Roma respingeva la domanda della lavoratrice accogliendo l'eccezione di prescrizione sollevata dall'Inps nella memoria di costituzione. Successivamente, la stessa, proponeva appello deducendo che ai sensi dell'art. 2135 c. c. la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere; regola questa che - sosteneva l'appellante - trovava applicazione anche alla prescrizione annuale di cui all'art. 6 della legge n. 138 del 1943, cui era soggetta la prestazione richiesta all'Inps. Con sentenza del 22 aprile 2009, la Corte di appello di Roma respingeva il gravame della lavoratrice, affermando che, con riferimento alla sua domanda del 30 ottobre 1997, seguita dal ricorso amministrativo proposto il 15 gennaio 1999 e dall'azione giudiziaria intrapresa il 28 ottobre 1999, era maturata la prescrizione annuale ex lege n. 138 del 1943, in quanto l'inizio della decorrenza del termine breve annuale doveva farsi coincidere con il giorno in cui si erano perfezionati i requisiti costitutivi del diritto e che la durata del procedimento amministrativo non incideva sul predetto termine in mancanza di specifica previsione. Rilevava, in particolare, che doveva ritenersi maturata la prescrizione, atteso che era decorso il termine annuale prima della proposizione del ricorso amministrativo del 15 gennaio 1999, mentre il provvedimento amministrativo del 19 ottobre 1998 (di rigetto della richiesta della prestazione) non poteva in alcun modo ritenersi interruttivo del corso della prescrizione perché l'effetto interruttivo poteva riconoscersi solo all'accertamento del diritto e non anche alla sua negazione.

Successivamente, la lavoratrice propone ricorso per cassazione rilevando che la corte territoriale non abbia considerato che l'INPS avrebbe dovuto provvedere sulla domanda amministrativa del 30 ottobre 1997 della lavoratrice entro 90 (o 120) giorni e che, pertanto, il provvedimento negativo implicito (silenzio rifiuto) doveva datarsi 31 gennaio 1998 (o 28 febbraio 1998) e che, conseguentemente, essendo stato il ricorso amministrativo proposto il 15 gennaio 1999, il suo diritto in ogni caso non poteva considerarsi prescritto. In particolare la ricorrente invoca la giurisprudenza di questa Corte costituita dalla sentenza n. 1396 del 4 febbraio 2002 che ha affermato che il termine prescrizionale annuale del diritto all'indennità di malattia e di maternità inizia a decorrere dalla data di formazione del silenzio rifiuto ai sensi dell'art. 7 della legge n. 533 del 1973 sulla domanda rivolta all'Inps.

In considerazione di questi dati iniziali la Corte nel rimettere la questione alle sezioni unite ha quindi formulato il seguente quesito di diritto: dica la Corte se, in materia di trattamento d'indennità di maternità, il termine breve annuale di prescrizione, di cui all'art. 6 della legge n. 138 del 1943, inizia a decorrere dal giorno in cui può esser fatta valere, ai sensi dell'art. 2935 c.c., e cioè, nel caso di silenzio rifiuto ai sensi dell'art. 7 della legge n. 533 del 1973, dalla data di formazione dello stesso (cioè dopo 120 giorni dalla data di presentazione della domanda), ovvero - in caso di eventuale ricorso amministrativo contro il provvedimento negativo dell'Inps ai sensi dell'art. 46, quinto comma, legge n. 88 del 1989 - (dopo 90 giorni) dalla comunicazione del ricorso amministrativo stesso o dalla data del ricorso amministrativo, valida per l'interruzione. (dopo altri 90 giorni).

A questo punto al fine di poterli brevemente commentare, vengono riportati qui di seguito ampi e significativi stralci della sentenza in argomento, la Corte inizia il suo ragionamento, con una premessa, che, in sostanza, già prima era stata rimessa la questione alle sezioni unite per lo stesso contrasto giurisprudenziale:

Giova premettere che con una precedente ordinanza interlocutoria del 18 luglio 2008 la sezione lavoro aveva già rimesso altra causa al Primo Presidente per l'assegnazione alle Sezioni Unite, ravvisando nella giurisprudenza della sezione lo stesso contrasto di giurisprudenza circa gli effetti sospensivi del decorso del termine di prescrizione, da riconoscersi alla domanda di prestazione previdenziale. Si era già rilevato che in alcune pronunce(12) la Corte aveva ritenuto l'applicabilità del disposto dell'art. 97, quinto comma, R.D.L. n. 1827 del 1935, convertito in L. n. 1155 del 1936, in base al quale 'il procedimento in sede amministrativa ha effetto sospensivo dei termini di prescrizione', siccome non modificato dalla sopravvenuta normativa in tema di ricorsi amministrativi (d.P.R. n. 639 del 1970, artt. 44, 45 e 46 dapprima; legge n. 88 del 1989, art. 46, successivamente) enunciando il principio di diritto secondo cui 'In tema di prescrizione annuale del diritto di ottenere dal Fondo di garanzia gestito dall'INPS il pagamento delle retribuzioni relative agli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro, secondo la previsione del d.lgs. n.80 del 1992, art. 2, comma 5, la presentazione della prescritta domanda, secondo le norme che regolano il conseguimento delle prestazioni previdenziali, ai sensi della L. n. 88 del 1989, artt. 25 e 46, oltre a costituire atto interruttivo della prescrizione, determina l'apertura del procedimento amministrativo preordinato alla liquidazione, cosicché il decorso della prescrizione resta sospeso fino alla sua conclusione'.

Secondo invece un diverso orientamento(13) nessuna efficacia poteva riconoscersi alla previsione della sospensione del termine di prescrizione di cui all'art. 97 del R.D.L. n. 1827 del 1935, cit., trattandosi di disposizione -contenuta nella disciplina dei ricorsi, ivi prevista all'interno del titolo terzo ("ricorsi e controversie") - tacitamente abrogata per incompatibilità a seguito dell'intervenuta nuova regolamentazione dell'intera materia del 'contenzioso amministrativo', ad opera, dapprima, del d.P.R. n. 639 del 1970 (artt. 44 e 46, inseriti all'interno del titolo terzo ricorsi e controversie in materia di prestazioni') e, poi, della legge n. 88 del 1989 (art. 46, intitolato 'contenzioso in materia di prestazioni', che al comma primo ha abrogato la precedente disciplina dettata dal d.P.R. n. 638 del 1970, artt. 44 e 47 cit.), non assumendo rilievo che, in altri procedimenti contenziosi relativi ai riconoscimento di prestazioni analoghe, la legge preveda la sospensione della prescrizione (cfr. d.P.R. n. 1124 del 1965, art. 111). Si è osservato inoltre che non rileva a tal fine la previsione d'improcedibilità della domanda giudiziale prima della definizione del procedimento amministrativo e del decorso dei termini all'uopo fissati, improcedibilità che è destinata ad operare esclusivamente in relazione alla proposizione della domanda giudiziale, non potendo incidere sulla determinazione del decorso della prescrizione, atteso che il diritto agli accessori, in caso di ritardo nell'erogazione della prestazione, può essere fatto valere al centoventunesimo giorno dalla presentazione della domanda amministrativa, mentre la "procedimentalizzazione" delle varie fasi attiene alle modalità di tutela dei diritto ma non costituisce un impedimento al suo esercizio.

Con decisione del 17 settembre 2009 n. 19992, le Sezioni Unite hanno ritenuto che la questione relativa al decorso del termine di decadenza di cui all'art. 47 d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, anch'essa rimessa all'esame della Corte, costituisse autonomo fondamento della decisione impugnata e che quindi era superfluo l'esame anche dell'ulteriore questione attinente alla prescrizione.

In seguito, la sezione lavoro con ordinanza n. 5294 del 3 febbraio 2011 - 11 marzo 2011 ha rimesso la causa al primo presidente per l'assegnazione alle sezioni unite, che sono state nuovamente investite del medesimo contrasto in giurisprudenza.

A questo punto la Corte, anticipando la soluzione, evidenzia che, "Centrale nell'esame dell'insorto e perdurante contrasto di giurisprudenza è il citato art. 97, quinto comma, R.D.L. n. 1827 del 1935". Infatti, tutto ruota attorno alla vigenza o meno dell'art. 97, quinto comma, R.D.L. n. 1827 del 1935, convertito nella legge 6 aprile 1936 n. 1155, decidere in un senso o nell'altro incide sulla maturazione o meno della prescrizione dell'indennità.
 
E' importante, preliminarmente, ricordare che l'art. 15 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, nel prevedere l'indennità di maternità in favore delle lavoratrici madri, stabilisce che essa è corrisposta con gli stessi criteri previsti per la erogazione delle prestazioni dell'assicurazione obbligatoria contro le malattie dall'ente assicuratore di malattia presso il quale la lavoratrice è assicurata.

Trova quindi applicazione in particolare - ciò che è pacifico in causa - l'art. 6, sesto comma, della legge 11 gennaio 1943, n. 138, che prevede che l'azione per conseguire le prestazioni, di cui alla legge medesima, si prescrive nel termine di un anno dal giorno in cui esse sono dovute.

L'erogazione della prestazione presuppone la domanda della lavoratrice madre all'ente previdenziale, domanda che, ai sensi dell'art. 7 della legge n. 533 del 1973, si intende respinta quando siano trascorsi 120 giorni dalla data della presentazione senza che l'istituto assicuratore si sia pronunciato (in generale la previa domanda amministrativa all'istituto condiziona la proponibilità della domanda giudiziale: Cass., sez. lav., 28 dicembre 2011, n. 29236).

Intervenuto il provvedimento negativo o formatosi il silenzio rigetto per l'inutile decorso del suddetto termine di 120 giorni, la lavoratrice madre può proporre ricorso amministrativo al comitato provinciale dell'istituto assicuratore nel termine di 90 giorni di cui all'art. 46 legge 9 marzo 1989, n. 88; disposizione questa che prevede un ulteriore termine di 90 giorni per la decisione del ricorso, in mancanza della quale, entro tale termine, il ricorso si intende respinto a tutti gli effetti e l'assicurata ha la facoltà di adire l'autorità giudiziaria.

Quindi, dopo la domanda della prestazione, nella specie, dell'indennità di maternità, in mancanza di atti di messa in mora o comunque idonei ad interrompere il decorso del termine annuale di prescrizione, vi è in ogni caso il ricorso amministrativo che ha certamente tale idoneità. Cfr. Cass., sez. lav., 1 marzo 1993, n. 2509, che ha puntualizzato che la decorrenza del termine prescrizionale annuale previsto dall'art. 6, ultimo comma, L. 11 gennaio 1943 n. 138 (applicabile al diritto all'indennità giornaliera di maternità di cui all'art. 15 L. 30 dicembre 1971, n. 1204) è interrotta sia dalla domanda all'Istituto di pagamento della prestazione, sia dal ricorso amministrativo avverso il provvedimento (espresso o tacito) di rifiuto dell'erogazione, che comportano entrambi, ai sensi dell'art. 2943, quarto comma, c. c. la costituzione in mora dell'ente debitore.

Ciò che è certo nel caso di specie è che dalla data della domanda dell'indennità di maternità (30 ottobre 1997) sino a quella della proposizione del ricorso amministrativo (15 gennaio 1999) è decorso più di un anno sicché rileva - ed è determinante ai fini del decidere - stabilire se il termine di prescrizione rimane sospeso (come sostiene la difesa della ricorrente nel suo unico motivo di ricorso), o no (come affermato dalla sentenza impugnata), per il periodo di tempo necessario per la formazione del silenzio rifiuto ai sensi dell'art. 7 della legge n. 533 del 1973, che - come già rilevato - prevede che in generale, in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie, la richiesta all'istituto assicuratore si intende respinta, a tutti gli effetti di legge, quando siano trascorsi 120 giorni dalla data della presentazione, senza che l'istituto si sia pronunciato; questione questa che si inquadra in quella più ampia concernente la sospensione, o no, del termine di prescrizione durante il procedimento amministrativo tout court, sia quello ordinario che si conclude con il provvedimento di accoglimento o di rigetto (espresso o tacito) della domanda, sia quello contenzioso che si conclude con  l'accoglimento o con  il  rigetto (anch'esso espresso o tacito) del ricorso amministrativo.

Il contrasto di giurisprudenza, riguarda questo profilo più generale, perché costituisce il presupposto interpretativo, da cui consegue, come inferenza logica, la regola iuris da applicarsi nella specie per la valutazione del vizio di violazione di legge dedotto dalla ricorrente, anche se i contrastanti orientamenti giurisprudenziali, appaiono in realtà, con riferimento al 'caso particolare' oggetto del ricorso, convergere per l'accoglimento del ricorso stesso.

Il panorama giurisprudenziale sul tema è variamente articolato.

Vi è un primo orientamento giurisprudenziale che ha ritenuto che il termine per la formazione del silenzio - rifiuto di cui all'art. 7 della legge n. 533 del 1973 non sia computabile ai fini del decorso del termine di prescrizione, che pertanto deve ritenersi sospeso per il tempo necessario per la formazione del silenzio rifiuto (120 giorni) e che a questo periodo di sospensione occorre aggiungere un ulteriore termine di 90 giorni per la proposizione del ricorso amministrativo. In particolare Cass., sez. lav., 26 agosto 1997, n. 8042, ha affermato che il termine prescrizionale annuale del diritto all'indennità di malattia previsto dall'ultimo comma dell'art. 6 L. 11 gennaio 1943 n. 138, inizia a decorrere dalla data di formazione del silenzio - rifiuto, ex art. 7 L. 11 agosto 1973, n. 533, sulla domanda rivolta all'Inps per ottenerla, salvi gli effetti dell'eventuale ricorso contro tale provvedimento a norma dell'art. 46 L. 9 marzo 1989, n. 88, la proposizione del quale implica la non computabilità, ai fini prescrizionali, del successivo periodo di novanta giorni previsto dal sesto comma della medesima disposizione, decorso il quale l'interessato ha facoltà di adire l'autorità giudiziaria.

Una conferma di tale orientamento si ha con Cass., sez. lav., 4 febbraio 2002, n. 1396, che costituisce un precedente più specifico perché riguarda proprio l'indennità di maternità. La corte - nel porsi il problema se, proposta la domanda amministrativa diretta ad ottenere la corresponsione dell'indennità di maternità, il termine di prescrizione annuale decorra dalla data della proposizione della domanda amministrativa ovvero da quella dell'inutile decorso del termine di 120 giorni di cui all'art. 7 citato - risolve la questione ritenendo la sospensione del termine prescrizionale, così prestando adesione alla precedente sentenza n. 8042 del 1998. Ed infatti ribadisce che il termine prescrizionale annuale, previsto dall'ultimo comma dell'art. 46 legge 11 gennaio 1943 n. 138, inizia a decorrere dalla data di formazione del silenzio - rifiuto, ex art. 7 legge 11 agosto 1973 n. 533, sulla domanda rivolta all'INPS per ottenerla, salvi gli effetti dell'eventuale ricorso contro il detto provvedimento a norma dell'art. 46, quinto comma, legge 9 marzo 1989 n. 88, la proposizione del quale implica la non computabilità, ai fini prescrizionali, del successivo periodo di novanta giorni previsto dal sesto comma della medesima disposizione, decorso il quale l'interessato ha facoltà di adire l'autorità giudiziaria.

Successivamente il problema è stato riesaminato funditus da Cass., sez. lav., 10 giugno 2003, n. 9286, che ha affermato che il diritto della lavoratrice agricola all'indennità di maternità - che, nella sussistenza delle condizioni legislativamente stabilite per l'acquisizione della qualità di lavoratrice agricola, nasce direttamente dalla legge, e non dagli atti amministrativi dell'Inps, che hanno mero valore ricognitivo - soggiace al medesimo regime di prescrizione stabilito per l'indennità di malattia dall'art. 6, ultimo comma, L. 11 gennaio 1943 n. 138, e perciò si prescrive in un anno dalla data della sua acquisizione, senza che sia attribuita a provvedimenti dell'istituto (quale, nella specie, la comunicazione alla richiedente della sospensione della pratica in attesa di accertamenti sull'esistenza del rapporto di lavoro subordinato e sulla validità della iscrizione negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli) la idoneità a determinare la sospensione di detto termine, il quale resta invece sospeso, a norma dell'art. 97, ultimo comma, r.d.l. n. 1827 del 1935, per effetto e per tutta la durata - variabile in funzione della eventuale formazione del silenzio rifiuto sulla domanda ovvero della proposizione del ricorso amministrativo avverso il provvedimento di rigetto della domanda stessa - del procedimento in sede amministrativa. In particolare in questa pronuncia la Corte ha precisato che occorre prendere le mosse dall'art. 97, ultimo comma, r.d.l. 4 ottobre 1935 n. 1827, convertito nella legge 6 aprile 1936 n. 1155. I primi quattro commi dell'art. 97 disciplinavano invero il regime dei ricorsi amministrativi, che è stato successivamente novellato ad opera degli artt. 44, 45 e 46 del DPR 30 aprile 1970 n. 639 (emanato in forza delle deleghe conferite con gli artt. 27 e 29 della legge 30 aprile 1969 n. 153), ed ulteriormente modificato dall'art. 46 della legge 9 marzo 1989 n. 88. Ma - ha rilevato questa corte nella citata pronuncia - nessuna modifica né abrogazione è stata invece operata in relazione all'ultimo comma dell'art. 97, il quale prevede che 'Il procedimento in sede amministrativa ha effetto sospensivo dei termini di prescrizione'. La ratio della disposizione è quella, da un lato, di esimere l'assicurato (che non potrebbe adire il giudice, essendo l'azione improcedibile per il mancato completamento del procedimento amministrativo) dall'onere di effettuare continui atti interruttivi nel corso del procedimento medesimo, e dall'altro lato di non aggravare l'Ente previdenziale con continue sollecitazioni.

Questo ribadito orientamento giurisprudenziale è stato poi ulteriormente confermato, anche se non con riferimento alla indennità di maternità, da Cass., sez. lav., 15 novembre 2004, n. 21595, che ha affermato che, in tema di prescrizione annuale del diritto di ottenere dal fondo di garanzia gestito dall'Inps il pagamento delle retribuzioni relative agli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro, secondo la previsione dell'art. 2, quinto comma, d.lgs. n. 80 del 1992, la presentazione della prescritta domanda, secondo le norme che regolano il conseguimento delle prestazioni previdenziali, ai sensi degli artt. 25 e 46 L. n. 88 del 1989, oltre a costituire atto interruttivo della prescrizione, determina l'apertura del procedimento amministrativo preordinato alla liquidazione, cosicché il decorso della prescrizione resta sospeso fino alla sua conclusione (che, nel caso di silenzio dell'istituto e di mancata proposizione nei termini del ricorso amministrativo, si ha dopo duecentodieci giorni, di cui centoventi dalla domanda e novanta fissati per la proposizione del ricorso, ai sensi dell'art. 46 cit. L. n. 88 del 1989).

Ulteriore conferma di tale orientamento giurisprudenziale, con riferimento all'indennità di maternità, si rinviene in Cass., sez. lav., 14 febbraio 2004, n. 2865, che ha ulteriormente ribadito che l'indennità di maternità, di cui all'art. 15 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, matura di giorno in giorno e si risolve in un complesso di diritti a ratei giornalieri; l'azione per conseguire l'indennità si prescrive nel termine di un anno dal giorno in cui i ratei sono dovuti; una volta presentata tempestiva domanda amministrativa, l'obbligo di pagamento dei ratei decorre, per l'ente previdenziale, dal giorno di maturazione degli stessi, sicché il silenzio rifiuto dell'ente si perfeziona con il decorso di 120 giorni dalla data di presentazione della domanda, per i ratei maturati contestualmente o precedentemente alla stessa e tempestivamente richiesti, e dal giorno di maturazione di ciascun rateo per quelli maturati successivamente alla domanda amministrativa; avverso il provvedimento di diniego o il silenzio rifiuto l'interessato ha il termine di 90 giorni per presentare ricorso amministrativo, ricorso che si ha per respinto dopo ulteriori 90 giorni dalla sua presentazione; il procedimento in sede amministrativa, ai sensi dell'art. 97, ultimo comma, del r.d.l. n. 1827 del 1935, ha effetto sospensivo dei termini di prescrizione.

A fronte dell'indirizzo giurisprudenziale di cui si è detto finora deve registrarsi, nel 2006, un orientamento di segno opposto, espresso da Cass., sez. lav., 12 aprile 2006, n. 8533, e altre sentenze(14) che ha affermato che, in tema di interessi legali e rivalutazione monetaria sui ratei pensionistici erogati successivamente al centoventunesimo giorno dalla domanda amministrativa e di prescrizione del relativo credito, il termine decennale non può rimanere sospeso in pendenza del procedimento amministrativo, per essere i casi di sospensione della prescrizione tassativamente indicati dalla legge, insuscettibili di applicazione analogica e di interpretazioni estensive. In particolare - ha affermato questa corte nella citata pronuncia - nessuna efficacia può riconoscersi alla previsione sospensiva dell'art. 97 del R.D.L. n. 1827 del 1935, trattandosi di disposizione - contenuta nella disciplina dei ricorsi, ivi prevista all'interno del titolo terzo ('ricorsi e controversie') - tacitamente abrogata per incompatibilità, ai sensi dell'art. 15 delle preleggi, a seguito dell'intervenuta nuova regolamentazione dell'intera materia del 'contenzioso amministrativo' ad opera, dapprima, del d.P.R. n. 639 del 1970 (artt. 44 - 46, inseriti all'interno del titolo terzo 'ricorsi e controversie in materia di prestazioni') e, poi, della legge n. 88 del 1989 (art. 46, intitolato 'contenzioso in materia di prestazioni', che all'ultimo comma ha abrogato la precedente disciplina dettata dagli artt. 44 - 47 del d.P.R. n.638 del 1970 cit.); né può assumere rilievo che in altri procedimenti contenziosi relativi al riconoscimento di prestazioni analoghe la legge preveda la sospensione della prescrizione (cfr. art. 111 d.P.R. n. 1124 del 1965). Invece la previsione di improcedibilità della domanda giudiziale prima della definizione del procedimento amministrativo e del decorso dei termini all'uopo fissati, è destinata ad operare esclusivamente in relazione alla proposizione della domanda giudiziale, non potendo incidere sulla determinazione del decorso della prescrizione in esame, atteso che il diritto agli accessori, in caso di ritardo nell'erogazione della prestazione, può essere fatto valere al centoventunesimo giorno dalla presentazione della domanda amministrativa, mentre la 'procedimentalizzazione' delle varie fasi attiene alle modalità di tutela del diritto e non costituisce un impedimento al suo esercizio.

Quindi tali pronunce del 2006, seguite in senso conforme da Cass., sez. lav., 28 marzo 2008, n. 8134, segnano un'inversione di giurisprudenza perché si pongono espressamente in contrasto, in particolare, con Cass. n. 9286 del 2003 e Cass. n. 11684 del 2005, cit., escludendo che il decorso del termine di prescrizione sia sospeso nel periodo di tempo necessario per la formazione dei silenzio rigetto del ricorso amministrativo, pur affermando nondimeno che la prescrizione (in quel caso, del diritto agli accessori) decorre dal 121 giorno dalla data di presentazione della domanda amministrativa, termine che vale per la formazione del silenzio rifiuto ai sensi dell'art. 7 della legge n. 533 del 1973.

Dall'esaminato quadro giurisprudenziale emerge un indirizzo uniforme e più volte confermato, secondo cui il decorso del termine di prescrizione è sospeso durante il tempo per la formazione del silenzio rifiuto dell'Istituto a cui l'assicurato abbia domandato la prestazione di previdenza (120 giorni di cui all'art. 7 della legge n. 533 del 1906). È invece controverso, più in generale, se esso sia sospeso anche durante il tempo per la formazione del silenzio rigetto sul ricorso amministrativo, che condiziona la procedibilità della domanda giudiziale (art. 443 c.p.c. ed in particolare art. 46 legge n. 88 del 1989), fronteggiandosi su tale questione un orientamento che tale sospensione ha predicato(15), contrastato da un opposto orientamento che l'ha invece esclusa(16).

Il denunciato contrasto di giurisprudenza, riguarda quindi, questo specifico profilo, nel contesto della più ampia questione dell'incidenza del decorso della prescrizione su diritti di natura previdenziale ed assistenziale nel periodo in cui l'azione giudiziaria non è procedibile ovvero (in passato) proponibile.

La questione controversa, pur formulata in questi termini più generali, si riferisce specificamente alla disciplina di settore concernente i diritti di natura previdenziale ed assistenziale, che godono della speciale protezione di cui all'art. 38 Cost.; essa si pone quindi in rapporto di specialità rispetto al contesto codicistico che, se da una parte prevede in generale (art. 2935 c. c.) che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, d'altra parte, per la sospensione del decorso di tale termine, contempla non già una norma di carattere generale, ma le ipotesi tipiche catalogate agli artt. 2941 e 2942 c. c. (per la tassatività di tali fattispecie di sospensione della prescrizione(17).

Ed è proprio in questa prospettiva di disciplina speciale che occorre partire dall'esame dell'art. 97 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, convertito nella legge 6 aprile 1936, n. 1155; disposizione questa che appartiene alla prima sistematica regolamentazione della previdenza sociale con l'istituzione dell'Inps, quale ente pubblico avente come missione la gestione delle assicurazioni obbligatorie. Tale norma - che, inserita nel titolo 5 (artt. 97 -109), recante la disciplina dei 'ricorsi' e delle 'controversie', era il perno del sistema di tutela 'contenziosa (ricorso amministrativo versus domanda giudiziale) del diritto dell'assicurato al conseguimento delle prestazioni di previdenza - fissava un duplice principio: da una parte (primo comma) si prevedeva che contro i provvedimenti dell'istituto concernenti le concessioni delle prestazioni assicurative previste dal regio decreto n. 1827/35 e in genere l'attuazione delle disposizioni del decreto stesso, era ammesso il ricorso in via amministrativa da parte degli assicurati (e dei datori di lavoro); d'altra parte (quarto comma) si prescriveva che non era ammesso il ricorso in via contenziosa (scilicet, innanzi all'autorità giudiziaria ordinaria) prima che fosse definito il ricorso in sede amministrativa.

Ciò rispondeva a una concezione, tipica di quegli anni, che vedeva la commistione di elementi privatistici e pubblicistici. Da una parte il sistema delle assicurazioni obbligatorie di previdenza si fondava su un modulo tipicamente privatistico, quello del rapporto di assicurazione che vedeva nascere, in favore del soggetto assicurato, veri e propri diritti soggettivi e non già meri interessi legittimi. D'altra parte il riconoscimento del diritto alle prestazioni di previdenza sociale era procedimentalizzato e sfociava in un provvedimento amministrativo dell'Inps, che poteva assegnare o negare la prestazione richiesta secondo che l'istituto ne ravvisasse, o meno, i presupposti; provvedimento che, pur non degradando la situazione di diritto soggettivo in interesse legittimo (talché la giurisdizione era del giudice ordinario), era comunque (a quell'epoca) suscettibile, ove non impugnato (in sede amministrativa), di diventare definitivo precludendo così l’azionabilità in giudizio del diritto maturato fino alla domanda amministrativa. Infatti la (eventuale) tutela giurisdizionale si innestava soltanto dopo che il procedimento amministrativo si fosse concluso.

Pertanto vi erano sì diritti soggettivi, ma la loro tutela giurisdizionale era, in un certo senso, "differita" all'esaurimento di un procedimento amministrativo composto da una fase non contenziosa (promossa con la domanda dell'assicurato tendente al riconoscimento della prestazione di previdenza) e da una contenziosa (attivata, di norma, dall'assicurato con l'impugnazione del provvedimento di diniego della prestazione).

Quella dell'Inps (ente pubblico non economico, appartenente alla pubblica amministrazione in senso lato) era un'attività provvedi menta le, pur sempre espressione di un pubblico potere, il cui esercizio condizionava in radice la tutela dei diritti soggettivi di natura previdenziale degli assicurati.

Al fondo di questa costruzione vi era la concezione per cui l'ente pubblico era deputato al bene comune ed il giudice non entrava in campo se non quando l'attività dell'ente pubblico non si fosse pienamente estrinsecata nel procedimento amministrativo ordinario e poi contenzioso.

L'assicurato, titolare di un diritto soggettivo di natura previdenziale, non poteva rivolgersi subito al giudice, ma inizialmente - e per un tempo non definito - doveva confidare sul buon andamento della pubblica amministrazione (alla quale apparteneva l'Inps). Potendo egli, ed anzi dovendo, proporre una domanda all'Inps, diretta ad ottenere la prestazione previdenziale alla quale egli riteneva di aver diritto, non poteva neppure dirsi che il diritto non potesse essere 'fatto valere' ai sensi e per gli effetti dell'art. 2935 e.e, che non richiede - e non richiedeva -l'immediata azionabilità in giudizio del diritto(18). Sicché, una volta integrati i presupposti di fatto per l'insorgenza del diritto, comunque cominciava il decorso della prescrizione, anche se inizialmente la tutela del diritto passava attraverso un procedimento amministrativo ordinario e poi contenzioso. Questo differimento della tutela giurisdizionale è stato ritenuto compatibile con l'art.   113  Cost.  che assicura  che contro  gli  atti  della  pubblica  amministrazione è sempre ammessa   la   tutela   giurisdizionale   dei   diritti   ed   interessi   legittimi   dinanzi   agli   organi   di giurisdizione ordinaria o amministrativa(19).

Ma già il legislatore del 1935, pur in un contesto precedente il riconoscimento del diritto alla tutela giurisdizionale da parte della Costituzione repubblicana, tenne conto dell'anomalia di un diritto soggettivo che non era esercitabile ancora davanti al giudice (ordinario), ma che intanto poteva estinguersi per il decorso del termine di prescrizione.

Di qui la norma - posta a cerniera tra immediatezza del riconoscimento del diritto soggettivo e differimento della sua tutela giurisdizionale - sulla quale è insorto il contrasto di giurisprudenza in esame (il quinto comma dell'art. 97 citato), che prevede(va): 'Il procedimento in sede amministrativa ha effetto sospensivo dei termini di prescrizione'.

Seppur collocata nel titolo quinto del citato regio decreto n. 1827 del 1935, che riguardava i 'ricorsi' e le 'controversie', la norma aveva in realtà una portata più ampia perché si riferiva al 'procedimento in sede amministrativa tout court, comprensivo del procedimento amministrativo ordinario e dell'eventuale successivo procedimento amministrativo contenzioso.

aIn sostanza il differimento della tutela giurisdizionale all'esito del procedimento amministrativo ordinario e contenzioso era bilanciato dalla previsione della sospensione del termine di prescrizione del diritto soggettivo, già sorto. Situazione questa che - una volta entrata in vigore la Costituzione repubblicana - si è ritenuta essere non di meno compatibile con la garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione(20) e della tutela giurisdizionale tout court(21).

Il collocamento di tale disposizione nel titolo quinto del regio decreto del 1935 non escludeva che in realtà la prevista sospensione del termine di prescrizione riguardasse soprattutto il procedimento amministrativo ordinario, che all'epoca non prevedeva un termine ultimo per il suo completamento, e solo marginalmente il procedimento amministrativo contenzioso, che per la sua conclusione già allora vedeva un termine ben preciso (60 giorni dalla data del ricorso avverso il provvedimento di diniego della prestazione previdenziale: art. 98 cit.), decorso il quale era possibile proporre la domanda al giudice ordinario.

La norma però, riferendosi all'uno (procedimento amministrativo ordinario) e all'altro (procedimento amministrativo contenzioso), era espressione di un principio di settore riconducibile alla più generale massima contra non valentem agere non currit praescriptio: quando l'assicurato, titolare di un diritto soggettivo di natura previdenziale, ha domandato la prestazione, ma non può adire il giudice (nel senso che la sua domanda sarebbe improponibile, com'era   in   passato,   o   improcedibile,   com'è   attualmente)   perché   l'iter   del   procedimento amministrativo non è completato, quanto meno non 'soffre' il decorso del termine di prescrizione, che è sospeso fin tanto che l'Istituto, che deve provvedere, non abbia provveduto ovvero non sia decorso il termine per provvedere.

Questo bilanciamento in chiave compensativa, che inizialmente rispondeva a una scelta discrezionale del legislatore dell'epoca, è poi divenuto essenziale ai fini della compatibilità con gli artt. 24 e 38 della Costituzione (sulla tutela giurisdizionale dei diritti di natura previdenziale) giacché sarebbe di assai dubbia legittimità costituzionale un assetto normativo secondo cui il diritto dell'assicurato, che abbia domandato la prestazione di previdenza, possa prescriversi anche per tutto il tempo in cui egli - che si è attivato domandando tempestivamente la prestazione all'istituto previdenziale - non può però adire il giudice perché la sua domanda sarebbe improcedibile (o addirittura, prima della riforma del rito del lavoro, improponibile).

La successiva riforma del 1970 (d.p.r. 30 aprile 1970, n. 639), in attuazione della delega, in particolare, per il riordino degli organi di amministrazione dell'Inps per l'attuazione del decentramento amministrativo (art. 27 legge 30 aprile 1969, n. 153) ha ristrutturato il procedimento amministrativo contenzioso prevedendo (artt. 44 - 47) un ricorso in prima istanza al comitato provinciale ed un ricorso in seconda istanza al comitato regionale (con la limitata possibilità di ricorso diretto agli organi centrali dell'istituto). Il doppio termine per proporre il ricorso amministrativo (in prima e di seconda istanza) e per la decisione dello stesso è rimasto fissato in 90 giorni.

Tra le disposizioni abrogate per incompatibilità non poteva esserci in particolare -conformemente a quanto ritenuto da Cass. n. 9286 del 200322, l'art. 97, quinto comma, citato, che continuava a prevedere che il procedimento in sede amministrativa aveva effetto sospensivo dei termini di prescrizione. Non solo la ristrutturazione del procedimento amministrativo contenzioso in chiave di decentramento amministrativo, con l'ampio coinvolgimento dei comitati provinciali delle decisioni dei ricorsi in prima istanza, non era affatto incompatibile con la previsione della sospensione del termine di prescrizione che tra l'altro - come già rilevato -riguardava in realtà anche e soprattutto il procedimento amministrativo ordinario (ossia pre -contenzioso) che non era oggetto della riforma del 1970. Ma anche il contenuto della delega del 1969, che riguardava di decentramento amministrativo dell'attività dell'Inps, non autorizzava il legislatore delegato a modificare tale speciale disposizione di tutela degli assicurati e di moderato riequilibrio della mancata previsione di un termine per l'Istituto di previdenza per decidere sulla domanda dell'assicurato.

L'ipotizzata abrogazione per incompatibilità dell'art. 97, quinto comma, citato avrebbe rappresentato una regressione di tutela per gli assicurati anche rispetto al livello del 1935 e un tale assetto normativo - per cui il diritto soggettivo a una prestazione di previdenza, tempestivamente richiesta dall'assicurato all'Istituto, non fosse azionabile in giudizio per un tempo non definito (quanto alla durata del procedimento amministrativo ordinario) e fosse non di meno suscettibile di estinzione per prescrizione, onerando così l'interessato di ripetuti atti di interruzione della  stessa  -  non  sarebbe  più  stato  compatibile con  gli  artt.   24 e  38  della Costituzione.

In realtà il decentramento amministrativo dell'Inps e la riforma del sistema dei ricorsi amministrativi non hanno inciso su questa norma di tutela (l'art. 97, comma quinto) per cui, una volta che l'assicurato avesse fatto tempestivamente ciò di cui egli era onerato (ossia la domanda di prestazione all'Istituto) e spettasse invece a quest'ultimo provvedere, il decorso del termine di prescrizione del diritto alla prestazione era sospeso; norma che continuava a svolgere quella funzione di bilanciamento e di riequilibrio per cui era stata originariamente concepita.

Solo successivamente, di lì a poco (nel 1973), con la riforma del processo del lavoro (L. n. 533 del 1973) si ha - non già l'abrogazione per incompatibilità - ma un ridimensionamento della portata dell'art. 97, quinto comma.

Si ha, infatti, che da una parte l'art. 7 della legge n. 533 del 1973 ha previsto che la richiesta all'istituto assicuratore si intende respinta, a tutti gli effetti di legge, quando siano trascorsi 120 giorni dalla data della presentazione, senza che l'istituto si sia pronunciato. D'altra parte rileva il nuovo art. 443, primo comma, c.p.c., introdotto dalla stessa legge n. 533 del 1973, che ha previsto che la domanda relativa alle controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie di cui al primo comma dell'art. 442 non è procedibile se non quando siano esauriti i procedimenti prescritti dalle leggi speciali per la composizione in sede amministrativa o siano decorsi i termini ivi fissati per il compimento dei procedimenti stessi o siano, comunque, decorsi centottanta giorni dalla data in cui è stato proposto il ricorso amministrativo (così superandosi ogni ipotesi d'improponibilità della domanda per il mancato preventivo esperimento del procedimento amministrativo contenzioso: art. 149 disp. att. c.p.c.).

In particolare quindi il legislatore del 1973 ha introdotto, come istituto generale, il silenzio rifiuto sulla domanda dell'assicurato eliminando così quello che costituiva l'aspetto di maggiore criticità dell'effettività della tutela degli assicurati. Con la riforma del 1973 i tempi sia del procedimento amministrativo ordinario che di quello contenzioso risultano ora ben fissati in generale (salvo disposizioni speciali): 120 giorni per la formazione del silenzio rifiuto sulla domanda dell'assicurato diretta ad ottenere la prestazione rivendicata; 180 giorni per la formazione del silenzio rigetto sul ricorso amministrativo proposto avverso il provvedimento di diniego ovvero il silenzio rifiuto.

In questo diverso contesto normativo, di elevazione del grado di tutela degli assicurati, si è avuto una corrispondente riduzione dell'area di applicabilità dell'art. 97, quinto comma, cit.. Chiamato a giocare un ruolo assai minore di bilanciamento e compensazione, limitato ormai solo al periodo di tempo in cui l'assicurato ha domandato la prestazione e l'istituto non ha provveduto nel termine di 120 giorni e successivamente ha impugnato il silenzio rifiuto (o il provvedimento negativo in ipotesi emesso prima della scadenza di tale termine) e gli organi deputati ad emettere la decisione sul ricorso amministrativo non abbiano provveduto nel prescritto termine (non superiore a quello di 180 giorni fissato dall'art. 443 c.p.c.).

Rimaneva (e rimane) quindi ancora come principio di settore, enucleabile dall'art. 97, quinto comma, citato, l'affermazione che il decorso del termine della prescrizione è sospeso in caso - e per il tempo - di inerzia giustificata (e quindi incolpevole) dell'assicurato, che abbia fatto ciò di cui egli è onerato (proposizione della domanda all'Istituto e successivamente proposizione del ricorso amministrativo) e che sia in attesa delle determinazioni dell'Istituto e degli organi preposti alla decisione dei ricorsi amministrativi, ossia in generale per il tenni ne di 120 giorni per la formazione del silenzio rifiuto ed il termine non superiore a 180 giorni per la formazione del silenzio rigetto.

Né tale principio risulta successivamente contrastato dalla legge n. 88 del 1989 di ristrutturazione dell'Inps che ha semplificato il procedimento amministrativo contenzioso con la previsione, in particolare, della definitività delle decisioni dei comitati provinciali sui ricorsi amministrativi. Neppure in questa circostanza, infatti, il legislatore ha inteso eliminare la speciale norma di tutela desumibile dall'art. 97, quinto comma, citato.

Si tratta di un principio di settore che si pone in termini di specialità rispetto ai principi generali desumibili dalla disciplina codicistica per cui da una parte la prescrizione comincia a decorrere solo dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935 c. c.) e d'altra parte sono tipiche le cause di sospensione del decorso del termine di prescrizione (artt. 2941 e 2942 e.e). Rapporto di specialità che in questa materia è simile a quello che caratterizza l'analogo principio di settore secondo cui il decorso del termine di prescrizione dei crediti retributivi del lavoratore subordinato è sospeso per tutto il tempo in cui il rapporto di lavoro non è assistito dalla garanzia della cosiddetta tutela reale23. Da ultimo non può non rilevarsi anche che la soluzione accolta, che predica la perdurante vigenza dell'art. 97, quinto comma, citato, pur con quella portata ridotta sopra precisata, risponde altresì all'esigenza che il processo interpretativo della normativa nazionale sia orientato alla maggiore conformità ai trattati internazionali (art. 111, primo comma, Cost.); ciò che postula il rispetto del principio del processo 'equo' posto dall'art. 6 Convenzione Europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, in sinergia con la garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.) ed ora anche con l'art. 47 della Carta diritti fondamentali UE, che assicura il diritto a un ricorso 'effettivo' al giudice; sicché l'inerzia giustificata - e quindi incolpevole - nell'agire in giudizio, per essere la domanda temporaneamente improcedibile, risulterebbe sanzionata in modo 'non equo' con l'estinzione del diritto per prescrizione o anche solo con il decorso del termine di prescrizione del diritto.

Questo argomentare conduce quindi - a composizione del denunciato contrasto di giurisprudenza - all'affermazione del principio di diritto seguente: con riferimento alle prestazioni di previdenza e assistenza, per le quali l'art. 97, quinto comma, r.d.l. n. 1827 del 1935 prevedeva - e prevede tuttora - che il procedimento in sede amministrativa ha effetto sospensivo dei termini di prescrizione, il decorso della prescrizione, che comincia solo se e quando il diritto può essere fatto valere (art. 2935 e.e), è sospeso durante il tempo di formazione del silenzio rifiuto a norma dell'art. 7 della legge n. 533 del 1973, che stabilisce che la richiesta all'istituto assicuratore di una prestazione di previdenza o assistenza si intende respinta, a tutti gli effetti di legge, quando siano trascorsi 120 giorni dalla data della sua presentazione, senza che l'Istituto si sia pronunciato - nonché durante il tempo in cui la domanda è improcedibile (art. 443 c.p.c.) per non essere ancora decorso, in generale, il termine di centottanta giorni dalla data in cui è stato proposto il ricorso amministrativo ovvero, in particolare, per non essere ancora esauriti i procedimenti prescritti dalle leggi speciali per la composizione in sede amministrativa ovvero decorsi i termini ivi fissati per il compimento dei procedimenti stessi, come nel caso delle prestazioni previste dall'art. 46 della legge n. 88 del 1989 (qual è, nella specie, l'indennità di maternità), che contempla il termine di 90 giorni per il ricorso al comitato provinciale e di ulteriori 90 giorni per la decisione di quest'ultimo.

3.4. Il quadro normativo di riferimento
Il quadro normativo di riferimento è quanto mai ricco ed ampio il testo base è, ovviamente, il D.Lgs 26 Marzo 2001, n.151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità), che ha disposto con l'art. 86, comma 2, lettera a) l'abrogazione dell'intera normativa precedente, cioè della Legge 30 dicembre 1971, n. 1204.

Anche la legge 533 del 1973, art. 7 è, come abbiamo visto sopra, di grande importanza per il pregio di aver fissato un termine certo di conclusione del procedimento. La legge n. 88 del 9 marzo 1989 - Ristrutturazione dell'Istituto nazionale della previdenza sociale e dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro - stabilisce all'art. 46, comma 5 e 6, i termini entro i quali si devono presentare i ricorsi amministrativi: comma, 5 "Il termine per ricorrere al comitato provinciale e di novanta giorni dalla data di comunicazione del provvedimento impugnato. 6. Trascorsi inutilmente novanta giorni dalla data della presentazione del ricorso, gli interessati hanno facoltà di adire l'autorità giudiziaria." Ma il riferimento normativo che, in questa vicenda, si è dimostrato risolutorio anche se particolarmente datato, è l'art. 97, quinto comma, r.d.l. n. 1827 del 1935, convertito nella legge 6 aprile 1936 n. 1155, il quale prevede che "Il procedimento in sede amministrativa ha effetto sospensivo dei termini di prescrizione".

3.5. L'indennità di maternità nella prassi amministrativa
L'indennità di maternità si prescrive dopo un anno dalla fine dell'evento, in caso di pagamento diretto dopo un anno dal giorno successivo all'ultimo indennizzabile(24) - ovvero dalla scadenza di ogni singolo periodo di paga (quadrimestrale o mensile) in cui il lavoratore avrebbe dovuto ricevere, da parte del datore di lavoro, l'indennità in caso di pagamento a conguaglio(25). Il procedimento in sede amministrativa ha effetto sospensivo (rinvia l'inizio della decorrenza della prescrizione o la sospende se la prescrizione ha già iniziato il suo corso) dei termini di prescrizione conseguentemente la presentazione della domanda di maternità sospende la prescrizione fino all'esaurimento della fase amministrativa(26). Il procedimento amministrativo può estrinsecarsi in diverse ipotesi applicative quindi il periodo di sospensione della prescrizione cambierà a seconda delle situazioni. In caso di mancata presentazione della domanda la prescrizione decorre dal giorno successivo alla cessazione del periodo indennizzabile, la presentazione del "certificato di assistenza al parto" o autocertificazione attestante il rapporto di parentale madre/figlio, ai fini della prescrizione produce gli stessi effetti della domanda di congedo di maternità, se accompagnato dalla richiesta scritta della lavoratrice madre di voler fruire della prestazione di maternità. La prescrizione può essere interrotta con richieste scritte,(27) (istanze, sollecitazioni, intimazioni ecc.) presentate dal lavoratore da un ente di Patronato o dal legale rappresentante del lavoratore stesso, con la conseguenza che il termine annuale ricomincia a decorrere dalla data di presentazione della richiesta o, se la stessa viene inviata, dalla data di ricezione all'Istituto. Può essere interrotta, altresì, dal riconoscimento del debito da parte dell'Istituto.

A partire dal 26.4.2012 i ricorsi amministrativi potranno essere presentati all'Inps esclusivamente attraverso il canale telematico o per tramite degli intermediari abilitati. Il ricorso amministrativo è necessario per la procedibilità delle controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie ai sensi dell'articolo 443 c.p.c. Concluso il periodo transitorio, quindi dal 26 aprile, per la domanda di ricorso amministrativo non potranno più essere presentate in modalità cartacea, ma solo attraverso uno dei seguenti canali:

-via Web - la richiesta telematica dei servizi è accessibile direttamente dal cittadino tramite PIN attraverso il portale dell'Istituto, www.inps.it nello spazio riservato ai "Servizi Online".

- tramite i patronati e tutti gli intermediari dell'Istituto, attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi.

Questa è una novità introdotta dal Decreto legge n.78 del 31 maggio 2010 convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 38, comma 5. In seguito, l'INPS con la Determinazione Presidenziale n. 75 del 30.7.2010 ha disposto l'estensione e il potenziamento dei servizi telematici offerti al cittadino.

Qualche tempo dopo, l'INPS con la circolare n. 32 del 10.2.2011, avente ad oggetto - Nuove modalità di presentazione dei ricorsi amministrativi. Utilizzo del canale telematico - ha disposto28, l'utilizzo esclusivo del canale telematico per la presentazione delle principali domande di prestazioni/servizi, stabilito che, a partire dal 21.2.2011 l'istanza relativa ai ricorsi amministrativi, in particolare per le ipotesi che rientrano nella previsione dell'articolo 443 c.p.c., "La domanda relativa alle controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie di cui al primo comma dell'articolo 442 non è procedibile se non quando siano esauriti i procedimenti prescritti dalle leggi speciali per la composizione in sede amministrativa o siano decorsi i termini ivi fissati per il compimento dei procedimenti stessi o siano, comunque, decorsi centottanta giorni dalla data in cui è stato proposto il ricorso amministrativo"...., dovrà avvenire attraverso una delle seguenti modalità con accesso telematico. Al fine di informare i potenziali interessati dell'innovazione introdotta, è comunque previsto un periodo transitorio di 60 giorni durante il quale saranno garantite le consuete modalità di presentazione dei ricorsi. Al termine del periodo transitorio l'impiego del canale telematico diventerà esclusivo ai fini della presentazione delle istanze in oggetto(29).

5. La prescrizione dei contributi previdenziali e assistenziali

5.1. Premessa
La legge 8 agosto 1995, n. 335, entrata in vigore il 17.8.1995, all'art. 3, commi 9 e 10, ha disciplinato, com'è noto, il nuovo regime di prescrizione della contribuzione di pertinenza del Fondo pensioni lavoratori dipendenti e delle gestioni pensionistiche, nonché di tutte le altre contribuzioni di previdenza e di assistenza obbligatoria.
L'interpretazione coordinata dei due commi dell'art.3, necessaria a definire l'esatta applicazione della norma, ha dato luogo ad un lungo contrasto giurisprudenziale che ha richiesto, anche da parte dell'Istituto, l'adeguamento nel tempo delle disposizioni impartite in materia. Quanto il tema continui ad avere rilievo è dimostrato dai ripetuti interventi giurisprudenziali che si sono succeduti nel tempo anche per la fattispecie della prescrizione in presenza della denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti.
Nel versamento(30) dei contributi è ricompresa sia una quota a carico del datore di lavoro che una quota a carico del dipendente.  Il  mancato versamento delle quote a debito, almeno limitatamente alla quota della retribuzione imponibile che il datore di lavoro trattiene in busta paga ai lavoratori, espone il datore di lavoro a conseguenze anche penali. Sull'esatto versamento dei contributi in riferimento ad obblighi inderogabili di legge si esercita l'attività di vigilanza da parte dell'Inps, degli altri enti previdenziali e degli organismi ispettivi del Ministero del Lavoro.


5.2. Il quadro normativo di riferimento
E' opportuno ricordare che con l'art. 3, commi 9 e 10 della legge in trattazione, in tema di prescrizione, si è delineato il seguente quadro logico giuridico:

• i contributi relativi a periodi precedenti al 17 agosto 1995, si prescrivono in cinque anni dal  1° gennaio 1996. Qualora siano intervenuti atti interruttivi o siano state poste in essere procedure di recupero prima del 17 agosto 1995, continua ad applicarsi, agli effetti del computo del più ampio termine prescrizionale (13 anni), la sospensione prevista dall' art. 2, comma 19, del D.L. 12 settembre 1983, n.463, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 novembre 1983, n.638. Diversamente, qualora gli atti o le procedure di recupero siano   stati   compiuti   entro   il   31   dicembre   1995,   permane   il   termine  decennale  di prescrizione;

• i contributi dovuti per il finanziamento del Fondo pensioni lavoratori dipendenti e di tutte le altre Gestioni pensionistiche obbligatorie in scadenza successivamente al 17 agosto 1995, conservano una prescrizione decennale fino al 31 dicembre 1995. A decorrere dal  1° gennaio 1996, la prescrizione è ridotta a cinque anni;

• la denuncia del lavoratore o dei suoi aventi causa effettuata, successivamente al  1° gennaio 1996, entro cinque anni dalla scadenza del termine previsto per il versamento della   contribuzione   non   denunciata,   consente   la   conservazione   della   prescrizione decennale per i contributi dovuti a favore del Fondo pensioni lavoratori dipendenti e di tutte le altre Gestioni pensionistiche obbligatorie;

• i contributi dovuti ai  Fondi per le prestazioni  previdenziali e assistenziali  in scadenza successivamente al 17 agosto 1995, si prescrivono da tale data in cinque anni.

5.3. La prescrizione dei contributi previdenziali e assistenziali nella giurisprudenza
Sin dalla sua approvazione, ormai avvenuta da circa 17 anni, vi è stato un continuo susseguirsi di sentenze della Corte di Cassazione che hanno variamente interpretato la legge 335/95 e cui l'INPS ha dovuto, con diverse circolari esplicative, adeguarsi al nuovo indirizzo giurisprudenziale.

E' singolare, ma allo stesso tempo facilmente prevedibile, come, con una maggiore attenzione, nella formulazione dell'articolato, che in fin dei conti stabilisce semplicemente da quando far iniziare la prescrizione a cinque anni e far cessare quella a dieci, si sarebbe potuto facilmente evitare, la produzione di un tale lungo contenzioso. Ebbene, nel vasto panorama delle sentenze che si sono susseguite in questi anni, probabilmente la più importante, che ha definitivamente fotografato la situazione attuale, e forse, posto la parola "fine", oltre che argomentando con particolare attenzione la scelta effettuata, anche riesaminando tutte le valutazioni effettuate dalle precedenti sentenze della corte è sicuramente la sentenza della Corte di Cassazione a sezione unite n. 6173 del 7.3.2008. La causa fu stata assegnata alle Sezioni Unite in relazione al contrasto di giurisprudenza registratosi sull'interpretazione della L. n. 335 del 1995, commi 9 e 10, con specifico riferimento all'idoneità di atti interruttivi compiuti dopo la data di entrata in vigore della legge, a conservare il termine di prescrizione decennale.

5.4. La fattispecie concreta all'esame della sentenza della Corte di Cassazione - sezioni unite del 7.3.2008 n. 6173
Il ricorrente denunciava con ricorso sia i vizi di violazione e falsa applicazione della L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 3, commi 9 e 10, nonché vizio di motivazione. Veniva censurata la statuizione del giudice di appello, che aveva ritenuto prescritto il credito azionato dall'INPS con la cartella esattoriale notificata il 15 febbraio 2001, nonostante la lettera raccomandata di diffida di pagamento inviata all'azienda fosse datata 18 agosto 1995. Ad avviso della Corte territoriale, tale comunicazione aveva validamente interrotto la prescrizione, ma il successivo atto interruttivo era intervenuto oltre cinque anni dopo, quando era già scaduto il termine della prescrizione divenuto quinquennale.

L'Istituto ricorrente aveva sostenuto invece per i contributi in questione (dovuti per periodi antecedenti l'entrata in vigore della L. n. 335 del 1995) trovava applicazione la prescrizione decennale e non quella quinquennale.

La Corte invece accoglie il ricorso per le seguenti considerazioni. La questione riguarda l'interpretazione della L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 3, che al comma 9, così dispone: "Le contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria si prescrivono e non possono essere versate" con il decorso dei termini di seguito indicati:

a) dieci anni per le contribuzioni di pertinenza del Fondo pensioni lavoratori dipendenti e delle altre gestioni pensionistiche obbligatorie, compreso il contributo di solidarietà previsto dal D.L. 29 marzo 1991, n. 103, art. 9 bis, comma 2, convertito, con modificazioni, dalla L. 1 giugno 1991, n. 166, ed esclusa ogni aliquota di contribuzione aggiuntiva non devoluta alle gestioni
pensionistiche. A decorrere dal 1 gennaio 1996 tale termine è ridotto a cinque anni salvi i casi di denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti;

b) cinque anni per tutte le altre contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria". Il successivo comma 10 stabilisce che:

"I termini di prescrizione di cui al comma 9, si applicano anche alle contribuzioni relative a periodi precedenti la data di entrata in vigore della presente legge, fatta eccezione per i casi di atti interruttivi già compiuti o di procedure iniziate nel rispetto della normativa preesistente. Agli effetti del computo dei termini prescrizionali non si tiene conto della sospensione prevista dal D.L. 12 settembre 1983, n. 463, art. 2, comma 19, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 novembre 1983, n. 638, fatti salvi gli atti interruttivi compiuti e le procedure in corso". Il problema specifico da  esaminare  riguarda  l'idoneità  di  atti  interruttivi  (o di  atti  d'inizio di procedure di recupero) intervenuti dopo l'entrata in vigore della legge in esame, ma entro il termine del 31 dicembre 1995 indicato dall'ultima parte del comma 9, lett. b).

Con questa innovazione normativa, che ha posto notevoli problemi agli interpreti per la sua criticabile formulazione, è stato stabilito un regime prescrizionale per i contributi di pertinenza del Fondo pensioni lavoratori dipendenti e delle altre gestioni pensionistiche, ed uno diverso per "tutte le altre contribuzioni di previdenza e di assistenza obbligatoria": mentre per i primi la riduzione del termine di prescrizione a cinque anni opera - nei limiti che saranno precisati - la riduzione del termine di prescrizione a cinque anni dal 1 gennaio 1996, per le seconde il termine diviene immediatamente quinquennale dall'entrata in vigore della legge.

Il coordinamento tra i due commi dell'art. 3, sopra riportati, rappresenta la principale difficoltà per la ricostruzione di questo sistema: secondo una prima interpretazione, seguita da Cass. 5 marzo 2001 n. 3213, il richiamo contenuto nel comma decimo ai termini di prescrizione di cui al comma nono del medesimo articolo deve intendersi riferito al termine decennale previgente - e non al termine ridotto quinquennale decorrente dal primo gennaio 1996. Nella stessa linea si muove la successiva Cass. 13 giugno 2003 n. 2100, secondo cui la riduzione a cinque anni del termine prescrizionale, prevista dal nono comma, non comprende le contribuzioni maturate prima del 1 gennaio 1996 (in motivazione si legge che il suddetto richiamo al comma 9, può ritenersi riferito al solo termine decennale previgente).

Tale impostazione è confutata da Cass. 17 dicembre 2003 n. 19334, secondo cui in base alla disciplina in esame la prescrizione diviene quinquennale a partire dal 1 gennaio 1996 anche per i crediti maturati e scaduti in precedenza; per i contributi relativi a periodi precedenti alla data di entrata in vigore della legge, il termine decennale permane ove siano stati compiuti dall'Istituto atti interruttivi, ovvero siano iniziate, durante la vigenza della precedente disciplina, procedure per il recupero dell'evasione contributiva.

La successiva elaborazione giurisprudenziale conferma questo orientamento, stabilendo che in base alle norme in esame:

a) per i  contributi  successivi  alla  data  di  entrata  in  vigore della  (L.   17  agosto  1995)   la prescrizione resta decennale fino al  31 dicembre  1995,  mentre diviene quinquennale dall'1 gennaio 1996;

b) parimenti per i contributi relativi a periodi precedenti alla data di entrata in vigore della legge, la prescrizione diviene quinquennale dall'1 gennaio 1996, tuttavia il termine decennale permane ove, entro il 31 dicembre 1995, siano stati compiuti dall'Istituto atti interruttivi, ovvero siano iniziate, durante la vigenza della precedente disciplina, procedure per il recupero dell'evasione
contributiva;

c) nel caso in cui gli atti interruttivi siano effettuati nel periodo tra il 17 agosto 1995 e il 31 dicembre 1995 risulta immune da prescrizione il decennio precedente alla data dell'interruzione o alla data d'inizio della procedura(31). Non costituisce precedente in termini Cass. 9 aprile 2003 n. 5522,  che  riguarda  la  prescrizione di  contribuzioni diverse da quelle attinenti  alle gestioni pensionistiche.

Da questo orientamento, costante nella giurisprudenza più recente, dissente Cass. 15 febbraio 2007 n. 3484, con cui si esclude che atti interruttivi o procedure di recupero dei contributi compiuti dopo il 17 agosto 1995 abbiano potuto conservare il termine decennale dopo il 1 gennaio 1996. Secondo questa decisione, la data di entrata in vigore della legge - che deve essere distinta da quella successiva di inizio del computo del nuovo termine quinquennale -segna anche lo sbarramento per il compimento degli atti conservativi del termine decennale: nel periodo compreso fra il 17 agosto e il 31 dicembre 1995 il legislatore ha permesso all'INPS di riscuotere i contributi scaduti fino a dieci anni prima, ma non ha consentito all'Istituto di compiere atti interruttivi della medesima prescrizione oppure di prolungarla attraverso l'inizio di procedure di recupero.

La Corte ritiene che debba essere confermato l'indirizzo prevalente, in base al quale la legge -avendo disposto che la riduzione del termine da decennale a quinquennale opera solo dal primo gennaio 1996 - ha dato all'INPS la possibilità di mantenere il regime prescrizionale decennale per
1 contributi pregressi, adottando nel periodo intermedio, che va dalla data di entrata in vigore della (L.17 agosto 1995) al 31 dicembre 1995, atti interruttivi oppure iniziando idonee procedure (restando ovviamente ferma la prescrizione decennale anche per i casi in cui i medesimi atti siano stati posti in essere prima del 17 agosto 1995).

Questa scelta interpretativa si basa sui seguenti argomenti. In primo luogo, va considerato che l'intento del legislatore è stato quello di ritardare la data di entrata in vigore del termine quinquennale, spostandola al 1 gennaio 1996, per creare, com'è stato rilevato, una sorta di "effetto annuncio" allo scopo di evitare almeno in parte la prescrizione di vecchi crediti. La distinzione delle due date di agosto e dicembre 1995 si collega dunque alla conservazione del termine decennale, come previsione di un periodo nel quale gli istituti previdenziali possono attivarsi per intraprendere le procedure di recupero o le richieste di pagamento al fine di usufruire del termine più ampio.

Sul piano testuale, la particolare espressione usata dal comma 10 dell'art. 3 per definire la portata dell'eccezione alla riduzione del termine di prescrizione (atti interruttivi già compiuti o di procedure iniziate nel rispetto della normativa preesistente) vale a designare non il periodo precedente all'entrata in vigore della legge ma tutto l'arco temporale successivo (fino al 31 dicembre 1995) nel quale vigeva ancora il precedente regime prescrizionale. Una conferma si trae dal raffronto con la successiva disposizione dell'ultima parte del comma 10, secondo cui agli effetti del computo dei termini prescrizionali non si tiene conto della sospensione prevista dal D.L. 12 settembre 1983, n. 463, art. 2, comma 19, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 novembre 1983, n. 638, fatti salvi gli atti internativi compiuti e le procedure in corso. Questa espressione "atti interruttivi compiuti e le procedure in corso" fa indubbiamente riferimento ad atti e procedure compiuti prima dell'entrata in vigore della legge, diversamente da quelli per i quali è usata invece la formula "nel rispetto della normativa preesistente".

Si deve, pertanto, concludere che nel caso di specie, l'atto interruttivo intervenuto il 18 agosto 1995, mentre vale a sottrarre alla prescrizione i contributi maturati nel periodo dal 1985 al 1998 (nel decennio precedente alla data d'interruzione), determina anche la conservazione del termine decennale di prescrizione, che inizia nuovamente a decorrere dalla data dell'atto introduttivo. In accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve essere quindi annullata con il rinvio alla Corte di Appello di Torino, in diversa composizione, che si atterrà al seguente principio di diritto: "Ai sensi della L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 3, commi 9 e 10, il termine di prescrizione dei contributi relativi a periodi precedenti alla data di entrata in vigore della (L. 17 agosto 1995) resta decennale nel caso di atti interruttivi compiuti dall'INPS nel periodo tra la suddetta data e il 31 dicembre 1995, che valgono anche a sottrarre a prescrizione i contributi maturati nel decennio precedente all'atto interruttivo; dalla data di questo inizia a decorrere un nuovo termine decennale di prescrizione".

5.5. La denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti
Tuttavia è necessario rilevare che il raccordo fra il 9 e 10 comma dell'art. 3, non è l'unico problema di "coordinamento" che la norma ha posto, infatti, in aggiunta a questo problema interpretativo, si pone l'esatto significato da attribuire al comma, 9 lettera b) ultimo capoverso, in connessione con i due capoversi precedenti: A decorrere dal 1 gennaio 1996 tale termine è ridotto a cinque anni salvi i casi di denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti.
Anche questa semplice frase è stata oggetto, nel corso di questi anni, di numerose diatribe e contrastanti interpretazioni giurisprudenziali, con conseguente adeguamento dell'Istituto al nuovo indirizzo maturato. All'indomani del varo della legge, l'interpretazione prevalente che veniva attribuito a detto inciso e formalizzato dall'Istituto con apposita circolare32 era il seguente: La prescrizione resta tuttavia, anche dopo la suddetta data (1.1.1996) decennale nell'ipotesi in cui sia il lavoratore od i suoi superstiti a denunciare la mancata assicurazione da parte del datore di lavoro.
Ma, questa "lettura" condivisa, con gli anni è stata modificata ad opera di successivi interventi della giurisprudenza, infatti, Cass. n. 4153 del 24.02.2006, e da ultimo Cass. n. 73 del 7.1.2009, ma anche Cass. Sez. civile n. 5811 del 10.3.2010 e Cass. sez. unite n. 6173 del 7.3.2008.
Tali pronunce, ma in particolare la n. 22739 del 9.11.2010 statuiscono il seguente principio di diritto: L'espressa previsione dell'art. 3, commi 9 e 10 della legge n 335/1995, non impedisce la possibilità che possa essere mantenuto il termine prescrizionale decennale qualora il lavoratore o i suoi superstiti presentino all'Istituto una denuncia entro il termine di cinque anni dalla scadenza dei contributi per i quali si chiede il recupero.

In particolare la sentenza n. 5811 del 10.3.2010 e la n. 22739 del 9.11.2010 evidenziano che: Il legislatore non prescrive il termine entro il quale la denunzia debba essere inoltrata dal lavoratore interessato, al fine di determinare l'applicazione del termine decennale, tuttavia, il complesso meccanismo prefigurato dalla legge conduce a ritenere che questa deve necessariamente intervenire entro il quinquennio dalla data della loro scadenza. Infatti, il prolungamento del termine ha la possibilità di operare solo laddove il diritto non sia già venuto meno; in altri termini, affinché il termine medesimo possa essere raddoppiato, occorre pur sempre che il credito contributivo esista ancora e non si sia già estinto per il maturare del quinquennio dalla sua scadenza, come fatalmente accadrebbe nel caso in cui, durante detto intervallo, non intervenisse la denunzia: in tal caso il diverso termine decennale non avrebbe più la materia cui applicarsi. Nulla, infatti, impedisce che alla scadenza del quinquennio operi l'ormai ordinario termine quinquennale, rispetto al quale quello decennale costituisce deroga, dal momento che il legislatore usa l'espressione "salvi i casi di denuncia del lavoratore...".
Si tratta sicuramente di una disposizione peculiare, giacché la durata del termine prescrizionale viene ad essere determinata dal comportamento di un soggetto terzo rispetto al rapporto contributivo, che intercorre unicamente tra datore di lavoro ed ente previdenziale.
In dottrina,(33) è apparso irragionevole la situazione di disinformazione del debitore in conseguenza di una denuncia. Il nostro ordinamento, infatti, prevede che gli atti interruttivi della prescrizione, ai fini della loro validità, siano portati a conoscenza del debitore, il quale altrimenti confiderebbe nel consolidamento della situazione che si crea con trascorrere del tempo. Pertanto, anche la denuncia deve essere portata a conoscenza del debitore, entro il termine di prescrizione. Ammettendo che il debito possa, a seguito della denuncia del lavoratore, sopravvivere all'insaputa del debitore, si giungerebbe ad una soluzione in netto contrasto con l'art. 3 della Costituzione(34), configurandosi una violazione del principio di uguaglianza.

5.6. L'idoneità degli atti conservativi del termine decennale
Come già illustrato al punto precedente, la denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti può, in talune ipotesi, determinare la conservazione del precedente termine decennale.
Occorre, tuttavia, precisare, in accordo con l'ormai costante giurisprudenza, che per tale si deve intendere soltanto la denuncia di omissione(35) contributiva, presentata all'Istituto dall'interessato (o dai superstiti) ai fini del recupero dei contributi non denunciati e che, in tal caso, l'allungamento del termine prescrizionale opera indipendentemente dal fatto che l'Istituto si attivi o meno, nei confronti del datore di lavoro inadempiente, con le opportune azioni di recupero.

Giova ricordare preliminarmente, che la denuncia costituisce lo strumento attraverso il quale il legislatore ha inteso offrire al lavoratore o ai suoi superstiti la possibilità di ottenere il riconoscimento della contribuzione non denunciata dal soggetto tenuto per legge all'adempimento contributivo che si trova in posizione di terzietà rispetto al denunciante.
Pertanto, sono legittimati ad effettuare la denuncia i lavoratori subordinati o a progetto, i lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, gli associati in partecipazione, i coadiuvanti dell'imprenditore artigiano e commerciante e i componenti del nucleo familiare dei lavoratori autonomi agricoli.
In ordine gli effetti derivanti dalla denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti, la Suprema Corte di Cassazione, nel confermare la validità degli atti interruttivi compiuti prima del 17 agosto 1995 e tra il 17 agosto ed il 31 dicembre 1995, ha ribadito che, a decorrere dal 1° gennaio 1996, il termine di prescrizione dei contributi è quinquennale.
In particolare, con riferimento alla data del 17 agosto 1995, ai fini della conservazione della prescrizione decennale, la Corte ha chiarito che:

• qualora  alla  medesima  data,  siano trascorsi  cinque anni  dalla  scadenza  dell'obbligo contributivo, la denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti, se intervenuta entro il 31 dicembre 1995,  realizza il medesimo effetto conservativo della prescrizione decennale analogamente agli effetti degli atti interruttivi posti in essere dall'Istituto nel medesimo periodo;

• qualora al 17 agosto 1995, non sia trascorso il termine di cinque anni dalla scadenza dell'obbligo contributivo, il termine di prescrizione decennale permane a condizione che, prima della scadenza del quinquennio, intervenga una denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti.

A decorrere dal 1° gennaio 1996, i contributi dovuti per il finanziamento del Fondo pensioni lavoratori dipendenti e di tutte le altre Gestioni pensionistiche obbligatorie si prescrivono in cinque anni. Tuttavia, l'espressa previsione dell'art. 3, commi 9 e 10 della legge n 335/1995, non impedisce la possibilità che possa essere mantenuto il termine prescrizionale decennale qualora il lavoratore o i suoi superstiti presentino all'Istituto una denuncia entro il termine di cinque anni dalla scadenza dei contributi per i quali si chiede il recupero.
La denuncia, se compiuta secondo le modalità descritte al successivo punto e nei termini sopra indicati, è atto di per sé idoneo ad interrompere, per i successivi dieci anni dalla data in cui è avvenuta, il decorso della prescrizione.
Laddove, diversamente, la stessa venga effettuata oltre il predetto termine di cinque anni dalla scadenza dei contributi dei quali il lavoratore o i suoi superstiti chiedono il recupero, la contribuzione si considera prescritta e, qualora il datore di lavoro provveda ad effettuarne spontaneamente il versamento, l'Istituto deve procedere d'ufficio al suo rimborso.

La denuncia del lavoratore nell'ambito della disciplina sulla prescrizione dei contributi previdenziali ed assistenziali, assume una particolare funzione in relazione alla complessità del rapporto giuridico previdenziale che, secondo la dottrina più accreditata, è l'insieme dei seguenti rapporti: a) un rapporto fondamentale, che intercorre tra i beneficiari delle prestazioni previdenziali e gli enti competenti e che ha ad oggetto l'erogazione delle prestazioni stesse; b) un rapporto contributivo, intercorrente tra l'ente previdenziale e l'obbligato al pagamento dei contributi. I soggetti del rapporto assicurativo sono il lavoratore/assicurato, il datore di lavoro/assicurante e l'ente previdenziale/assicuratore. Tra questi tre soggetti, si instaura, quindi, un vero e proprio rapporto legale, denominato come rapporto giuridico previdenziale. La Corte di Cassazione(36) in adesione ad una interpretazione già data dall'INPS(37), si è pronunciata sostenendo che la denuncia non configura un'ipotesi di interruzione di termini di prescrizione, perché la legge precisa che in questi casi il termine è in ogni caso decennale, quanto si tratta di un potere di iniziativa attribuito al lavoratore sulla durata stessa e volto a "bilanciare la riduzione del termine decennale". Infatti la circolare opportunamente stabiliva/stabilisce che: "Tale particolare termine prescrizionale peraltro deve intendersi limitato solo alla contribuzione relativa al lavoratore denunciante e non può essere estesa ad altri eventuali lavoratori interessati nei cui confronti persista una analoga omissione contributiva".

5.7. L'adeguamento della prassi amministrativa alla giurisprudenza
La predetta norma, come evidenziato, ha dato luogo ad un acceso dibattito giurisprudenziale sfociato in numerose pronunce della Suprema Corte di Cassazione, cui hanno fatto seguito plurime circolari interpretative da parte dell'INPS volte a uniformare le condotte delle sedi territoriali agli orientamenti giurisprudenziali, per evidenti finalità deflattive di contenziosi giudiziari.
Infatti, già all'indomani della sua entrata in vigore, l'Inps, con circolare n. 262 del 13.10.1995 e successivamente con la n. 18 del 22.1.1996, forniva le prime istruzioni di carattere normativo, che avevano un'indubbia coerenza logica e la caratteristica di una lettura lineare dell'intero provvedimento legislativo.

L'Istituto precisava(38) che, i nuovi termini di prescrizione previsti dal comma 9 dell'art.3 della legge n.335/95 sono:

a) per le contribuzioni di pertinenza del Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti e delle altre gestioni pensionistiche obbligatorie,e per il contributo di solidarietà (Art.9-bis,comma 2, del d.l.293/91, n. 103,convertito nella legge  01.06.91, n.166), di 10 anni; il  termine   suddetto e' peraltro ridotto a 5 anni a decorrere dal 01.01.1996.   La prescrizione resta tuttavia, anche dopo la suddetta data decennale nell'ipotesi in cui sia il lavoratore od i suoi superstiti a denunciare la
mancata assicurazione da parte del datore di lavoro;

b) per le altre contribuzioni obbligatorie di previdenza e assistenza, di 5 anni.

Viene, specificato che,per contribuzione di pertinenza del Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti (F.P.L.D.) e delle altre gestioni obbligatorie, si deve intendere quella destinata alle assicurazioni Invalidità Vecchiaia e Superstiti, compresa ovviamente la contribuzione aggiuntiva prevista dall'art. 3 della legge n. 297/82. Pertanto, deve, ritenersi esclusa ogni altra aliquota di contribuzione relativa a gestioni non di pertinenza dei predetti fondi. Quindi sono escluse le seguenti contribuzioni:

- contribuzione per l'assistenza malattia pensionati(L. 934/66);
- contribuzione per gli Asili nido (L. 1044/71);
- contribuzione per la tubercolosi;
- contribuzione ex ENAOLI;
- contributo per il fondo di garanzia (L.297/82);
- contributo per la disoccupazione;
- contribuzione per la Cassa Assegni Familiari (già quinquennale);
- contribuzione per la Cassa Integrazione Guadagni;
- contribuzione GESCAL;
- contribuzione indennità economica di malattia ;
- contribuzione indennità economica di maternità;
- contribuzione per il Servizio Sanitario Nazionale.

Quanto all'efficacia della disposizione, veniva evidenziato che i nuovi termini di prescrizione si applicano a decorrere dal 17.08.1995 data di entrata in vigore della legge n. 335/95. Il comma 10 dell'art.3 della legge in esame specifica poi che i nuovi termini si applicano anche alle contribuzioni relative a periodi precedenti il 17.08.95. Dal combinato disposto delle suddette disposizioni si riteneva che i nuovi termini si applicassero alle prescrizioni in corso alla data del 17.08.95; quindi, per quanto riguarda la contribuzione dovuta alle gestioni pensionistiche obbligatorie, (il cui nuovo termine di prescrizione, come sopra specificato e'decennale sino alla data del 31.12.1995 e quinquennale a decorrere dal 1.1.96), l'atto interruttivo della prescrizione posto in essere dopo l'entrata in vigore della legge in esame e sino al 31 .12.95 interrompeva la prescrizione dei contributi relativi ai 10 anni precedenti; l'atto interruttivo posto in essere a decorrere dal 1.1.1996 interromperà la prescrizione dei contributi relativi a periodi contributivi anteriori di cinque anni.

In ogni caso il nuovo termine di prescrizione che decorreva dopo l'atto interruttivo era quinquennale in ambedue i casi. A quest'ultimo riguardo, la disposizione di legge in esame precisa che il termine prescrizionale resta decennale anche dopo il 1.1.1996 qualora l'azione di recupero dei contributi omessi sia iniziata a seguito di denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti. La denuncia può riguardare sia la mancata assicurazione da parte del datore di lavoro, sia il mancato versamento dei contributi dovuti. Tale particolare termine prescrizionale peraltro deve intendersi limitato solo alla contribuzione relativa al lavoratore denunciante e non può essere estesa ad altri eventuali lavoratori interessati nei cui confronti persista una analoga omissione contributiva.

La denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti presentata ad una autorità competente: Istituto assicuratore, Ispettorato del Lavoro, Autorità Giudiziaria, determinava per l'Ente la necessità di porre in essere, non appena venuto a conoscenza della stessa, gli atti interruttivi della prescrizione nei confronti del datore di lavoro inadempiente(39).

Per quanto riguarda la contribuzione non di pertinenza delle gestioni pensionistiche l'atto interruttivo posto in essere dopo il 16.08.95 e cioè dopo l'entrata in vigore della legge, interromperà i termini relativi ai periodi contributivi anteriori di cinque anni.

La disposizione di legge in questione fa tuttavia un'eccezione alla sopra esposta regolamentazione nei casi in cui, prima dell'entrata in vigore della legge 335/95, siano stati posti in essere degli atti interruttivi della prescrizione ovvero siano iniziate delle procedure di recupero del credito nel rispetto delle normative precedenti.

Nei suddetti casi il termine di prescrizione che inizia a decorrere dal compimento dell'atto interruttivo è quello stabilito dalla normativa precedente l'entrata in vigore della legge n.335.95. Pertanto, per quanto riguarda gli atti interruttivi posti in essere sino al 16.08.95, il nuovo termine di prescrizione che decorrerà dall'atto sarà decennale o quinquennale a secondo di quanto previsto dalle precedenti disposizioni, salvo la sospensiva prevista dall'art 2, comma 19, del decreto Legge 12.09.1983 n.463, convertito, con modificazioni nella legge 11.11.1983 n.638.

La disposizione di legge in esame, infatti, precisa infine che, ai fini del computo dei termini prescrizionali, non si deve tener conto della sospensiva prevista dall'art.2, comma 19, del decreto Legge 12.09.1983 n.463, convertito, con modificazioni nella legge 11.11.1983 n.638 a meno che non siano stati compiuti atti interruttivi di cui al precedente punto. In questo caso, infatti, nella determinazione della prescrizione si dovrà tener conto della sospensiva dei termini prescrizionali stabilita dal richiamato art. 2,comma 19,della richiamata L.638/83. Non sussiste - in conformità anche del parere dell'Avvocatura centrale - tale sospensiva per le interruzioni poste in essere nel periodo 16.8.95 - 31.12.95 per cui gli atti interruttivi esecutati in tale periodo relativi ai soli fini della contribuzione IVS hanno efficacia decennale.

Infine, con riguardo al versamento di contribuzione prescritta, l'INPS chiarisce che per esplicito dettato della norma in esame (art. 3 ,comma 9, della legge 335/95), la contribuzione caduta in prescrizione non può essere versata. L'Istituto, quindi, non può accettare il versamento di tale contribuzione prescritta ma anzi, qualora questo sia comunque effettuato, deve provvedere d'ufficio al suo rimborso.

Come si vede si tratta di una prescrizione particolare alla quale, a differenza delle altre, non può rinunciare neppure chi ne è beneficiario. A differenza di quanto avveniva in passato, la disposizione in esame ha esteso il criterio, già valido per le assicurazioni IVS, DS e TBC, a tutte le forme di contribuzione.

Tuttavia, durante questo periodo, come già evidenziato, si sono registrati diversi orientamenti giurisprudenziali in ordine all'operatività del nuovo termine quinquennale.

Da una parte la Cassazione, con la sentenza n. 2100 del 2003, affermava che i crediti contributivi maturati prima del 1.01.1996 non potevano mai considerarsi prescrivibili nel termine di cinque anni. Dall'altra, con le successive pronunce, confutando il predetto principio, la Corte estendeva il nuovo termine anche ai contributi relativi ai periodi precedenti al 17.08.1995 precisando che permaneva il termine decennale nel caso di atti interruttivi o di procedure per il recupero dell'evasione contributiva, iniziate durante la vigenza della precedente disciplina.

Per questo l'INPS ha dovuto nuovamente precisare la propria posizione emanando la circolare n. 69 del 25.5.2005.
Con la quale veniva illustrato che, in caso di denuncia da parte del lavoratore, per l'applicazione del termine decennale si rendeva necessaria l'emissione da parte dell'Ente del relativo atto interruttivo. In relazione agli atti interruttivi, invece, si puntualizzava che la legge dava luogo a diverse situazioni applicative in funzione del periodo di riferimento del credito e del possibile compimento degli stessi atti interruttivi.
La stessa circolare evidenziava che successivamente la Suprema Corte con le sentenze del 17.2.2003 n. 19334 e del 7.1.2004, n. 46 e ancora del 6.4.2004, n. 6706 aveva nuovamente affermato e consolidato il precedente orientamento e quindi era necessario fornire un'interpretazione corretta dei canoni essenziali della prescrizione del diritto dell'ente previdenziale ai contributi dovuti dai lavoratori e dai datori di lavoro, secondo le regole poste dall'art. 3, commi 9 e 10 della legge 335/1995, così come interpretate dalla giurisprudenza più recente.
Era inoltre evidenziato che, in materia di diversa durata della prescrizione del credito contributivo, la legge n. 335 del 1995 distingue tra atti posti in essere ad iniziativa dell'Ente ed atti posti in essere su denuncia del lavoratore, principio che non contrasta con quello generale stabilito dall'art. 55 del R.D.L. 4 ottobre 1935 n. 1827, secondo il quale l'interruzione della prescrizione dei contributi per l'assicurazione obbligatoria si verifica solo per effetto degli atti, indicati dall'art. 2943 codice civile, posti in essere dall'INPS, titolare del relativo diritto di credito, e non quando anche uno di tali atti sia posto in essere dal lavoratore, come nell'ipotesi di azione giudiziaria da questi proposta nei confronti dei datori lavoro. In base alla disposizione in parola, anche la denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti è idonea a determinare in dieci anni il termine della prescrizione nei confronti dell'INPS o degli altri Istituti previdenziali a condizione che l'Ente emetta l'atto interruttivo di propria competenza.

In dettaglio la circolare prescriveva quanto segue:

Si ricorda in proposito che la legge n. 335/95 è entrata in vigore il 17 agosto 1995 ed ha posto la data del 1 gennaio 1996 come decorrenza per la riduzione della prescrizione a cinque anni.

Quindi gli atti interruttivi notificati e le procedure intese al recupero, iniziate prima del 17 agosto 1995, hanno efficacia interruttiva della prescrizione diversa (per dieci o cinque anni) a seconda del tipo di contribuzione; tali periodi vanno poi aumentati del periodo di sospensione triennale di cui ah" ari 2 della legge n.638/83.

Pertanto, la decorrenza della prescrizione e l'efficacia degli atti interruttivi era ed è la seguente:

Ne discende che attualmente si possono configurare tre differenti situazioni per calcolare con certezza il decorso della prescrizione del credito contributivo, a seconda del momento dell'eventuale esercizio (o mancato esercizio) di un atto interruttivo della prescrizione stessa:

• la prima per il periodo fino al 31.12.1995 trascorso senza compimento di atti interruttivi;

• la seconda per il periodo dal 17 agosto 1995 e fino al 31.12.1995 trascorso col compimento di atti interruttivi;

• l'ultima per periodi dal 01.01.1996

Di conseguenza, la possibilità di recuperare i contributi relativi ad anni precedenti si tradurrà in atti concreti in modo diverso anche a seconda della data dell'ultimo atto interruttivo dei termini (se posto in essere):

• se l'atto è stato compiuto prima del 17 agosto 1995, possono essere recuperati i contributi IVS risalenti ai tredici anni precedenti, in quanto gli stessi restano assoggettati alla prescrizione decennale ed alla sospensione triennale prevista dalla legge 11 novembre 1983 n. 638 (in questi termini sentenza Cassazione 7.1.2004 n. 46)

• se invece risulta essere stato compiuto tra il 17 agosto 1995 ed il 31 dicembre 1995, il recupero dei contributi potrà retroagire per soli dieci anni. Ovviamente in tal caso, per evitare la perdita del diritto per prescrizione, il successivo atto interruttivo deve intervenire entro i dieci anni dal precedente.

In ogni caso, ed ancorché si tratti di contributi riferentesi a periodi successivi al 1° gennaio 1996, la denuncia del mancato pagamento dei contributi stessi da parte del lavoratore dipendente o a progetto o del collaboratore coordinato e continuativo comporta che il termine prescrizionale sia decennale, sempre che l'Istituto provveda ad emettere il proprio atto avente efficacia interruttiva.

Nel 2008 la giurisprudenza affrontava nuovamente la questione. Più precisamente con la sentenza n. 5784, le Sezioni Unite della Suprema Corte, risolvendo il precedente contrasto giurisprudenziale, hanno chiarito che il nuovo termine quinquennale dovesse applicarsi anche ai contributi precedenti all'entrata in vigore della legge stessa a decorrere dal 1° gennaio 1996. Tuttavia rispetto agli stessi contributi, eventuali atti interruttivi, ovvero l'inizio di procedure esecutive nel periodo precedente al 01.01.1996 (data di entrata in vigore della norma), avrebbero invece comportato l'applicazione del più favorevole termine prescrizionale decennale.

Con circolare n. 31 del 02.03.2012 l'Inps è ritornato sulla materia riproponendo l'interpretazione precedente, ma con un'importante modifica "imposta" come già visto dalla giurisprudenza più recente, infatti, con specifico riguardo alla denuncia del lavoratore, è precisato che: il termine decennale è mantenuto anche dopo il 1.1.1996, ma solo qualora il lavoratore o i suoi superstiti presentino all'Istituto una denuncia entro il termine di cinque ani dalla scadenza dei contributi per i quali si chiede il recupero. La particolarità della circolare è tuttavia la chiarezza espositiva con la quale è affermata l'interpretazione passata, con la modifica segnalata, suffragata da esempi concreti riportati in nota, ma che sgombrano il campo da ulteriori equivoci interpretativi.

Quanto all'operatività di diritto della prescrizione, come osservato da Cassazione sez. Lav. n. 23116/2004 in tale materia "il regime della prescrizione già maturata è differente rispetto alla materia civile, in quanto è sottratto alla disponibilità delle parti, sicché deve escludersi l'esistenza di un diritto soggettivo degli assicurati a versare contributi previdenziali prescritti: la  prescrizione, inoltre, opera di diritto e pertanto può essere rilevata anche d'ufficio dal giudice, mentre l'Ente previdenziale non può rinunciare all'irricevibilità dei contributi prescritti".

In altri termini, secondo il Supremo Collegio, la prescrizione viene sottratta al regime dell'eccepibilità di parte, in luogo della rilevabilità d'ufficio, con l'ulteriore conseguenza del potere dell'Ente di non accettare contributi versati spontaneamente dal lavoratore oltre il termine di prescrizione.

6. Conclusioni
In definitiva, dopo aver esaminato brevemente le pronunce più importanti riguardanti il tema della prescrizione in materia previdenziale, è di tutta evidenza che numerosi problemi interpretativi si sono posti perché, spesso, i testi legislativi sono redatti con superficialità o in maniera contraddittoria, o infine per l'accoglimento di soluzioni di compromesso, nel primo caso bastava che il legislatore abrogasse in maniera espressa la norma(40), nel secondo, il difetto è da riscontrare nella scarsa chiarezza nell'esposizione grammaticale (41).

Tutto ciò genera notevole difficoltà fra gli operatori nell'applicazione delle norme, con conseguente diniego di giustizia nei confronti del cittadino, l'effetto ulteriore è il contenzioso abnorme che produce questo modo di legiferare, appesantendo da una parte l'attività dell'Ente previdenziale e dall'altra il sistema giudiziario, per non citare gli effetti negativi in termini economici che subiscono il sistema e più in generale la società.

--------------------------------------------------------------------------------
1 F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, Ed.Scientifiche italiane, 2009,pag. 110.

2 D. Barbero, Sistena del diritto privato, Torino, 1988, vol. I pag. 264 e ss.

3 Per tutti G. Chinè e A. Zoppini, Manuale di diritto civile, Molfetta,NelDirittoEditore, 2010 pag. 63.

4 In tal senso Bigliazzi -Geri ed altri.

5 Così P. Trimarchi, Istituzioni di diritto Privato, Milano, Dott. A. Giuffrè Editore, 2011, pag. 629.

6 Cfr. Cass. sez. unite n.575 del 2003 e Cass. 3901 del 1992.

7 In tal senso F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, cit. pag. 115.

8 Santoro -Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1997, pag.113. - P. Trimarchi, op.cit., pag. 628, fornisce la seguente definizione: la necessità di assicurare stabilità alle situazioni di fatto che si sono consolidate nel tempo.

9 E. Roppo, Istituzioni di diritto privato, Bologna, 2008, pag. 104.

10 Cfr. A.Torrente e P. Schlesinger, Manuale di diritto privato, Milano, Dott. A. Giuffrè Editore, 1994, pag. 133. Auricchio, Appunti
sulla prescrizione, Napoli, 1971,pag. 40 rileva che la finalità di garanzia della certezza del diritto deve essere collegata all'interesse
privato del debitore.

11 Corte Costituzionale n. 47 del 1964.

12 cfr. Cass., sez. lav., 10 giugno 2003, n. 9286; id., 15 novembre 2003, n. 21595.

13 cfr. Cass., sez. lav., 12 aprile 2006 n. 8533; id., 28 marzo 2008, n. 8134.

14  Cass. 13 aprile 2006, n. 8677 (ma in realtà anticipato da Cass., sez. lav., 1 marzo 1993, n. 2509).

15 Soprattutto Cass. nn. 9266 del 2003 e 21595 del 2004.

16 Soprattutto Cass. nn. 8533 e 8677 del 2006.

17 v. Cass., sez. un., 11 giugno 1992, n. 7194, con riferimento ad un'ipotesi di temporanea improponibilità della domanda; più
recentemente, ex plurimis, Cass., sez. lav., 27 giugno 2011, n. 14163.

18 Cass., sez. un., 30 ottobre 1992, n. 11847.

19 Corte Costituzionale n. 47 del 1964, cit.

20 Art. 113, primo comma, Cost. : v. Corte cost. n. 47 del 1964, citata.

21  Art. 24 Cost.: Cass., sez. lav., 17 maggio 1974, n. 1484.

22 Anche da Cas. n. 21595 del 2004 e diversamente da quanto affermato da Cass. nn. 8533 e 8677 del 2006.

23 Ex art. 18 della legge n. 300 del 1970: Cass., sez. un., 13 febbraio 1984, n. 1073.
24 Circ. INPS n. 149/83 punto 9, 1° capoverso.

25 Circ. INPS 149/83 punto 9, 2° capoverso.

26 Msg. INPS n. 9937 del 31.3.2006.

27 Circ. INPS n. 63 del 07.03.1991 punto 2.

28 dopo aver ricordato che con la circolare n.169 del 31.12.2010 erano state fornite le disposizioni attuative della Determinazione del
Presidente dell’Istituto n. 75 del 30 luglio 2010 avente ad oggetto "Estensione e potenziamento dei servizi telematici offerti dall'INPS
ai cittadini" che prevedeva, dal 01.01.2011 - pur con la necessaria gradualità in ragione della complessità del processo.

29 Al fine di potenziare ed   estendere   i   servizi   telematici,   il Ministero dell'economia e delle finanze e le Agenzie fiscali, nonché gli enti previdenziali,   assistenziali   e   assicurativi,   con   propri   provvedimenti possono definire termini   e   modalità   per   l'utilizzo esclusivo  dei   propri  servizi   telematici    ovvero   della    posta  elettronica certificata, anche a mezzo di intermediari abilitati, per la presentazione da parte degli interessati di denunce, istanze, atti   e garanzie fideiussorie,   per   l'esecuzione   di   versamenti   fiscali, contributivi, previdenziali, assistenziali  e assicurativi,  nonché per la richiesta di attestazioni e certificazioni. Le amministrazioni ed enti indicati al periodo precedente definiscono altresì l'utilizzo dei servizi telematici o della posta certificata anche per gli atti, comunicazioni o servizi dagli stessi resi. Con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate sono definiti gli atti per i quali la registrazione prevista per legge e' sostituita da una denuncia esclusivamente telematica di una delle parti, la quale assume qualità di fatto ai sensi dell'articolo 2704, primo comma, del codice civile. All'articolo 3-ter, comma 1, primo periodo, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 463, le parole: «trenta giorni» sono sostituite dalle seguenti: «sessanta giorni».

30 Questo è preceduto dalla trasmissione del   modello DM10 è compilato dal datore di lavoro per denunciare all'Inps le retribuzioni
mensili corrisposte ai dipendenti, i contributi dovuti e l'eventuale conguaglio delle prestazioni anticipate per conto dell’Inps, delle
agevolazioni e degli sgravi. Il saldo tra le voci di debito e quelle a credito del datore di lavoro può generare un modello con saldo cd
"attivo" (ossia chiuso con un saldo a debito per l'azienda) o di un modello DM10 cd. "passivo" (ossia con un saldo a credito per
l'azienda). I modelli DM10 presentati (obbligatoriamente mediante procedura informatica) sono soggetti, oltre che ad un a verifica
formale nel momento del loro ingresso nel sistema dell'Istituto, anche ad un controllo di merito relativo alla compatibilità delle voci
(sia a credito che a debito) in esso esposte, rispetto alle caratteristiche contributive associate alla matricola dell'azienda. Eventuali
errori di esposizione conducono all'emissione di una segnalazione inviata all'azienda denominata "nota di rettifica": anch'essa può
essere "attiva" (ossia con segnalazione di somme dovute dall'azienda all’INPS) ovvero "passiva" (ossia con segnalazione di somme
costituenti "credito" dall'azienda nei confronti dell’INPS).  Il modello EMens, introdotto a partire dalle denunce con competenza
relativa al mese di Gennaio 2005 (ossia da presentarsi entro il 28.02.2005), è quel flusso telematico tramite cui i sostituti d'imposta
tenuti al rilascio della certificazione unica (CUD) trasmettono mensilmente agli Enti previdenziali, direttamente o tramite gli incaricati,
entro l'ultimo giorno del mese successivo a quello di riferimento, i dati retributivi e le informazioni utili: al calcolo dei contributi;all'implementazione delle posizioni assicurative individuali; all'erogazione delle prestazioni. A partire dalle denunce con competenza relativa al mese di Maggio 2009 (ossia da presentarsi entro il 30.06.2009), ha preso il via l'unificazione dei flussi EMens e DM10 in un unico flusso informativo denominato UNIEMENS . Le aziende e gli intermediari hanno avuto a disposizione tutto il secondo semestre dell'anno 2009 per transitare dal vecchio al nuovo sistema: il passaggio a regime è avvenuto dal 1° gennaio 2010.

31 Cass. 7 gennaio 2004 n. 46, 24 febbraio 2005 n. 3846, 12 maggio 2005 n. 9962, 15 marzo 2006 n. 5622, 13 dicembre 2006 n. 26621; v. anche Cass. 24 febbraio 2006 n. 4146.

32 Cfr. circ. INPS n. 69  del   25.5.2005.

33 In tal senso A. Rondo, Prescrizione dei contributi: non serve che la denuncia del lavoratore sia portata a conoscenza del datore di
lavoro, in Giur.lav.,2003,II, pag.759 e ss.

34 Cfr. A. Rondo,cit. pag. 765.

35 L'azienda che non versa i contributi è soggetta la pagamento delle cosiddette sanzioni civili che sono somme aggiuntive che hanno lo scopo di risarcire il danno subito dall'Inps per il mancato tempestivo pagamento dei contributi e si applicano per legge, automaticamente, al verificarsi dell'inadempienza contributiva. In generale è possibile distinguere tra un regime ordinario ed un regime speciale, da applicare in talune particolari fattispecie. Tenuto conto che le sanzioni civili si continuano a produrre fin quando il debitore estingue l'obbligazione principale (il debito contributivo) e che la regolamentazione normativa ha subito nel tempo profonde revisioni e modifiche, è opportuno delineare un quadro temporale di applicazione del regime sanzionatorio vigente. Le più recenti sono: la legge n.48 del 29.2.1988 fino al 23.10.1996; il D.L. n.538 del 23.10.1996 dal 24.10.1996 al 23.12.1996; la legge n.662 del 23.12.1996 dal 1.1.1997 al 30.9.2000; la legge n.388 del 23.12.2000 dal 1.10.2000.

36 Cfr. Cass. 12 febbraio 2003, n. 2100.

37 Si tratta della Circ. INPS n. 262 del 13.10.1995.

38 Circ. INPS n. 262 del 13.10.1995.

39 Giova anche ricordare che in campo previdenziale sono assoggettate alla disciplina dell'illecito le aziende che omettono il versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni corrisposte ai dipendenti (Legge 638/1983 D,Lgs. 211/1994 e Circ.121 del 20/04/94). Si tratta, in sostanza, di quella quota di retribuzione per la quale il datore di lavoro funge da sostituto d'imposta, trattenendola ai lavoratori in busta paga per conto dell'Ente impositore (nel nostro caso l'Inps). Nel caso dei dipendenti (impiegati e/o operai) del settore industria, tale quota è normalmente pari al 9.19% dell'imponibile contributivo mensile esposto nel modello DM10 La citata legge 638/83 prevede infatti che le ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti debbono essere comunque versate e non possono essere portate a conguaglio con le somme anticipate, nelle forme e nei termini di legge, dal datore di lavoro stesso ai lavoratori per conto delle gestioni previdenziali ed assistenziali. E' possibile il conguaglio tra gli importi contributivi a carico del datore di lavoro e le somme anticipate solo se risulti un saldo attivo a favore del datore di lavoro, ovvero ci si trovi di fronte ad una denuncia mensile in cui il valore delle   somme a debito (quadro B/C del modello DM10) eguagli quella delle somme a credito (quadro D del medesimo modello) (cosiddetto DM10 "a saldo 0"). In tal caso, nulla sarà dovuto dal datore di lavoro. In caso, invece, di modello DM10 riportante una somma a debito per il datore di lavoro, quest'ultimo non potrà non versare almeno una quota dell'imponibile previdenziale complessivo pari almeno al 9,19%, ossia alle trattenute in busta paga operate a carico dei dipendenti in qualità di sostituto di imposta.
Configura, invece, il caso di omissione o evasione contributiva (ed è fonte dell'illecito penale configurato ex lege 638/83) un modello DM10 chiuso con saldo a debito e lasciato totalmente insoluto.
La norma prevede, tuttavia, la non punibilità del datore di lavoro che provveda a versare i contributi trattenuti al lavoratore entro il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell'avvenuto accertamento della violazione (comma 1, art. 1, decreto legislativo 24 marzo 1994, n.211): tale versamento si configura infatti come oblazione e conduce all'estinzione dell'illecito. Alla presentazione di un modello DM10 totalmente insoluto consegue l'emissione di una diffida (cd. "notifica di accertamento di reato") da parte della sede Inps competente. Tale diffida va inviata al titolare o legale rappresentante, esattamente individuato, in quanto penalmente responsabile in caso di ulteriore inadempienza.
Il versamento dell'importo richiesto in diffida dovrà avvenire entro tre mesi dalla data di notifica. Tale versamento andrà effettuato per i debiti gestiti in fase amministrativa (ossia ancora in carico alla competente sede Inps) tramite modello F24; per i debiti già iscritti a ruolo (ossia già inviati ai concessionari per la riscossione) andrà invece effettuato direttamente agli sportelli esattoriali o tramite modello F35. Il debitore, dopo aver effettuato il versamento entro il termine indicato, dovrà presentare la ricevuta alla sede Inps territorialmente competente che provvederà ad informare l'Autorità Giudiziaria dell'avvenuta regolarizzazione. E' prevista, invece, la comunicazione del reato alla competente Autorità Giudiziaria decorso inutilmente il citato termine di tre mesi (comma 1, art. 1, decreto legislativo 24 marzo 1994, n.211). L'illecito è punibile con la reclusione fino a tre anni e con una multa fino a 1.032,00 euro.

40 Mi riferisco all'art. 97, quinto comma, R.D.L. n. 1827 del 1935, convertito in L. n. 1155 del 1936.

41 Mi riferisco all'art. 3 commi 9 e 10 della legge 8 agosto 1995, n. 335.
 

 


 


Autore: Franco Castellucci


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