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Polizze linked: contratti di assicurazione o contratti di investimento mobiliare?

Il Tribunale di Ferrara con sentenza n. 1010/2011 offre spunti di riflessione su particolari contratti atipici di natura finanziaria, ormai riconosciuti dall’ordinamento giuridico sebbene in assenza di una disciplina ad hoc. La parte attrice conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Ferrara una compagnia assicurativa, per sentirla condannare, previo accertamento della nullità della polizza stipulata, alla restituzione di quanto versato contestualmente alla sottoscrizione. L’assicurata, infatti, asseriva la nullità del contratto sottoscritto per difetto dell’elemento volitivo del contraente ex artt. 1325 n. 1 e 1418 co. 2 c.c., configuratosi nella sostanza come investimento finanziario, ma denominato “polizza di assicurazione sulla vita- index linked” e prospettato dal promotore finanziario della banca come comune assicurazione. Altresì, sosteneva la vessatorietà ex artt. 1469 bis, co. 2, n. 10 e 1469 quinquies, co. 2, n. 3 c.c., e dunque l’inefficacia, della dichiarazione dalla stessa sottoscritta, contenuta nella proposta, con cui affermava di aver ricevuto il fascicolo informativo e di averne preso conoscenza, poiché tale proposta era formata solo da 3 fogli, senza contenere il regolamento contrattuale. Altresì, domandava la nullità del negozio ex art. 23 del d.lgs. 58/98, posto che l’operazione in questione, ricondotta alla categoria dei “prodotti finanziari”, difettava del  “contratto quadro”. In via subordinata, l’assicurata chiedeva l’annullabilità del contratto ex artt. 1439  e 1429 c.c., essendo stata convinta a sottoscrivere l’investimento obbligazionario sotto il nome fittizio di polizza assicurativa. Successivamente, conveniva in giudizio anche l’istituto di credito per sentirlo condannare, previo accertamento della relativa responsabilità, al risarcimento del danno subito dalla stessa, ai sensi degli artt. 1337, 2043 e 2049 c.c., quantificato in misura pari al valore nominale del capitale investito.

La compagnia assicuratrice e l’istituto di credito, entrambi costituitisi in giudizio, contestavano la fondatezza della domanda sotto diversi profili.  La prima negava la natura vessatoria della clausola negoziale indicata dalla parte attrice, posto non solo il mancato esercizio del diritto di recesso entro il termine di 30 gg, ma anche l’asserita possibilità di condurre un’attenta lettura del fascicolo informativo. Successivamente, ribadiva la causa assicurativa del contratto sottoscritto, avendo la compagnia assunto il rischio morte del contraente ( c.d. rischio demografico) e obbligandosi a pagare le prestazioni come contrattualmente previste. D’altra parte, l’istituto di credito eccepiva di aver cagionato qualsiasi danno alla contraente, essendosi limitato a svolgere un’ attività di intermediazione con incasso di una provvigione, senza utilizzare un promotore finanziario legato allo stesso.

Con sentenza 1010/2010, il tribunale adito riconosceva all’assicurata sia la nullità del rapporto negoziale intervenuto con la compagnia assicuratrice, sia la condanna di quest’ultima alla restituzione di quanto versato contestualmente alla sottoscrizione, nonché al pagamento delle spese processuali. In particolare secondo il Collegio, la dichiarazione confessoria chiara ed in equivoca sottoscritta dall’attrice, con cui attestava di aver ricevuto, al momento della sottoscrizione della polizza, il fascicolo informativo, non aveva natura vessatoria ai sensi delle norme citate, non potendosi ritenere che si trattasse di clausola che “ha per oggetto o per effetto di prevedere l’estensione dell’adesione del consumatore a clausole che non ha avuto la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto”. Sul piano sostanziale emergeva che, il contratto sottoscritto solo impropriamente era stato definito come assicurazione sulla vita, perché  la prestazione dell’assicuratore era legata al valore dei titoli azionari, rappresentati da un’obbligazione e da un’opzione, configurandosi il rischio per l’assicurato che l’entità della prestazione avrebbe potuto essere inferiore al premio corrisposto, fermo restando altresì che l’adempimento dell’obbligazione era condizionato dalla solvibilità della società emittente, mentre l’evento attinente alla vita umana ex art. 1882 c.c. rilevava solo in modo marginale sul quantum debeatur. Pertanto, emergeva la natura mista della causa del contratto offerto e sottoscritto dall’attrice, quasi completamente estraneo alla causa del contratto di assicurazione, con conseguente necessità di applicare la disciplina del negozio prevalente, ossia la normativa relativa all’intermediazione mobiliare ai sensi del d.lgs. 58/98.

In particolare, il Collegio respingeva l’eccezione sollevata dal convenuto osservando che, sebbene il d.lgs. 303/2006 avesse chiarito il dettato normativo dell’art. 1, co. 1., del d.lgs. n. 58/98 aggiungendo la lettera w bis) (che contempla espressamente “i prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione” nell’ambito della disciplina dell’intermediazione mobiliare) e che, tuttavia, fosse entrato in vigore dopo la stipulazione della polizza de quo, la polizza index linked rientrasse già a pieno titolo tra “gli strumenti finanziari e ogni altra forma di investimento di natura finanziaria” di cui alla lettera u) del medesimo art. 1, co. 1.

Nessun dubbio residuava, pertanto, che la polizza index linked, avendo solo formalmente natura assicurativa e costituendo nella sostanza uno strumento finanziario dovesse già prima dell’entrata in vigore del D.lgs. n. 303/2006 essere assoggettata al T.U.F. e relativo regolamento CONSOB., configurandosi altrimenti una ingiustificata disparità di trattamento tra i sottoscrittori di obbligazioni o altri titoli e i sottoscrittori di polizza index linked. Infatti, diversamente opinando, questi ultimi rimarrebbero privi della tutela apprestata dalla normativa speciale in materia di intermediazione mobiliare nonostante l’acquisto di prodotti finanziari aventi le stesse caratteristiche di quelli acquistati dai primi e l’assunzione degli stessi rischi legati agli andamenti altalenanti del mercato borsistico. Ciò premesso, era evidente la nullità del rapporto negoziale a causa della mancata sottoscrizione da parte attrice del “contratto- quadro” ex art. 23 del d.lgs. n. 58/98 e dell’art. 30 del regolamento Consob n. 11522 del 1998, con il conseguente obbligo della compagnia assicuratrice di restituire all’attrice la somma versata oltre agli interessi legali dalla domanda fino al saldo.
Tuttavia, veniva rigettata la domanda proposta nei confronti della banca, ritenendo che l’attrice non avesse provato i fatti allegati a fondamento della dedotta responsabilità dell’istituto creditizio.

2. Natura giuridica delle polizze linked e  normativa applicabile.

Nel mercato del risparmio esistono polizze assicurative non tradizionali, dette “linked” (1) che, in generale, costituiscono forme assicurative il cui valore dipende direttamente dalle prestazioni di un’entità di riferimento; esse si distinguono in polizze unit-linked e polizze index-linked.

La polizza unit-linked è un contratto di assicurazione sulla vita a premio unico, con una forte componente finanziaria, essendo il rendimento correlato alle variazioni di valore di attività finanziarie. Al premio versato in unica soluzione dall’assicurato, corrisponde, infatti, uno specifico numero di quote (units) di uno o più fondi di investimento, che, al momento del riscatto, vengono “liquidate” secondo il loro valore attuale. Nello specifico, al momento della liquidazione, la prestazione dovuta all’assicurato/investitore si determina moltiplicando il numero delle quote possedute per il loro valore attuale di mercato. Le assicurazioni unit-linked sono contratti in cui l’entità del capitale assicurato dipende dal valore delle quote di fondi di investimento interni (appositamente costituiti dall’impresa di assicurazione) o da fondi esterni (OICR -Organismi di investimento collettivo del risparmio) in cui vengono investiti i premi versati. Di norma è consentito al contraente scegliere il fondo di investimento al quale agganciare il capitale tra più opportunità offerte dall’impresa di assicurazione e trasferire le somme accumulate da un fondo all’altro (switch) pagando eventualmente una commissione. Tale prodotto finanziario (c.d. financial product) non offre sempre garanzia di un rendimento minimo né assicura il consolidamento dei rendimenti anno per anno (2).

Diversamente, la polizza index-linked è a premio unico e di genere misto, poiché affianca una componente finanziaria ad una finalità previdenziale, propria dei contratti di assicurazione. Quest’ultmo financial product costituisce un’obbligazione c.d. strutturata, ovvero costruita attraverso la combinazione di un titolo obbligazionario e di un’opzione, che consente all’investitore di “scommettere” sull’andamento di singoli strumenti finanziari di riferimento (c.d. indici sintetici). In tal modo, si permette al risparmiatore di usufruire degli andamenti positivi di determinati mercati (3), ferma restando la garanzia della restituzione del capitale inizialmente investito.

In particolare, le polizze index linked funzionano come le obbligazioni index linked, ma si contraddistinguono per  la presenza di un'assicurazione sulla vita per il periodo della durata della polizza. Se il contraente, cioè chi ha stipulato la polizza index linked e ha versato il premio, muore prima della scadenza del periodo di investimento, i beneficiari riceveranno un importo calcolato secondo i termini previsti nel contratto. Specifiche regole di sottoscrizione sono state dettate dalla direttiva europea MIFID (Direttiva sui Mercati degli Strumenti Finanziari), proprio perché  l'obiettivo principale delle polizze index linked è l'investimento, non l'assicurazione.

Nel caso in cui si sottoscriva un prodotto con componente finanziaria, i documenti che la compagnia assicuratrice, o l'intermediario a cui il cliente si è rivolto, deve fornire, sono il fascicolo informativo, che si compone di una scheda sintetica, di una nota informativa, delle condizioni contrattuali comprensive del regolamento dell'investimento eventualmente sottostante, di un glossario e di un modulo di "proposta di assicurazione". Per i contratti rivalutabili e di capitalizzazione deve anche essere fornito, al piu' tardi al momento della sottoscrizione, il "progetto esemplificativo personalizzato" inerente lo sviluppo del capitale o della rendita nonché dei premi versati, con evidenza, ad ogni scadenza annuale, dei valori di riscatto e di riduzione, il quale tuttavia, essendo redatto su stime ipotetiche, non vincola in alcun modo la compagnia rispetto al raggiungimento dei risultati riportati. Altresì la compagnia assicuratrice, o l'intermediario, devono anche verificare la propensione al rischio dell’investitore, raccogliendo una serie di informazioni, in modo da consigliare il tipo di investimento più adatto, che risulta da un modulo/questionario che inquadra il profilo di rischio del risparmiatore, nonché la sua conoscenza ed esperienza della materia. E’ possibile sia firmare una dichiarazione di rifiuto di dare informazioni, sia sottoscrivere una polizza che l'intermediario non ritiene adeguata alle esigenze del cliente, tuttavia in tal caso unitamente ad un’ulteriore dichiarazione dalla quale risulti che al cliente sono noti i motivi dell'inadeguatezza.

Al fine di individuare la normativa applicabile è necessario qualificare giuridicamente le polizze linked, a prescindere dalla loro qualificazione formale di contratti di assicurazione, posto che si tratta di prodotti “ibridi”, assicurativo-finanziari.
Una prima strada da percorrere è quella del collegamento negoziale atipico (4): in particolare, i contratti di assicurazione unit-linked ed index-linked risulterebbero dalla combinazione di un contratto di assicurazione sulla vita con un contratto di investimento in valori mobiliari e in altre attività finanziarie. Si configurerebbe, pertanto, sotto un profilo soggettivo, una evidente ipotesi di collegamento fra contratti conclusi da parti diverse (5), quali: i) le compagnie di assicurazione, che offrono le polizze di assicurazione sulla vita; ii) il distributore-gestore (generalmente un istituto di credito) delle quote componenti il premio unico versato o, comunque, collegate ad un peculiare fondo d’investimento; iii) i risparmiatori-investitori.

Il rapporto trilaterale sopra delineato implicherebbe l’impossibilità da parte della compagnia di assicurazione di disporre liberamente del premio versato dall’assicurato, essendo tale premio, in un certo senso, vincolato per l’acquisto di quote di partecipazioni in fondi o titoli strutturati all’agere del gestore finanziario, secondo il piano di investimento di volta in volta accordato (6).  La condivisione di tale impostazione, tuttavia, implicherebbe la ripercussione di tutte le vicende giuridiche dell’investimento mobiliare sul contratto assicurativo e viceversa.

Invero, vi è chi (7), seguendo un filone giurisprudenziale, secondo il quale “il collegamento [negoziale] deve dipendere dalla genesi, cioè dalla circostanza che uno dei due negozi trovi la sua causa in un rapporto scaturito dall’altro; dalla funzione, cui un negozio adempie rispetto all’altro; dall’intento specifico e particolare delle parti di coordinare i negozi, instaurando tra di essi una connessione teleologica” (8) esclude del tutto l’ipotesi della sussistenza di un collegamento negoziale; in base a tale indirizzo “il negozio finanziario costituisce non tanto l’oggetto di una comune previsione delle parti, e quindi l’oggetto del contratto, quanto piuttosto lo strumento attraverso il quale l’assicuratore potrà adempiere l’obbligazione assunta”(9).

Ciò premesso, al fine di inquadrare correttamente la problematica giuridica relativa alla qualificazione delle polizze linked, come veri e propri contratti di assicurazione o, invece, quali contratti di investimento mobiliare, è necessario analizzare sotto altro profilo la causa negoziale.

Secondo un primo orientamento (10), le polizze linked sono contratti di assicurazione per due ragioni: i) in primo luogo, perché la Tabella allegata al d.lgs. 17 marzo 1995, n. 174, rubricato “Attuazione della direttiva 92/96/CEE in materia di assicurazioni sulla vita” (ora abrogato (11)), alla lettera A, punto III, qualifica come “assicurazioni” i contratti in cui la prestazione dell’assicuratore sia connessa con fondi di investimento; in secondo luogo, perché, in un’ottica storico-sociale, tali contratti sono legati al c.d. rischio demografico (12) ossia al rischio che la popolazione degli aderenti/assicurati abbia una vita media più lunga di quella stimata. A tale impostazione ha aderito anche parte della giurisprudenza, secondo la quale nelle polizze linked la finalità di risparmio “non vale a snaturare il contratto di assicurazione, se la prestazione dell’assicuratore resti comunque ancorata ad un evento attinente la vita umana” (13): da qui la conseguente operatività della disciplina di cui agli artt. 1882 ss. c.c. e del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, c.d. Codice delle Assicurazioni (che ha abrogato il d.lgs. 174/1995).

In maniera difforme si è espresso l’orientamento maggioritario (14) secondo il quale, se la somma dovuta dall’assicurato prescinde dal c.d. rischio demografico e resta, invece, ancorata e computata su determinati indici di incremento del premio versato, il contratto stipulato è un contratto finanziario.
Per converso, anche l’opzione in esame è stata criticata in quanto occorre sempre individuare l’elemento causale che caratterizza le polizze linked, al fine di determinare, conseguentemente, la relativa disciplina applicabile, in tal modo differenziandole dal tipico contratto di assicurazione. Infatti, l’elemento costitutivo del contratto di assicurazione rimane sempre il rischio ovvero l’aleatorietà circa il verificarsi di un evento predeterminato, cui è collegata la prestazione dell’assicuratore, secondo la previsione inderogabile dell’art. 1895 c.c., di talché “l’interpretazione del contratto deve procedere, in ragione della natura sinallagmatica del vincolo, alla luce del principio di necessaria corrispondenza tra ammontare del premio dovuto dall’assicurato e contenuto dell’obbligazione dell’assicuratore”(Cass. Civ. sez. III, 30-04-2010 n. 10596). 

Dal punto di vista strutturale, soggettivo ed oggettivo, il contratto disciplinato ai sensi dell’artt. 1882 ss.c.c., rileva la presenza di solo due parti, quali la compagnia di assicurazione e il soggetto assicurato, tra i quali  si conclude un contratto avente forma scritta ad probationem, ove l’oggetto si rinviene nel pagamento di un premio da parte dell’assicurato nei confronti dell’assicuratore, il quale a sua volta si obbliga a pagare al beneficiario dell’assicurazione la somma o la rendita dell’assicurato al verificarsi di un evento attinente alla vita umana dell’assicurato.

Diversamente, le polizze linked non solo non prescindono, a priori, dall’assicurazione sulla vita, ma ad essa collegano una finalità finanziaria in via funzionale: nei contratti in esame, non sussiste, quale elemento essenziale, il solo “rischio demografico”, ovvero il rischio legato alla durata della vita umana, che l’assicuratore assume (15), ma a questo si aggiunge  l’aspettativa dei guadagni di portafoglio conseguenti ad una peculiare gestione finanziaria.

Gli esposti argomenti hanno suggerito alla giurisprudenza l’opportunità di riconoscere alle polizze linked una natura finanziaria, tale da qualificarli come “operazioni di capitalizzazione” (16). Infatti, recentemente è stato affermato che “le polizze garantiscono si la restituzione del capitale nominale (…), elemento comunque non decisivo siccome previsto anche in investimenti di carattere pacificamente finanziario, ma al netto dei costi di gestione e quindi in misura comunque inferiore all’ammontare del capitale versato, impoverito anche dal fenomeno inflattivo; ciò che appare chiaramente incompatibile con lo strumento, ( che in ragione appunto della sua funzione previdenziale il divieto sub. Art. 1923 cod. civ. è volto a presidiare) della assicurazione sulla vita, quale forma di assicurazione privata (pur nelle possibili sue varie modulazioni negoziali) maggiormente affine agli istituti di previdenza elaborati dalle assicurazioni sociali” (Tribunale di Parma, Sez. I, 1107/2010).

Peraltro, è stato osservato che “ le polizze di assicurazione sulla vita a contenuto finanziario rientrano nella sfera delle nuove forme di investimento, rivelano un forte legame con il sistema dell’intermediazione finanziaria di tal che, a differenza delle classiche polizze vita, non nascono secondo le  esigenze personali di un cliente, quanto piuttosto nell’ambito di una vera e propria operazione di emissione e prevedono un premio versato in unica soluzione o secondo un piano d’accumulo” (Trib. Salerno 6.10.2008).

Significativo è stato un ulteriore intervento secondo cui, la fattispecie negoziale in cui l’assicuratore incassi il premio intero all’atto della sottoscrizione e si obblighi al pagamento nel caso di “morte a vita intera” , e dunque ad evento certo, rivela da un lato, l’inesistenza del c.d. rischio demografico, e  dall’altro, sia che il rischio di investimento grava completamente a carico dell’assicurato, sia che l’obbligazione dell’assicuratore è limitata al pagamento del valore del capitale investito al momento dell’evento, in base agli indici di riferimento. In questo caso, “la funzione del contratto- anche ricorrendo alla causa mista ed al concetto di causa prevalente- deve più propriamente essere inquadrata nello schema di acquisto di prodotti finanziari, laddove l’investimento di un capitale è esposto al rischio di perdite a fronte di una certa probabilità di guadagno” (cfr. Trib. Cagliari sentenza n. 3233/2010).

A seconda che si consideri prevalente l’elemento causale assicurativo o quello finanziario, cambia la disciplina applicabile alle polizze linked; tuttavia, il leit motive delle due possibili soluzioni prospettabili è quello di tutelare – sia pure con forme e strumenti diversi – la figura dell’assicurato/risparmiatore, ponendo in capo ai soggetti offerenti tali prodotti assicurativi-finanziari un preciso obbligo di fornire al sottoscrittore una puntuale, adeguata, completa e trasparente informazione.
Con riferimento alla natura delle polizze linked, è opportuno ricordare quanto affermato nel 2005 dalla CONSOB nell’ “Indagine conoscitiva sulle problematiche relative alla diffusione di strumenti finanziari derivati” (compiuta prima dell’entrata in vigore del d. Lgs. 7 settembre 2005, n. 206, “Codice delle Assicurazioni private” e della L. 28 dicembre 2005, n. 262, c.d. Legge sul risparmio), la quale, con riferimento a strumenti finanziari sempre più sofisticati e complessi, ha riconosciuto la natura strettamente finanziaria di tali “polizze” (17).

Tali autorevoli considerazioni, infatti, inducono a ritenere primaria la presenza di una strutturale composizione finanziaria delle polizze in esame, data  la palese diversità con il contratto di assicurazione sulla vita, e pertanto la indubbia applicazione del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (T.U.F), e pertanto l’incomprensibilità della pretesa di applicare la disciplina di cui agli artt. 1882 ss. c.c. e dell’ormai abrogato d.lgs. n. 174/1995 (incorporato nel c.d. Codice delle Assicurazioni, d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209).
Il contratto di assicurazione sulla vita o di capitalizzazione è concluso, ossia produce tutti i suoi effetti, a condizione che sia stato pagato il premio, nel giorno in cui il contraente ha ricevuto la comunicazione dell’accettazione della proposta di assicurazione, inclusa nel fascicolo informativo, da parte dell’impresa di assicurazione. In assenza di tale comunicazione, il contratto è concluso nel giorno in cui il contraente ha ricevuto la polizza sottoscritta dall’impresa. Altresì, è necessario differenziare l’ipotesi in cui venga sottoscritta la proposta- polizza, che rende il contratto immediatamente concluso.

Sul piano normativo, con riguardo al testo originario del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, rubricato “Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52” (c.d. T.U.F. o anche “Legge Draghi”), oggi modificato ed integrato dalla legge 28 dicembre 2005, n. 262 “Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari” (c.d. Legge sul risparmio) e dal decreto legislativo 29 dicembre 2006, n. 303, importa evidenziare come lo stesso escludesse la possibilità di applicare le norme di cui al Capo I “Sollecitazione all’investimento” del Titolo II “Appello al pubblico risparmio” alle sollecitazioni all’investimento (18) “aventi ad oggetto prodotti finanziari emessi da banche, diversi dalle azioni o dagli strumenti finanziari che permettono di acquisire o sottoscrivere azioni, ovvero prodotti assicurativi emessi da imprese di assicurazione” (19).

Successivamente, il legislatore con l’art. 11, secondo comma, legge 28 dicembre 2005, n. 262, è intervenuto modificando l’art. 30, nono comma, del T.U.F., estendendo la disciplina in materia di offerta fuori sede “ anche ai prodotti finanziari diversi dagli strumenti finanziari e dai prodotti finanziari emessi dalle imprese di assicurazione, fermo restando l’obbligo di consegna del prospetto informativo”, con evidente equiparazione ex lege di tali polizze ai prodotti finanziari, anche laddove si è trasferita, ai fini della trasparenza, alla competenza della CONSOB la materia delle polizze unit ed index-linked.

Ma due sono gli interventi sostanziali da riconoscere alla legge 28 dicembre 2005, n. 262: il primo, concerne l’abrogazione della lettera f) al primo comma dell’art. 100 T.U.F., che escludeva l’applicazione della disciplina relativa alla sollecitazione all’investimento ai prodotti finanziari emessi da banche diversi dalle azioni o dagli strumenti finanziari che permettono di acquisire o sottoscrivere azioni, ovvero prodotti assicurativi emessi da imprese di assicurazione (20); il secondo, si riferisce all’art. 25 bis T.U.F., rubricato “Prodotti finanziari emessi da banche o da imprese di assicurazione” – introdotto dall’art. 11, legge 28 dicembre 2005, n. 262 – ai sensi del quale devono ritenersi applicabili anche ai prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione, “in quanto compatibili”, gli articoli 21 e 23 del T.U.F., concernenti, l’uno, i criteri generali di correttezza, trasparenza e diligenza dello svolgimento dei servizi finanziari, l’altro, la forma dei contratti (21).

Il riconoscimento giuridico dei prodotti assicurativi con contenuto finanziario impone di applicare agli stessi le norme del T.U.F., escludendo unicamente i prodotti assicurativi “propriamente detti” (22), i quali sono subordinati all’applicazione del Codice delle Assicurazioni e alla normativa regolamentare di settore (23).

Le norme sopra commentate sono state oggetto di un nuovo aggiornamento da parte del decreto legislativo 29 dicembre 2006, n. 303, il quale ha maggiormente specificato, a livello anche nozionistico, l’operatività della categoria dei prodotti finanziari assicurativi all’interno del T.U.F; infatti, all’art. 1, primo comma, è stata introdotta la lettera w-bis, a mente della quale sono prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione “le polizze e le operazioni di cui ai rami vita III e V di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, con esclusione delle forme pensionistiche individuali di cui all’articolo 13, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252”(24). In tal modo, il legislatore ha chiarito la natura giuridica di questa discussa categoria di prodotti; inoltre, al primo comma dell’art. 25 bis T.U.F. è scomparsa la precisazione “in quanto compatibili” (25) e il nono comma dell’art. 30, T.U.F. ha esteso la disciplina dell’offerta fuori sede anche ai prodotti finanziari diversi dagli strumenti finanziari e – limitatamente ai soggetti abilitati – ai prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione.

3. Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale della banca e dell’assicurazione.

Ove si propenda per una qualificazione delle polizze linked quali contratti di finanziamento, essendo prevalente l’elemento causale del rendimento, oggettivamente correlato alle variazioni di valore di attività finanziarie,  si dovrà  applicare il d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, (c.d. T.U.F.), così come modificato ed integrato dalla legge 28 dicembre 2005, n. 262 e dal decreto legislativo 29 dicembre 2006, n. 303, nonché gli artt. 115 e ss., d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (c.d. T.U.B. “Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia”).

L’applicabilità del T.U.F. comporta ex se l’osservanza delle norme imperative, di rango pubblicistico, che disciplinano l’attività di promozione e stipulazione di contratti aventi ad oggetto strumenti finanziari, servizi di investimento e servizi a questi accessori, di cui al d.lgs. n° 58/1998 (T.U.F.), artt. 5, 6, 21, 23 e ss. e al relativo Regolamento di attuazione n°11522/1998 adottato dalla CONSOB e successive modifiche.

Tale normativa contiene alcuni fondamentali criteri generali che attuano dei canoni di comportamento immediatamente precettivi;  infatti, la costante e consolidata interpretazione giurisprudenziale  individua, in particolar modo nei regolamenti della CONSOB, non solo un’espressione di potestà ontologicamente normativa, ma anche una fonte idonea ad incidere con modalità particolarmente incisive sulla sfera giuridica soggettiva dei destinatari delle norme. Invero, alla medesima conclusione giunge anche la recente giurisprudenza di merito, secondo cui si tratta “di disposizioni costitutive di diritto, che vanno ad integrare l’ordinamento giuridico generale, a condizionare l’autonomia negoziale, ad incidere sui rapporti interprivati, a costituire un parametro generale ed astratto della validità degli atti e dei comportamenti realizzati dagli operatori del mercato” (26)

Dalla “equiparazione” dettata ex lege dei prodotti in questione a quelli finanziari discende il conseguente specifico dovere dell’intermediario d’informare, essere informato, di consultazione, di valutazione e di adeguatezza, posto “a tutela dell’ordine pubblico economico e, dunque, sostanziantesi in norme imperative, la cui violazione impone la reazione dell’ordinamento attraverso il rimedio della nullità del contratto, anche a prescindere da un’espressa previsione in tal senso del legislatore ordinario” (27).

Alla stregua di tali principi, e ricordando come il nuovo art. 25 bis, T.U.F. disponga che “gli articoli 21 e 23 si applicano alla sottoscrizione e al collocamento di prodotti finanziari emessi da banche e da imprese di assicurazione”, emerge ictu oculi come gli obiettivi perseguiti dalla disciplina sopra menzionata siano quelli di garantire l’integrità dei mercati e, al contempo, proteggere la posizione del risparmiatore. In particolare, infatti, proprio l’art. 5, primo comma, T.U.F. individua lo scopo della disciplina in esame nella “trasparenza e la correttezza dei comportamenti” e nella “sana prudente gestione dei soggetti abilitati, avendo riguardo alla tutela degli investitori e alla stabilità, alla competitività e al buon funzionamento del sistema finanziario”.

Il principio della trasparenza, quindi, diviene fondamentale non solo relativamente alla singola operazione, ma, altresì, al comportamento dell’intermediario, il quale deve ispirarsi a principi di onestà, equità e professionalità, secondo, un preciso standard di diligenza qualificata (28).
Inoltre, sia la normativa nazionale che quella comunitaria pongono a tutela degli investitori e del buon funzionamento del sistema finanziario non solo il rispetto dei criteri di trasparenza e di correttezza, ma anche del dovere d’informazione: quest’ultimo, costituisce elemento caratterizzante e qualificante la corrispondente attività. L’informazione non è, infatti, nel possesso del risparmiatore/investitore, ma rimane nella disponibilità del negoziatore professionale. L’informativa rivolta al risparmiatore-investitore, impone dei precisi comportamenti da parte dei professionisti e delle Autorità del settore (29), anche se la tutela dell’investitore non esaurisce le proprie garanzie nell’ambito della sola corretta informazione e nella trasparenza.
In particolare, il d.lgs. n. 58/1998 non disciplina in maniera peculiare il tipo d’informazione che deve essere riferita al risparmiatore-investitore, ma semplicemente dispone all’art. 21, primo comma, lett. a), che i soggetti abilitati “devono comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati”; più specifico è, poi, il disposto della lett. b) del medesimo articolo, che prevede la necessità di “acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano adeguatamente informati”.

Tale dovere risulta ulteriormente delineato dall’art. 28, secondo comma, Reg. CONSOB n. 11522/1998, a norma del quale gli intermediari “non possono effettuare o consigliare operazioni …se non dopo aver fornito all’investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento”; pertanto, l’informazione, da un lato, deve essere adeguata (30),  tale da soddisfare le esigenze informative relative alla singola relazione negoziale tra l’intermediario e l’investitore, senza limitarsi ad una mera rendicontazione; dall’altro, deve essere necessaria, affinché il criterio della trasparenza possa dirsi rispettato. E’chiaro che tali regole devono essere applicate anche alla luce del criterio della diligenza professionale, che, nel settore in esame, si atteggia a “diligenza particolare” (31), in quanto è più specifica rispetto alla diligenza di cui all’art. 1176, secondo comma, c.c..

Tale sistema si propone, dunque, come scopo, quello di regolare il buon funzionamento dei mercati finanziari e di tutelare l’utente; infatti, “il mercato è contratto; si sviluppa mediante accordi che richiedono informazione per le parti, responsabilità per l’adempimento, protezione dagli abusi e dai comportamenti fraudolenti di una delle parti. I contratti finanziari con il pubblico sono esposti al rischio di abusi, e perciò richiedono che sia organizzata, secondo i criteri della tutela del consumatore verso il commerciante, la gestione dell’informazione, delle garanzie e dell’affidamento, ed in particolare il rispetto dei vincoli fiduciari, …: in ordine all’onere della prova e all’operatività delle azioni di risarcimento” (32).
Norma di riferimento è, poi, l’art. 23, d. lgs. 58/1998 (33), la quale crea uno scudo di protezione a beneficio dei contraenti in posizione negoziale debole come quella dei risparmiatori-investitori. Di rilievo è il sesto comma di tale articolo, ai sensi del quale “nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta”, ponendo a carico dell’intermediario un’inversione dell’onere della prova. La diversa funzione assegnata ai contratti stipulati con le imprese assicurative, qualora privi del rischio demografico, trova riscontro nell’art. 178 Cod. Assic., laddove prescrive che l’assicuratore è onerato della prova di aver gestito il capitale versato a titolo di premio con la diligenza richiesta dalla specifica attività, tipica dell’intermediatore finanziario. Nonché nella previsione contenuta nel Regolamento ISVAP 1-03-05 circa l’obbligo dell’assicuratore di informare il contraente della diminuzione della polizza sotto il 30% del capitale investito.

A tutela del consumatore-risparmiatore molto aggiungono le norme secondarie della CONSOB, introdotte con il Regolamento attuativo n. 11522/1998, le quali rafforzano le garanzie e le finalità della disciplina del settore finanziario in via primaria regolata dal T.U.F. In via esemplificativa, giova ricordare quanto statuito dall’art. 29, primo comma, Reg. CONSOB n. 11522/1998, secondo il quale “gli intermediari autorizzati si astengono dall’effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione”.

L’esame delle predette norme consente di poter ritenere che gli istituti di credito sono tenuti non solo a chiarire ai clienti i fatti in sé, ma anche ad assisterli e ad interpretare, nel loro esatto significato economico, le operazioni assicurativo-finanziarie che si apprestano a sottoscrivere. La violazione delle disposizioni esaminate, avendo rango pubblicistico, nonché del generale dovere del neminem laedere, rilevano quali inadempimenti di non scarsa importanza, anche per violazione del dovere di buona fede, che consentono, dunque, il fondato accoglimento della domanda di risoluzione ex art. 1453 c.c. dei contratti assicurativi-finanziari.

Sotto il profilo, poi, della responsabilità aquiliana del bonus argentarius, l’Istituto di credito potrà essere ritenuto responsabile ex art. 2043 c.c. qualora, con un comportamento non improntato alla diligenza richiesta, leda, prima, la libertà negoziale dei risparmiatori inducendoli a contrarre e, in secondo luogo, il loro interesse a determinarsi liberamente rispetto al proprio patrimonio.

Chiunque, infatti, nello svolgimento dell'attività negoziale, fa "ragionevole affidamento sulla veridicità delle dichiarazioni, da chiunque rese, comunque concernenti quella attività" ha diritto a non "essere pregiudicato da dichiarazioni non veritiere, rese per dolo o per colpa in violazione dei doveri inderogabili di solidarietà sociale sanciti dall'art. 2 Cost." (Cass., 4 maggio 1982, n. 2765, in Giust. civ., 1982, I, 1745).

La recente giurisprudenza di legittimità (Cass. N. 14056/10), condivisa anche da alcuni giudici meneghini (tribunale di Milano, sent. n. 9575/2010, già citata), ha specificato che “la violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede nella fase anteriore a qualsiasi rapporto contrattuale espone all’obbligo di risarcire i danni, a prescindere dal fatto che il contratto sia poi stato concluso o meno e che la violazione del dovere di buona fede possa o meno aver inciso sulla validità dello stesso”. Il danno risarcibile, nell’ipotesi di violazione della buona fede in contraendo, consiste nel c.d. interesse contrattuale negativo, inteso come pretesa del danneggiato al ripristino della situazione in cui si sarebbe trovato qualora il contratto non fosse mai stato concluso. E’ opportuno sottolineare altresì che, in tema di obbligazione risarcitoria da fatto illecito, la quale costituisce un tipico debito di valore, è dovuto al danneggiato anche il risarcimento del danno da ritardo conseguente alla mancata disponibilità per impieghi remunerativi della somma di denaro in cui il suddetto debito viene liquidato, da corrispondersi mediante cd. interessi compensativi.
Senza contare, poi, che "il diritto di determinarsi liberamente nello svolgimento dell'attività negoziale relativa al patrimonio" viene ricondotto dalla Suprema corte direttamente entro i limiti di tutela di cui all'art. 41 Cost. (Cass., 4 maggio 1982 n. 2765, cit.).

Sotto un ulteriore profilo, alla luce delle considerazioni svolte, non potrà non ritenersi imputabile agli Istituti di credito la responsabilità precontrattuale ai sensi degli artt. 1337 e 1338 c.c. nel caso in cui ledano oltre che la libertà negoziale, anche il diritto degli investitori-risparmiatori alla corretta informazione prodromica alla conclusione di qualsivoglia affare negoziale. La violazione delle norme imperative che si limitano ad imporre degli obblighi comportamentali, intendendo per tali anche quelle che regolano il compimento delle singole operazioni di investimento, dà luogo ad un inadempimento contrattuale che può giustificare solo una pronuncia risarcitoria idonea a ristorare l’investitore del danno allo stesso eventualmente cagionato, venendo in rilievo una condotta dell’intermediario successiva alla conclusione del contratto quadro di negoziazione ed  avente natura attuativa di obblighi assunti dall’intermediario proprio all’atto della stipula di tale contratto.

In particolare, la pronuncia risarcitoria presuppone la sussistenza di un nesso causale tra la violazione della norma comportamentale e il danno che, normalmente, nelle cause di intermediazioni finanziarie coincide con la perdita dell’investimento.
A tal proposito, in generale grava specificatamente sull’investitore l’onere di dimostrare il nesso di causalità tra inadempimento degli obblighi comportamentali e danno, che può essere assolto eventualmente anche attraverso il ricorso a presunzioni a norma dell’art. 2727 e ss. Cod. civ., posto che l’inversione dell’onere della prova previsto a carico della banca dall’art. 23 T.U.F. in ordine all’osservanza degli obblighi di diligenza e corretta informazione non può estendersi anche alla dimostrazione del nesso di causalità tra condotta negligente della banca medesima e  danno.
Pertanto, è necessario che il risparmiatore dimostri specificamente a tal fine l’esistenza del nesso di causalità tra la violazione dell’obbligo informativo ( omessa consegna del documento sui rischi generali, omessa raccolta delle informazioni sul profilo di rischio, omessa o carente informazione sulle caratteristiche e sui rischi dell’operazione, etc.) ed il danno ( perdita dell’investimento). In sostanza, il risparmiatore deve provare che se avesse avuto complete informazioni da parte dell’intermediario, sarebbe stato dissuaso dal porre in essere l’investimento incentivato e non avrebbe quindi acquistato quei titoli ( cfr. Trib. Venezia, sentenza del 24.06.2010).

Tuttavia, sussistono particolari fattispecie, come nel conflitto di interessi e  nelle operazioni inadeguate,  in cui il nesso di causalità in questione deve ritenersi in re ipsa (si veda per tutti, Cass. S.U. n. 27624/07; Corte di appello di Reggio Calabria 14.12.2009; Trib. Venezia 28.2.2008 I Contratti Ipsoa, 2008, pag. 555; Trib. Biella 17 luglio 2008; Trib. Milano 14.2.2009; Trib. Milano 18.2.2009).

Per converso, è possibile ravvisare la responsabilità della banca per violazione del principio di diversificazione del rischio, laddove l’acquisto della polizza costituisse un ‘operazione inadeguata sotto il profilo dimensionale, qualora l’istituto di credito consentisse all’attore di investire tutto il suo patrimonio in una polizza che, nonostante l’aggettivo “assicurativa” non ha affatto natura di un piano di accumulo di natura previdenziale, bensì di un prodotto finanziario  il cui valore sia strettamente legato a quello dei titoli emessi da una società corporate che opera nel libero mercato.

Diversamente, altra giurisprudenza di merito ha osservato che in tema di polizze index linked la circolare n. 451/D emanata dall’ISVAP in data 24.7.01 ha sottolineato l’esigenza di una informativa precontrattuale di tali prodotti al pubblico, secondo uno schema fisso di nota informativa dettagliata, vista la maggiore complessità e diversificazione dei profili di rischio derivanti dalla stipulazione di tali contratti. “E’ chiaro, pertanto, che alla luce della predetta normativa specifica e più in generale del fondamentale canone di buona fede che deve essere osservato ex art. 1337 c.c. nello svolgimento delle trattative e nella formazione del  contratto, non è sufficiente che contestualmente alla sottoscrizione della proposta contrattuale il cliente dichiari, su un modulo prestampato, “di aver ricevuto le Condizioni contrattuali regolanti il rapporto assicurativo, di averne preso atto e di accettarle integralmente”: sarebbe, difatti, del tutto inutile ai fini di una scelta realmente informata e consapevole di acquisto che il cliente (….)riceva l’informativa dettagliata scritta solo contestualmente alla sottoscrizione del contratto ovvero in precedenza ma con un tempo non sufficiente per formarsi una rappresentazione veritiera e corretta quanto meno degli elementi essenziali concernenti la specifica operazione che va a concludere  “  (Tribunale di Milano, sentenza n. 9575/2010).

Per completezza, è opportuno ricordare che l’assicurato può esercitare da un lato, il diritto di revoca,  dal momento della sottoscrizione della proposta di assicurazione finché non sia venuto a conoscenza dell'accettazione da parte della compagnia, ovvero quando il contratto non si e' ancora concluso, secondo le modalità esposte nella nota informativa;  dall’altro, può eserciate il diritto di recesso, entro 30 giorni dal momento in cui il contratto è stato concluso.

4. Aspetti processuali: il rito societario.

La qualificazione giuridica delle polizze linked come strumenti finanziari, anziché come prodotti assicurativi, ha dei riflessi anche sul piano processuale, posto che l’art. 1, primo comma, lett. d), del d. Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, dispone, l’applicabilità di tale disciplina processuale ai “rapporti in materia di intermediazione mobiliare da chiunque gestita, servizi e contratti di investimento, ivi compresi i servizi accessori, fondi di investimento, gestione collettiva del risparmio e gestione accentrata di strumenti finanziari, vendita di prodotti finanziari, ivi compresa la cartolarizzazione dei crediti, offerte pubbliche di acquisto e di scambio, contratti di borsa”.

Alla luce di questo dettato normativo è evidente, quindi, che laddove si propenda per una qualificazione giuridica delle polizze linked come prodotti finanziari (34), potrà ritenersi applicabile alle stesse il rito commerciale di cui al decreto legislativo n. 5 del 2003. Sembra questa la soluzione più condivisibile, atteso che:
- le polizze unit-linked ed index-linked sono prodotti strutturati da una componente finanziaria ed una assicurativa: la dottrina ritiene, infatti, che i titoli c.d. “ibridi”, emessi dalle imprese d’assicurazione (e cioè quelli che presentano infiltrazioni di carattere finanziario), sono, in quanto forme di sollecitazione al risparmio, integralmente sottoposte alla normativa dei valori mobiliari (35);
- la “causa” di tali polizze è rappresentata dall’aspettativa dei guadagni di portafoglio conseguenti ad una determinata gestione finanziaria dei premi versati;
- le polizze de quibus possono essere qualificate come prodotti finanziari anche ai sensi dell’art. 1, primo comma, lett. u), d.lgs. n. 58/1998 (36) (secondo cui per prodotti finanziari vanno intesi “gli strumenti finanziari e ogni altra forma di investimento di natura finanziaria”) e dell’art. 25 bis T.U.F., introdotto dal d. Lgs. n. 262/2005 (37).
In conclusione, è auspicabile una disciplina ah hoc per la nuova categoria giuridica di prodotti c.d. assicurativo – finanziari, ormai riconosciuta nell’ordinamento giuridico, non solo al fine di garantire una maggiore sicurezza e tutela dell’assicurato/investitore, ma anche per evitare possibili “conflitti” tra l’impresa di assicurazione e il gestore finanziario (circa il management delle operazioni concordate in fase di sottoscrizione del contratto), e tra le Autorità indipendenti di vigilanza (deputate al controllo della diligenza e correttezza del comportamento tenuto dai soggetti assicurativi e finanziari).

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(1). In inglese to link significa “collegare”; linked, dunque, “collegate”.
(2). cfr. M. BESSONE, Economia finanziaria, mercati mobiliari. I principi costitutivi di un ordinamento di settore e le garanzie della pubblica vigilanza, su
www.studiocelentano.it/lenuovevocideldiritto/testi/bessone_020802.htm; è opportuno specificare come le quote possano essere relative ad un fondo di investimento mobiliare esterno o interno alla società di assicurazione contraente o, comunque, riconducibile ad una compagnia di assicurazione appartenente allo stesso gruppo. Inoltre, dato il profilo di rischio, le polizze unit linked possono essere classificate in due gruppi: a) pure, se si verifica una perdita a causa del deprezzamento delle quote del fondo; b) garantite, se è prevista una garanzia finanziaria (es. conservazione del capitale investito). Cfr. Circolare ISVAP n. 474/2002 “Contratti di cui all’art. 30, comma 1, del d.lgs. 17 marzo 1995, n. 174: disciplina dei prodotti assicurativi collegati a fondi interni o ad OICR”.
(3). Nel 2001 l’ISVAP, con la circolare n. 451 “Polizze con prestazioni direttamente collegate ad un indice azionario o altro valore di riferimento (art. 30, comma 2, d.lgs. 17 marzo 1995, n. 174). Disposizioni in materia di costituzione del margine di solvibilità per i contratti inclusi nel ramo III di cui al punto A) della tabella allegata al d.lgs. 17 marzo 1995, n. 174”, ha precisato quali sono i criteri in base ai quali devono essere “costruiti” gli indici di riferimento a cui ricollegare le prestazioni delle polizze index-linked. In particolare, tali indici devono i) essere costruiti su strumenti finanziari, come definiti dall’art. 1 del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 e dai regolamenti di attuazione del citato decreto legislativo, quotati su mercati regolamentati; ii) essere pubblicati su quotidiani di diffusione nazionale con cadenza coerente con la valorizzazione prevista in polizza; iii) essere calcolati da soggetti terzi, indipendenti rispetto alla compagnia di assicurazione e agli emittenti di strumenti finanziari su cui sono costruiti; iv) essere calcolati in base a criteri di determinazione, resi disponibili agli interessati, che disciplinano anche le modalità di sostituzione o eliminazione di alcuni degli strumenti finanziari su cui sono costruiti. Per quanto riguarda gli “altri valori di riferimento” (per esempio un titolo strutturato) i requisiti di cui sopra devono sussistere per tutti i parametri o attivi sottostanti che, influenzando i profili di rischio/rendimento di detti “valori”, ne determinano, direttamente o indirettamente, l’indicizzazione. Di poi, come per le polizze unit-linked, in base al profilo di rischio, le polizze index-linked si distinguono in a) pure, quando il guadagno o la perdita della polizza sono legati, senza alcuna garanzia, alla fluttuazione dell’indice di riferimento; b) a capitale parzialmente garantito: anche se c’è una perdita è garantita la restituzione parziale del capitale investito; c) a capitale garantito: viena garantita la restituzione totale del premio versato o investito (cfr. PAU, Polizze? No, strumenti finanziari, in Italia Oggi, 28 febbraio 2005).
(4). Secondo la Corte di Cassazione “il collegamento contrattuale, che può risultare legislativamente fissato ed è quindi tipico,… può essere anche atipico in quanto espressione dell’autonomia contrattuale indicata nell’art. 1322 c.c., nei suoi aspetti generali […] è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, che viene realizzato non per mezzo di un singolo contratto ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali conservano una loro causa autonoma, anche se ciascuno è finalizzato a un unico regolamento dei reciproci interessi. Il criterio distintivo tra contratto unico e contratto collegato, pertanto non è dato da elementi formali, quali l’unità o la pluralità dei documenti contrattuali (un contratto può essere unico anche se ricavabile da più testi; un unico testo può riunire più contratti) o la mera contestualità delle stipulazioni, ma da quello sostanziale dell’unicità o pluralità degli interessi perseguiti. Infatti il contratto collegato non è un tipo particolare di contratto, ma uno strumento di regolamento di contratto degli interessi economici delle parti, caratterizzato dal fatto che le vicende che investono un contratto (invalidità, inefficacia ecc.) possono ripercuotersi sull’altro […]” (Cass., 28 giugno 2001, n. 8844, in Giust. Civ. 2002, I; cfr., ex multis, Cass., 18 gennaio 1988 n. 321, in Giust. civ., 1988, I, 1214)
(5). GALGANO, Il prodotto misto assicurativo-finanziario, in Banca, borsa e titoli di credito, 1988, I, pp. 95 ss.. Secondo l’Autore “dal fatto che coartefici del prodotto finanziario misto sono, e non potrebbero non essere, soggetti fra loro distinti (una compagnia di assicurazione, una società di gestione di fondi comuni di investimento) deriva la necessaria conseguenza che contratto di assicurazione e contratto di investimento si presenteranno come contratti collegati, non come elementi di un unico contratto (atipico) con causa mista (a nulla rileverebbe, come è ben noto, l’unicità del documento contrattuale). Come tutti i contratti collegati, essi assolvono tuttavia una funzione unitaria: trovano l’uno causa nell’altro; soddisfano un medesimo, indivisibile, interesse del risparmiatore-investitore; non sono eseguibili l’uno separatamente dall’altro, considerata la sopramenzionata tecnica di versamento dei premi mediante smobilizzo di quote del fondo”.
(6). BIN, Il prodotto misto assicurativo-finanziario, in Ass., 1988, pp. 353 ss.; MOLINARI, Il prodotto misto assicurativo-finanziario, in Resp. civ. prev., 1992, pp. 297 ss.: secondo l’Autore “la loro operatività congiunta è necessaria per realizzare l’operazione programmata dalle parti tramite il ‘piano’, operazione che, diversamente, ciascun contratto, da solo, non sarebbe in grado di attuare: ciò però non impedisce che i singoli negozi realizzino i propri effetti” per concludere che “…in base a questa premessa ne discende che ciascun contratto è sottoposto alla propria tipica disciplina, e non ad una disciplina unitaria individuata secondo il principio della prevalenza, come per i contratti misti”.
(7). ROSSETTI, Polizze “linked” e tutela dell’assicurato, in Ass., 2002, fasc. 2, pp. 223-248
(8). Cass., 20 gennaio 1994, in Foro it., 1994, I, 3094, riportata dallo stesso Autore ROSSETTI, op. cit., pp. 227-228. Ex multis, Cassazione civile , sez. I, 08 luglio 2004, n. 12567, in Giust. Civ. mass., 2004, fasc. 7-8.
(9). ROSSETTI, op. cit., p. 228. L’Autore giunge a ritenere come invero non ci sia una “giustapposizione di negozi diversi”, ma, piuttosto, “una fusione di elementi assicurativi e finanziari”.
(10). VOLPE PUTZOLU, Le polizze Unit linked e Index linked, in Ass., 2000, pp. 233-250; MOLINARI, op. cit.
(11). Abrogato dal d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, c.d. Codice delle Assicurazioni.
(12)VOLPE PUTZOLU, op. cit., p. 240, in cui l’Autore afferma che “il principale argomento a favore della essenzialità della presenza di un rischio demografico è costituito dal fatto che, nella definizione, il legislatore qualifica le operazioni del ramo III come “assicurazioni”. Di qui la conclusione che deve trattarsi di contratti caratterizzati dalla presenza di un impegno da parte dell’impresa di liquidare prestazioni assicurate il cui valore, o quello dei corrispondenti premi, sia dipendente dalla valutazione del rischio demografico”. In generale, l’oggetto del contratto assicurativo è il rischio che viene trasferito dall’assicurato all’assicuratore; tale rischio trasferito qualifica e influenza finalità e struttura del contratto assicurativo. La finalità dei contratti assicurativi si distingue a seconda che si consideri il “ramo danni” ed il “ramo vita” e “capitalizzazione”: nel primo caso, si tratta di una finalità indennitaria, nel senso che il contratto consente di tutelare l’assicurato da una perdita monetaria provocata dal manifestarsi dell’evento dannoso; nel secondo caso, la finalità è da intendere in senso previdenziale, giacchè si tutela l’esigenza di risparmio e del suo trasferimento –utilizzo in relazione a particolari eventi della vita umana.
Quanto al peculiare rischio demografico (c.d. longevity risk), per esso sono fondamentali le tavole di mortalità cui riferirsi. In via esemplificativa, si consideri il c.d. rischio di sopravvivenza del contratto assicurativo sulla durata della vita umana, il quale consiste nella durata della vita ‘troppo lunga’ rispetto alla capacità di produrre reddito e alle esigenze di consumo.
(13) Trib. Bologna (ord.), 12 gennaio 2001, in Ass., 2002, II, 2, 164; v. anche Trib. Treviso, 13 luglio 2005, inedita; Trib. Mantova (ord.), 16 novembre 2005, in I Contratti, 2006, fasc. n. 3, p. 283-284.
(14). ROSSETTI, op. cit.; BRAUNER, La combinazione tra assicurazione sulla vita e fondo di investimento – Dai contratti “variabili” ai “prodotti misti” assicurativo – finanziari, in Dir. ed economia assicuraz., 1992, 125; FANELLI, Assicurazione sulla vita e intermediazione finanziaria, in Ass., 1986, I, 201; LONGO, Considerazioni riassuntive sul rapporto tra assicurazione e intermediazione finanziaria, ivi, 1985, I, 499; GAMBINO, Linee di frontiera tra operazioni di assicurazioni e bancarie e nuove forme tecniche dell’assicurazione mista sulla vita a premio unico, in Ass., 1993, I, 157.
(15). Ciò farebbe propendere per l’applicazione ai contratti in esame della disciplina sui contratti di assicurazione.
(16). Così la circolare ISVAP 25 maggio 1998, n. 332/D, nella quale si afferma che “non possono essere qualificate come contratti di assicurazione sulla durata della vita umana, e quindi non possono essere inclusi nel ramo III, quelle polizze le cui condizioni contrattuali siano articolate in modo tale da rendere, di fatto, l’entità e l’effettiva erogazione delle singole prestazioni, per il caso di sopravvivenza e/o per il caso di morte, indipendenti dalla durata della vita della testa assicurata (ad esempio, contratti che si limitino a considerare l’evento morte come mera occasione di pagamento di somme senza che vi sia assunzione di rischio demografico ovvero contratti in forma mista che prevedano, in caso di morte dell’assicurato, modalità di differimento del capitale dovuto per tale evento che consentano ai beneficiari di ottenere alla scadenza contrattuale la liquidazione del capitale previsto per il caso della vita). Qualora l’impresa (…) non assuma alcun rischio demografico il prodotto dovrà essere chiaramente connotato come un’operazione di capitalizzazione”.
(17). CONSOB, “Indagine conoscitiva sulle problematiche relative alla diffusione di strumenti finanziari derivati” del 12 gennaio 2005 – VI Commissione Finanze della Camera dei Deputati. L’Autorità indipendente ha avuto occasione di affermare che “il caso più importante è rappresentato dalle obbligazioni bancarie ‘strutturate’, che ormai rappresentano gran parte delle obbligazioni bancarie in circolazione. Le obbligazioni strutturate prevedono clausole di indicizzazione complesse, per cui il rendimento o il capitale a scadenza sono agganciati all’andamento di altri strumenti o indici, analogamente a quanto avviene per gli strumenti derivati. L’acquisto di una obbligazione strutturata replica quindi un portafoglio composto da una obbligazione standard e da uno o più strumenti derivati.
Un altro veicolo attraverso il quale le famiglie e gli investitori retail hanno indirettamente assunto posizioni in derivati è rappresentato dai prodotti assicurativi ad elevato contenuto finanziario. Come noto, il settore delle assicurazioni sulla vita ha subito una trasformazione profondissima a partire dagli anni sessanta. Ormai, circa il 50% della raccolta dei premi del settore vita è ascrivibile al collocamento di prodotti a prevalente o esclusivo contenuto finanziario. Le riserve tecniche delle compagnie di assicurazione a copertura di tali tipologie di polizze sono cresciute da 18 a 107 miliardi di euro fra il 1998 e il 2003 (implicando un tasso di crescita annuo composto di oltre il 40%). A partire dalle assicurazioni rivalutabili, le polizze vita hanno assunto e progressivamente sviluppato una sempre maggiore connotazione finanziaria, ponendosi in aperta concorrenza con le forme tradizionali di raccolta e gestione del risparmio. Oggi, nelle loro forme più innovative, le assicurazioni sulla vita presentano sempre più le caratteristiche dell’investimento finanziario, attraverso il collegamento delle prestazioni rese al cliente all’andamento di parametri finanziari e valori mobiliari, con la partecipazione (totale e parziale) dell’assicurato ai rischi finanziari dell’operazione (c.d. polizze index linked).
In particolare, le polizze linked, usualmente definite ‘ad elevato contenuto finanziario’, costituiscono forme assicurative caratterizzate dalla diretta dipendenza delle prestazioni erogate dalle compagnie assicurative dal valore di un’entità di riferimento; tra queste, le index sono caratterizzate da prestazioni determinate in funzione del valore di un indice azionario o altro valore di riferimento, mentre le unit sono collegate al valore di un fondo (quasi sempre interno all’impresa di assicurazione), gestito sul modello di un fondo comune di investimento. Le polizze assicurative index linked si sostanziano in forme di investimento del tutto omogenee sotto il profilo economico alle obbligazioni strutturate bancarie, poiché offrono rendimenti parametrati a indici (spesso azionari) o panieri di strumenti finanziari spesso secondo clausole o schemi complessi, mentre le polizze unit linked si pongono in diretta competizione con i fondi comuni di investimento”.
(18). Il d.lgs. n. 58/1998 definisce la “sollecitazione all’investimento” come “ogni offerta, invito a offrire o messaggio promozionale, in qualsiasi forma rivolta al pubblico, finalizzati alla vendita o alla sottoscrizione di prodotti finanziari” (art. 1, primo comma, lett. t), intendendo per “prodotti finanziari” “gli strumenti finanziari e ogni altra forma di investimento di natura finanziaria” (art. 1, primo comma, lett. u).
(19). La formulazione di tale norma ha portato a ritenere che tra i prodotti assicurativi indicati nella Legge Draghi dovessero rientrare anche i prodotti “assicurativi finanziari”: cfr. ALPA e CAPRIGLIONE (a cura di), Commentario al Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria; Padova, 1998, 938 ss; GUACCERO, Investimento finanziario e attività assicurativa nella prospettiva dell’informazione del risparmiatore, in Giur. Comm., 2003, I, 16 ss..
(20). Art. 11, legge 28 dicembre 2005, n. 262.
(21). La norma in esame rafforza anche i poteri di vigilanza regolamentare, informativa e ispettiva della Consob sui medesimi prodotti, istituendo, di fatto, una collaborazione organica tra essa e l’Isvap.
(22). ALPA, I prodotti assicurativi finanziari, in Il nuovo Codice delle Assicurazioni, (a cura di) AMOROSINO e DESIDERIO, Milano, p.98 ss.
(23). Avendo sempre riguardo alla categoria dei prodotti assicurativi-finanziari, è opportuno sottolineare come i rapporti tra le Autorità indipendenti e di vigilanza siano disciplinati in modo da garantire alla CONSOB un ruolo preponderante, pur con la riserva di adempiere all’obbligo di consultazione con l’ISVAP ai sensi dell’art. 117 ter del T.U.F. secondo il quale “la CONSOB, previa consultazione con tutti i soggetti interessati e sentite le Autorità di vigilanza competenti, determina con proprio regolamento gli specifici obblighi di informazione e di rendicontazione cui sono tenuti i soggetti abilitati e le imprese di assicurazione che promuovono prodotti e servizi qualificati come etici e socialmente responsabili”.
(24). Si precisa che, quanto al ramo III, il Codice delle Assicurazioni definisce i relativi prodotti come le assicurazioni vita “le cui prestazioni principali sono direttamente collegate al valore di quote di organismi di investimento collettivo del risparmio o di fondi interni ovvero a indici o ad altri valori di riferimento”. Quanto, invece, al ramo V, esso comprende i contratti di capitalizzazione, mediante i quali l’impresa di assicurazione si impegna, senza convenzione relativa alla durata della vita umana, a pagare somme determinate al decorso di un termine prestabilito; risultano, pertanto, escluse le forme pensionistiche individuali introdotte dal d.lgs. n. 252/2005.
(25). La nuova formulazione dell’art. 25 bis, primo comma, T.U.F. è la seguente: “Gli articoli 21 e 23 si applicano alla sottoscrizione e al collocamento di prodotti finanziari emessi da banche e da imprese di assicurazione”.
(26). Così Trib. Firenze, 30 maggio 2004, in Resp. Civ. e prev., 2005, 136.
(27). Trib. Firenze, 30 maggio 2004, cit.
(28). Si veda in proposito quanto ritenuto dal legislatore comunitario, con la direttiva 2004/39/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004 relativa ai mercati degli strumenti finnziari, che modifica le direttive 85/64/CEE e 93/6/CEE del Consiglio e la direttiva 2000/12/CE, secondo il quale “Gli Stati membri prescrivono che le imprese di investimento, quando prestano servizi di investimento e/o, se del caso, servizi accessori ai clienti, agiscano in modo onesto, equo e professionale, per servire al meglio gli interessi dei loro clienti e che esse rispettino in particolare i principi di cui ai paragrafi da 2 a 8.” (art. 19, primo comma, direttiva 2004/39/CE); inoltre “Tutte le informazioni, comprese le comunicazioni di marketing, indirizzate dalle imprese di investimento a clienti o potenziali clienti sono corrette, chiare e non fuorvianti. Le comunicazioni di marketing sono chiaramente identificabili come tali” (art. 19, secondo comma, direttiva 2004/39/CE).
(29). CAPRIGLIONE, op. loc. cit.. L’Autore ritiene che “l’informativa al pubblico, quale presupposto di un impianto sistemico incentrato sulla trasparenza; l’assunzione di particolari responsabilità da parte degli operatori, quale premessa di un agere che evita situazioni di conflitti d’interessi; il rafforzamento dei poteri di vigilanza e d’indagine dell’autorità di settore, quale garanzia di adeguatezza dei controlli, sono i rimedi che non solo rendono il nostro ordinamento finanziario meglio rispondente all’orientamento che in materia si va affermando in sede internazionale, ma che appaiono destinati a collocare la disciplina dei servizi d’investimento su un piano di eticità fino ad oggi ingiustificatamente procrastinato”.
(30). La Consob, nella comunicazione n. DI/30396 del 21 aprile 2000 ha precisato che “gli intermediari non sono esonerati dall’obbligo di valutare l’adeguatezza dell’operazione disposta dal cliente anche nel caso in cui l’investitore abbia rifiutato di fornire le informazioni…; nel caso, la valutazione andrà condotta, in ossequio a principi generali di correttezza, diligenza e trasparenza, tenendo conto di tutte le notizie di cui l’intermediario sia in possesso (es.: età, professione, presumibile propensione al rischio del cliente alla luce della pregressa e abituale operatività; situazione del mercato)”.
(31). ALPA, Armonizzazione del diritto comunitario dei mercati finanziari nella prospettiva della tutela del consumatore, in Nuova giur. civ. comm., pt. 2, 2002, p. 399. Secondo l’Autore “il criterio valutativo del comportamento non potrà dunque essere solo quello della diligenza professionale, ché altrimenti l’impresa potrebbe esonerarsi da responsabilità semplicemente dimostrando di aver tenuto un comportamento conforme alla prassi di mercato degli altri soggetti abilitati; si tratterà invece di una diligenza particolare, superiore alla diligenza professionale di cui all’art. 1176, comma 2°, cod. civ.”.
(32).  VISENTINI, La disciplina del conflitto d’interessi nel mercato mobiliare, in Nuova Giur. civ. comm., 2002, pt. 2, p. 462.
(33). Art. 23, primo comma, d.lgs. n. 58/1998 “I contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento e accessori sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti. […]. Nei casi di inosservanza della forma prescritta, il contratto è nullo”.
(34) Per una rassegna giurisprudenziale in materia, D.E. CUTUGNO – V. DE GIOIA, il Nuovo processo societario, Commentario giurisprudenziale, Forlì, 2006.
(35) MOLINARI, Il prodotto misto assicurativo finanziario, in Resp. civ. e prev., 1992, p. 297 ss.; ROSSI, Offerta al pubblico di titoli, controlli e strutture del mercato, in Riv. soc., 1985, p. 5 ss.; MINERVINI, Le istituzioni per la tutela del risparmio. L’Isvap, in Giur. comm., 1985, I, pp. 763 ss..
(36) cfr. V. CHIONNA, Le forme dell’investimento finanziario. Dai titoli di massa ai prodotti finanziari, Bari – Milano, 2001, p. 316 ss..
(37) Invero, il Tribunale di Mantova, con ordinanza del 16 novembre 2005, ha ritenuto che “alle controversie concernenti una polizza assicurativa il cui valore sia legato a prodotti finanziari è applicabile il rito ordinario e non quello societario” (in I Contratti, pp. 283 ss., 2006, fasc. 3).
 


Autore: Ramona Cavalli


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