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Gestione di impianti sportivi e responsabilità civile

I grandi cambiamenti che pervadono la nostra società generano un costante processo di modernizzazione che attiene anche il modo di fare ed intendere lo sport.

Se in passato l’attività sportiva era praticata prevalentemente a fini ludici, oggi è finalizzata alla cura della salute, al miglioramento estetico del corpo ed alla ricerca del benessere interiore.

In virtù di tali fattori sono cambiati i bisogni dei soggetti che effettuano, per i più svariati motivi, la pratica sportiva, la cui domanda è più articolata rispetto al passato.

Nella società odierna assistiamo alla nascita di sempre nuove attività sportive, spesso caratterizzate da pericolosità intrinseca.

In questo contesto emerge l’importanza di una corretta gestione dell’impianto sportivo, onde evitare il verificarsi di danni ad esercenti pratiche sportive e spettatori.

La problematica della responsabilità da esercizio di attività sportive[1] è di grandissima attualità.

Accanto ai profili di responsabilità degli atleti, degli organizzatori di manifestazioni sportive, del medico sportivo, degli istruttori e delle società sportive, la tematica della responsabilità civile e penale da esercizio di attività sportive concerne anche la posizione del gestore dell’impianto sportivo.

La gestione dell’impianto in cui viene svolta la pratica sportiva deve  essere effettuata secondo canoni di efficienza e funzionalità, ai fini della tutela dell’integrità fisica di atleti e spettatori.

Il cliente moderno, infatti, mira ad ottenere dal servizio  i massimi standard di sicurezza e funzionalità, e tali esigenze sono amplificate nell’ambito della pratica sportiva.

Per questa ragione, anche il gestore dell’impianto sportivo dovrà avere un atteggiamento customer oriented[2].

Gli impianti sportivi possono essere definiti come spazi destinati allo svolgimento delle manifestazioni sportive, aventi carattere anche non agonistico, messe a disposizione degli atleti e degli spettatori.

L’attività compiuta dal soggetto dell’impianto sportivo consiste nel mettere a disposizione dei terzi gli spazi per lo svolgimento delle attività sportive.

Egli è tenuto a predisporre un idoneo servizio di assistenza agli utilizzatori della struttura, al fine di tutelare l’integrità fisica di atleti e spettatori.

Il gestore di impianti e strutture sportive è sovente chiamato a rispondere per i danni patiti da atleti e spettatori in occasione dell’esercizio di attività sportive.

Al fine di evitare il verificarsi di eventi dannosi, il gestore dell’impianto sportivo deve adottare misure idonee a prevenire gli incidenti che potrebbero verificarsi nei confronti dei soggetti che frequentano l’impianto.

A partire dall’emanazione del D.M. 18 marzo 1996 (inerente norme per la costruzione e l’esercizio degli impianti sportivi), successivamente modificato ed integrato dal D.M. 6 giugno 2005, relativo alla gestione degli impianti sportivi nei quali abbiano luogo attività o manifestazioni sportive, in presenza di un numero di spettatori superiore a 100, il legislatore ha cercato di fornire indicazioni sui comportamenti da tenere ai fini di una corretta attività gestionale, anche alla luce delle direttive europee in materia di sicurezza degli impianti.

Le varie leggi e circolari succedutesi nel tempo hanno contribuito a creare una certa confusione soprattutto in relazione alle dimensioni meno organizzate.

Dubbi, invece, non possono sussistere circa l’applicazione delle norme con cui il nostro ordinamento disciplina i profili di responsabilità del gestore dell’impianto.

Questi deve garantire l’idoneità e la sicurezza degli impianti in cui si svolgono le competizioni e le manifestazioni sportive, nonché a garantire la sicurezza e l’integrità delle persone che vi accedono, quali atleti, spettatori, arbitri.

Il gestore dell’impianto, inoltre, è tenuto a non consentire l’accesso all’impianto ad un numero di persone maggiori rispetto a quanto prevede la sua capienza.

E’ possibile affermare[3] che il gestore dell’impianto sportivo sia tenuto a vigilare  sulla sicurezza delle attrezzature e degli impianti, ad effettuare la manutenzione ordinaria e straordinaria, e ad adottare tutte le misure idonee ad evitare danni agli utenti.

La Suprema Corte[4] ha recentemente sostenuto che il gestore di un impianto sportivo è titolare di una posizione di garanzia[5] ai sensi dell’art 40 c.p.v.  c.p. e, pertanto, è tenuto a predisporre un idoneo servizio di assistenza agli utilizzatori della struttura al fine di tutelarne l’integrità fisica.

Una parte della dottrina[6] distingue la figura in analisi da quella del proprietario dell’impianto, ed analizza i rapporti tra le due figure[7], sebbene  nella prassi proprietario dell’impianto e gestore tendano a coincidere.

La figura del gestore dell’impianto sportivo spesso viene anche a coincidere con quella dell’organizzatore di manifestazioni sportive.

La casistica relativa ai gestori di impianti è molto copiosa e dalla stessa emerge che sia comunque possibile differenziare le ipotesi di responsabilità del gestore da quelle dell’organizzatore.

Nei confronti del primo si impone un onere probatorio più rigido, poiché nei suoi confronti può incombere, come si vedrà, l’applicazione dell’art 2051 c.c..

Per l’ipotesi in cui le due figure coincidano, la dottrina[8] maggioritaria individua due forme di responsabilità del gestore degli impianti sportivi.

La prima forma di responsabilità è rappresentata dall’applicazione dell’art. 2043 c.c., per l’organizzazione della manifestazione sportiva;  la seconda è quella ex art. 2049 c.c., in virtù degli obblighi di vigilanza, come committente, in virtù del conferimento dell’incarico nel cui esercizio sono stati commessi i fatti illeciti,.

Per l’ipotesi in cui le due figure non coincidano,la responsabilità del gestore di impianti sportivi, può avere natura contrattuale, qualora sussista un rapporto negoziale col danneggiato (si pensi al caso in cui vi sia una vendita di biglietti), oppure extracontrattuale[9] in ossequio al principio generale del neminem laedere.

La giurisprudenza riconduce la matrice extracontrattuale della responsabilità del  gestore, essenzialmente agli artt. 2043 e 2050 c.c., a seconda del tipo di impianto e dello sport praticato[10].

Ove il danno sia cagionato da carenza di manutenzione trova invece applicazione[11], come sarà spiegato nel corso della trattazione, l’art. 2051 c.c..

La giurisprudenza[12] considera la gestione di taluni, impianti sportivi un’attività pericolosa, con conseguente possibile applicazione dell’art 2050 c.c.

Secondo una linea interpretativa[13], in caso di danno a terzi a seguito dell’uso della struttura, si configurerebbe responsabilità unicamente in capo al gestore dell’impianto, il quale ha l’obbligo di assicurare l’idoneità degli impianti e la sicurezza degli spettatori, mediante la predisposizione dei controlli necessari e degli interventi di manutenzione.

Per l’ipotesi di danno alle persone dovuto ad un cedimento strutturale dell’impianto, la giurisprudenza[14] applica normalmente l’art 2051 c.c.. in capo al gestore dell’impianto sportivo.

Il proprietario-locatore, tuttavia,  rimane custode di quelle cose che non transitano nella disponibilità del conduttore-gestore o sulle quali il conduttore-gestore non ha possibilità di intervenire per evitare il danno, con conseguente applicazione[15] in capo a questi degli artt.  2051 e 2053 c.c.

Riguardo l’applicazione dell’art 2051 c.c. l’indirizzo dottrinale maggioritario[16] sostiene che tale norma troverebbe applicazione laddove  il danno sia provocato da un dinamismo connaturato della cosa.

La giurisprudenza[17], tuttavia, ha ritenuto sussistente il dovere di controllo e custodia  anche in relazione a cose prive di dinamismo o statiche ed ha concluso per l’applicazione dell’art 2051 c.c. anche in queste ipotesi. 
La dottrina[18] sottolinea che la responsabilità ex art. 2051 del gestore dell’impianto sportivo nell’ipotesi di danni ai terzi rileva quale responsabilità oggettiva.

Per la giurisprudenza ai fini della sussistenza di questa forma di responsabilità occorre un unico requisito: il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno arrecato.

In materia di applicabilità dell’art 2051 c.c. al gestore degli impianti sportivi, un importante pronuncia[19] sancisce il principio generale per cui l’utilizzatore di una cosa, che non abbia su di essa l’effettivo potere di ingerenza, gestione ed intervento, non può essere considerato custode e, pertanto non è responsabile del danno cagionato dalla cosa a terzi.

Per l’ipotesi di applicazione dell’art 2053 c.c., inerente il danno da rovina di edificio, il proprietario potrà liberarsi dalla responsabilità qualora dimostri che il cedimento strutturale non sia scaturito da un vizio di costruzione, ma da un superamento dei limiti di capienza[20]: per questa ipotesi la responsabilità andrà ascritta all’organizzatore della competizione e/o al gestore dell’impianto.

Riguardo il caso di danni riportati dagli spettatori nell’ambito di una partita di calcio, il filone giurisprudenziale in passato dominante[21], al fine di attribuire responsabilità al gestore dell’impianto, faceva esclusivo riferimento all’art 2043 c.c., sul presupposto che il gestore deve adottare tutte le misure idonee a preservare l’incolumità di atleti e terzi.

Negli anni settanta la giurisprudenza[22] di merito non riteneva che al gestore  potessero essere imputati fatti e comportamenti che sfuggivano  dalla possibilità di una ragionevole previsione come, per esempio, le azioni dei tifosi.

Questo filone giurisprudenziale ha continuato ad essere maggioritario fino agli anni novanta[23].

La giurisprudenza più recente, considera attività pericolosa la gestione di un impianto sportivo e ritiene responsabile il gestore dello stesso anche in ipotesi di danni agli spettatori, con conseguente applicazione dell’art 2050 c. c..

Sulla base delle cronache odierne, che ci portano a conoscenza di fenomeni di violenza negli stadi, è possibile  interrogarsi sui profili di responsabilità connesse alla perpetrazione di violenze sulle persone oltre che sulle cose ad opera dei tifosi in occasioni di manifestazioni sportive e, nel concreto calcistiche.

Sul punto la Suprema Corte[24] considerando gli stadi come beni appartenenti al patrimonio indisponibile dei comuni, pone lo spunto per ulteriori profili di riflessione.

In tema di impiantistica sportiva e, in particolare di stadi di calcio, per orientamento ormai consolidato, si ribadisce l’appartenenza degli impianti al patrimonio indisponibile[25] ai sensi dell’art 826 c.c.: essi sono destinati al pubblico servizio, poiché l’amministrazione costruendoli intende soddisfare un  interesse proprio e della collettività.

La giurisprudenza[26] ha chiarito che l’unica modalità per attribuire la disponibilità di questi beni ai privati è la stipulazione di una concessione[27] e, tutte le controversie relative al rapporto concessorio[28], sono sottoposte alla giurisdizione del giudice amministrativo[29].

Negli ultimi anni dottrina e giurisprudenza hanno riservato grandissima attenzione anche alla responsabilità del gestore di impianti di risalita e piste da sci, data la grande diffusione degli sport connessi ed il moltiplicarsi delle occasioni di pericolo ed eventi di danno.

Come sottolineato dalla dottrina[30], anche circa la responsabilità del gestore di impianto sciistico, è possibile che si configuri una matrice contrattuale o extracontrattuale.

La natura  contrattuale deriva dall’acquisto di uno ski pass, in virtù del quale il gestore dell’impianto offre, dietro corrispettivo, la possibilità di utilizzare le piste.

Gli obblighi dei gestori di aree sciabili sono individuati dalla legge L. n. 363/2003, per la quale egli deve fare in modo che le piste siano in stato di perfetta manutenzione e fruibili.

Il gestore dell’impianto ha, inoltre, l’obbligo di assicurare  eventuali soccorsi e di segnalare le cattive condizioni di pista.

L’art 4 della suddetta legge prevede in capo ai gestori l’obbligo di stipulare un contratto di assicurazione ai fini della responsabilità civile per i danni derivanti agli utenti ed ai terzi per fatti derivanti dalla responsabilità del gestore.

La normativa richiamata, tuttavia, si riferisce alla pratica non agonistica dello sci, con la conseguenza che se un atleta subisce un infortunio in gara a causa  delle imperfette condizioni  del tracciato, il danno sarà imputato alla società sportiva organizzatrice ed ai membri del comitato di gara, qualora sia dovuto a negligente organizzazione.

Il danno sarà imputato alla federazione qualora sia riconducibile  alla mancata osservanza delle prescrizioni  tecniche che regolano il rilascio dell’omologazione del tracciato[31].

Secondo un autore[32] questa previsione può essere valutata come indice della pericolosità dell’attività svolta dal gestore ai fini dell’applicabilità dell’art 2050 c.c., e la soluzione pare esser condivisa anche dalla giurisprudenza[33] più recente.

Il rapporto che si stabilisce tra il gestore dell’impianto di risalita o della pista da sci e l’utente del servizio viene  tradizionalmente ricondotto dalla giurisprudenza[34]  allo schema del contratto di trasporto, con conseguente applicabilità dell’art 1681 c.c..

In dottrina[35] si sostiene che  le rigide presunzioni  degli artt. 1681 e 1693 c.c. debbono essere ritenute applicabili ai soli trasporti su piste da sci tramite seggiovie e funivie o altri mezzi costituiti da cabine chiuse, mentre nella salita a mezzo di  slittovia o funivia,al contrario il gestore si limita a fornire la sola energia di trazione, restando a carico  dello sciatore  il solo onere di mantenere l’equilibrio sugli sci ed evitare le irregolarità del terreno.

In quest’ultima ipotesi l’attività dell’utente configura un autotrasporto[36] ove potrebbe avere rilevanza causale anche esclusiva l’imperizia  dell’utente. Secondo l’opinione prevalente in caso di sinistro si configurerebbe accanto alla responsabilità contrattuale anche quella extracontrattuale.

La responsabilità del gestore degli impianti, come detto[37], è stata anche fondata[38] sull’art 2049 c.c. per l’ipotesi di comportamento negligente o assenza di dipendenti.

Negli anni ottanta la giurisprudenza tendeva a configurare il rapporto tra gestore degli impianti di risalita ed utenti, in termini di contratto atipico con esclusione del disposto dell’art 1681 c.c. e conseguente applicazione delle norme in materia di inadempimento.

Diversamente, la giurisprudenza[39] più recente ha qualificato il suddetto rapporto come contratto di trasporto.

Secondo l’orientamento della dottrina[40] più accreditata, configurano sicura responsabilità per colpa la mancata indicazione del percorso mediante adeguata segnaletica, la mancanza di manutenzione, la mancata osservazione di regole comuni quali evitare l’affollamento della pista.

Nessuna responsabilità[41] potrà esser addebitata al gestore in caso di incidenti avvenuti in occasione di percorsi “fuori pista”.

Ove la caduta dello sciatore sia dovuta alle condizioni della pista, anche in caso di comportamento imprudente ed imperito dello sciatore, essa non potrà considerarsi evento imprevedibile, per cui il gestore  avrà una responsabilità a titolo di concorso[42]  con il danneggiato.

L’attività di gestione di autodromi o piste comporta per il titolare l’obbligo di manutenzione dell’impianto  e delle attrezzature che ne fanno parte.

Le competizioni motoristiche[43] spesso sono occasione di scontri tra i partecipanti alla competizione e, quindi, di danni.

E’ stata ritenuta pericolosa la gestione di una pista di go karts, con conseguente applicazione dell’art 2050 c.c. salvo il caso in cui il gestore non dimostri che i karts erano in perfette condizioni ed i piloti fossero adeguatamente equipaggiati e la pista fosse in perfette condizioni.

In materia di gestione dei maneggi[44], la particolare indole del mezzo utilizzato  aveva indotto la giurisprudenza[45]  a qualificare come attività pericolosa la gestione di una scuola di equitazione, imponendo al gestore l’adozione di tutte le misure idonee alla salvaguardia dell’altrui incolumità.

E’ estremamente dibattuto ancor oggi in giurisprudenza[46] se l’attività di gestione sia annoverabile tra le attività pericolose.

Sul punto la giurisprudenza è oscillante, anche se il filone preponderante tende ad escludere l’applicazione dell’art. 2050 c.c., salvo laddove vi siano specificità del caso concreto.

Gli orientamenti[47] più recenti,  distinguono tra due differenti ipotesi: la responsabilità del gestore sussiste qualora la particolarità del mezzo[48] adoperato concorra con l’inesperienza del cavaliere, restando esclusa qualora a cavalcare sia un soggetto pratico di sport equestri.

E’ stata esclusa[49] la pericolosità  dell’attività equestre qualora venga svolta in un circolo ippico in presenza di un istruttore con cavalli collaudati e percorsi predeterminati, anche se l’attività venga svolta da soggetti inesperti, salvo che  le specifiche caratteristiche del percorso non lo rendessero  obiettivamente pericoloso.

Per l’ipotesi di danno a terzi cagionato nel corso di lezioni di equitazione che abbiano luogo in un maneggio che fornisca cavallo istruttore e struttura, non ne risponderebbe l’apprendista, a meno che il danno non sia stato cagionato esclusivamente da un suo comportamento in violazione delle lezioni.

In questa ipotesi la custodia, come detto, spetta al gestore, per mezzo dei suoi dipendenti.

In materia di volo sportivo, sebbene originariamente sia stato affermato  che l’addestramento  al pilotaggio  non costituirebbe attività pericolosa, la dottrina più recente è propensa all’applicazione dell’art 2050 c.c..

Per quanto riguarda la responsabilità del gestore di impianti inerenti la pratica di sport estremi, in materia di rafting una pronuncia[50] ha sancito che il gestore dell’impianto risponde secondo i principi generali dell’ordinamento come colpa generica o dolo eventuale[51] in caso di incidente lesivo o mortale sulla base di tali principi dovendo valutarsi caso per caso l’adozione delle cautele gestionali finalizzate a garantire la massima sicurezza per gli utenti in modo proporzionato ai rilevantissimi rischi connaturati alle caratteristiche estreme di tali sport, a nulla rilevando eventuali liberatorie firmate dai clienti.

Per concludere la trattazione della tematica oggetto di analisi, occorre sottolineare che il gestore dell’impianto sportivo sarà tenuto a risarcire sia i danni patrimoniali (comprensivi di danno emergente e lucro cessante), sia quelli non patrimoniali[52].

Per dovere di completezza si segnala che in capo alla figura di cui trattasi può configurarsi una responsabilità di tipo penale in caso di:

a) commissione di reati societari, nel caso in cui i gestori siano società sportive[53];

b) commissione di reati tributari;

c) commissione di reati fallimentari (bancarotta fraudolenta);

d) violazione delle norme del Dlgs. 626/94 come modificato dal Dlgs. 242/96 inerente norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro[54];

e) violazione dell’art 681 c.p. inerente l’apertura di luoghi di pubblico spettacolo in assenza di licenza del sindaco.

f) lesioni colpose o omicidio colposo.

Essendo la responsabilità penale di matrice strettamente personale, del fatto risponderà il gestore persona fisica o, qualora esso sia una società, il relativo legale rappresentante.

 

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[1] Sul punto si veda tra l’altro: Scarpino D., Rally e responsabilità per le lesioni riportate dagli spettatori, In Diritto dello sport, 2009; Franzoni M., La responsabilità  civile nell’esercizio di attività sportive, in Resp. Civ., 2009, 11,927

[2] Nell’approccio del mercato di impresa  è un termine che indica l’orientamento alle tendenze di mercato ed ai suoi bisogni.

[3] Circa gli obblighi del gestore: M. Tortora, Diritto sportivo, 1998, 140; Facci G., La responsabilità civile nello sport, in Resp. Civ., 2009,7, 1 ss.

[4] Cass. Pen., Sez. IV, 14 dicembre 2005 n. 4462, in Giur. It., 2007, 1, 182 con nota di Morone. Si veda anche la nota di Ravera C., in www.altalex.com. Nel caso di specie, la Cassazione è stata chiamata ad occuparsi della delicata tematica della responsabilità penale omissiva del gestore di impianti sportivi ed ha fatto proprio un orientamento consolidato  per il quale il responsabile delle attrezzature sportive  e ricreative destinate all’uso di una comunità, è titolare di una posizione di garanzia riconducibile all’art 2051 c.c. volta alla protezione dell’incolumità  personale di coloro che utilizzano le stesse. Tale affermazione si trova nel solco di quanto affermato  da Cass. Pen.  S. U. 10 luglio 2002 n. 30328, in Dir. E Giust., 2002, F. 35, 21, con nota di Pezzella

[5] L’art 40 comma 2 c.p., prevede che “non impedire l’evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. Tale norma introduce una clausola di equivalenza tra il cagionare ed il non impedire. Dalla combinazione di questa disposizione di parte generale con le singole fattispecie incriminatrici di parte speciale scaturisce una nuova fattispecie omissiva impropria. Affinchè possa dirsi integrato l’elemento oggettivo del reato omissivo improprio è necessario che a) si verifichino i presupposti che attualizzano l’obbligo di impedire l’evento per l’agente; b) l’agente non ponga in essere l’azione dovuta in base alla fonte formale; c) la possibilità materiale per l’agente di compiere l’azione; d) la realizzazione dell’evento che avrebbe dovuto essere impedito. L’obbligo di garanzia può assumere la forma dell’obbligo di protezione o di controllo. A riguardo, ex plurimis: Mantovani, Diritto penale, p.t. gen.;

[6] Bertini B., La responsabilità sportiva, Milano, 2002, 145.

[7] Bertini B., La responsabilità sportiva, cit,. Secondo tale autore tra il proprietario dell’impianto ed il gestore intercorrerebbe un contratto di locazione o di comodato, ed i reciproci rapporti sarebbero disciplinati dalle norme relative a tali fattispecie.

[8] Cantamessa-Riccio-Sciancalepore, Lineamenti di diritto sportivo, 2008, 374

[9] E’ quanto esplicitamente affermato da Trib. Monza, 16 aprile 2004, in Dir. E Giust., 2004,31, 74

[10] Sul punto è fondamentale la distinzione tra sport pericolosi e sport non pericolosi.

[11] Sulla responsabilità per cose in custodia in ambito sportivo si veda in particolare Franzoni M., La responsabilità  civile nell’esercizio di attività sportive, in Resp. Civ., 2009, 11,927

[12] Sul punto la giurisprudenza di merito è variegata. Per le ipotesi specifiche della gestione della pista di go kart: Trib. Roma 31 gennaio 1967, in Rep. Giur. It., 1967, 151; per la gestione delle piscine: Trib. Milano 5 settembre 1966, in Riv. Dir. Sport, 1966, 372, nella quale si ritiene attività pericolosa la gestione delle piscine per via dell’attività di immersione  dell’uomo nell’acqua, un elemento nel quale normalmente non vive. Tuttavia, in altre ipotesi la suddetta pericolosità è stata negata: App. Roma 23 giugno 1962, in Resp civ.prev., 1963, 176; Trib. Alessandria, 30 dicembre 1967, in Arch. Resp. Civ. 1969,889, nella quale si esclude la pericolosità dell’attività di gestione di una piscina, poiché nel caso di specie la stessa era immune da vizi di costruzione e contenente acqua profonda poco più di un metro.  Circa la gestione dei maneggi,la questione circa la possibilità di ricomprendere tale attività nel novero delle attività pericolose è dibattuta. E’ fuori discussione che solo a determinate condizioni e non ad altre l’attività equestre possa essere annoverata tra le attività pericolose con conseguente applicazione dell’art. 2050 c.c.: a riguardo un precedente che effettua tale distinzione è Cass. 1380/94. La giurisprudenza più recente, comunque, tende ad escludere l’applicazione dell’art 2050 c.c., salvo l’accertamento in fatto, di specifiche caratteristiche inerenti il caso concreto, idonee a rendere pericoloso lo svolgimento: Cass. 23 novembre 1998 n. 11861, in Danno e Resp.,1999,651, con nota di Filograna, Il mio regno per ( colpa di ) un cavallo!. Afferma invece la pericolosità dell’attività in questione Cass. 4 dicembre 1998 n. 12307 in Danno e Resp., 1999, 475 per la quale  se la caduta da cavallo è avvenuta nel corso di una cavalcata effettuata da cavaliere inesperto mediante cavallo concessogli in uso dal gestore del maneggio, quest’ultimo è chiamato a rispondere ex art. 2052 c.c.  E’ stata ritenuta pericolosa l’attività di gestione  di un parco divertimenti  per le lesioni subite da persone che avevano preso posto su un bob per via della conformazione del tracciato e della velocità del mezzo: Cass., 27 luglio 1990 n.7571, in Resp. Civ. Prev., 1991,458;  In un precedente non è stata ritenuta attività pericolosa la gestione di un autoscontro: Trib. Chiavari, 17 gennaio 1997, in Giur. Merito, 1998, 448

[13] Bertini B., La responsabilità sportiva, cit,.

[14] Cass. Civ., Sez. III, 14 giugno 1999 n. 5885; Cass. Civ., Sez III, 19 gennaio (27 luglio) 1973 n. 2147;

[15] Cass. Civ., Sez. III, 27 giugno 1997 n. 5780; Cass. civ., Sez III, 29 maggio 1994 n. 4994;

[16] Alpa-Bessone-Zeno Zencovich, I fatti illeciti, in Trattato di diritto privato, VI, 14, a cura di Rescigno, Torino, 1995, p. 354

[17] Cass. Civ., Sez. III, 28 ottobre 1995 n. 11264, in Danno e Resp., I, 1996, 74, nota di Ponzanelli, e in Riv. Dir. Sport., 1996, 91, nota di Laghezza, nella quale si affronta il caso di un tennista che riporta una distorsione a causa di una buca  presente nel campo da tennis e chiede il relativo risarcimento  alla società gestrice dell’impianto. In tale occasione la Suprema Corte ha ritenuto applicabile l’art 2051 c.c.. L’attività tennistica, quindi, come sappiamo, non viene ritenuta attività pericolosa. La  sentenza ribadisce l’orientamento oggi uniforme e granitico secondo il quale  la regola dell’art 2051 c.c.  è estesa oltre che alle cose in movimento anche a quelle inerti. 

[18] Cantamessa-Riccio-Sciancalepore, Lineamenti di diritto sportivo, cit., 376; Facci G., La responsabilità civile nello sport, cit.,5.

[19] Cass. civ., Sez. III, 10 febbraio 2003 n. 1948, in Foro It., 2003, I, 1441, nella quale  è stata esclusa la responsabilità dell’organizzatore di un torneo di calcetto poiché affittuario temporaneo della struttura.

[20] Frau R., La responsabilità civile sportiva, in P. Cendon (a cura di), La responsabilità civile, X, Torino, 1998, 364

[21] Le sentenze degli anni sessanta escludevano la responsabilità della figura di cui trattasi nel caso di danni riportati dagli spettatori, poiché la gestione dell’impianto non veniva considerata attività pericolosa. In particolare, esclude esplicitamente  il carattere di pericolosità della gestione dell’impianto per manifestazioni calcistiche, ritenendo applicabile l’art 2043 c.c. ai fini dell’attribuzione della responsabilità del gestore : App. Milano, 31 luglio 1964, in Foro Pad., 1964, I, 988

[22]  Trib. Milano, 18 gennaio 1973, in Foro It., 1973, 1953

[23] Tuttavia, già nel 1988 il Tribunale di Milano sembrava  aver già preso coscienza  dei potenziali rischi per l’incolumità dei terzi, connessi alla presenza di soggetti pericolosi negli stadi: Trib. Milano, 21 marzo 1988, in Riv. Dir. Sport., 1989, 70

[24] Cass. Civ., Sez. Un., 6 agosto 1998, n 7710, in Riv. Dir. Sport., 1998, 445

[25] I beni patrimoniali indisponibili sono beni pubblici che, analogamente ai beni demaniali, sono vincolati ad una destinazione di pubblica utilità: non possono esser sottratti alla loro destinazione se non nei modi stabiliti dalla legge. A differenza dei beni demaniali, tuttavia, essi possono appartenere a qualsiasi ente pubblico e non solo ad enti territoriali e, inoltre, possono consistere sia in beni immobili che mobili.

[26] Cass. Civ., Sez. II, 1 luglio 2004, n. 12008, in Giust. Civ. Mass., 2004, f.7;

[27] L’utilità pubblica cui sono destinati i beni demaniali e patrimoniali indisponibili può essere perseguita attraverso un uso esclusivo da parte della stessa P.A., e un uso generale da parte di qualsiasi soggetto pubblico o privato. Tale riserva di utilizzazione può derivare dalla legge o da un provvedimento amministrativo, come la concessione.

[28] Sotto questo punto di vista può venire in rilievo sia l’ipotesi in cui il gestore dell’impianto sia un privato, sia l’ipotesi in cui gestore siano società, ed in particolare società sportive che normalmente gestiscono impianti di proprietà pubblica sulla base di rapporti di natura concessoria.

[29] Anteriormente all’entrata in vigore dell’art 5 L. 1034/71,  ai fini dell’individuazione del giudice competente in tema di concessione di beni pubblici, assumeva preminente importanza la distinzione tra diritto soggettivo ed interesse legittimo. Con la norma richiamata è stata introdotta la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, per cui attualmente la distinzione tra le posizioni soggettive attiene esclusivamente al tipo di azioni che il concessionario è legittimato a proporre nei confronti dell’ente pubblico.

[30] Facci G., La responsabilità civile nello sport, cit., 6.

[31] Campione E., La responsabilità dei gestori e degli utenti delle aree destinate alla pratica degli sport invernali, in Resp. Civ., 2005, 79

[32] Facci G., La responsabilità civile nello sport, cit., 6

[33] Cass. Civ., Sez. III, 26 aprile 2004,n. 7916, in Guida al dir., 2004, fasc. 19, 32

[34] Trib. Sondrio, 11 dicembre 1978, in Resp. Civ. Prev.,1979, 577

[35] Bertini B., La responsabilità sportiva, cit., 151

[36] App. Roma, 2 dicembre 1981, in Riv. Dir. Sport., 1982,60

[37] Cfr: pag 5

[38] Trib. Bolzano 22 maggio 1987, in Riv. dir. Sport., 1988, 404;

[39] Sul punto si veda: Cass. 23 febbraio 1998 n. 1936, in Riv. Dir. Sport, 1998,140 che sancisce esplicitamente che il contratto di risalita a mezzo di seggiovia rientra tra nella fattispecie del contratto di trasporto.

[40] Bertini B., La responsabilità sportiva, cit,. 154

[41] Trib. Torino 24 aprile 1987, in Riv. Dir. Sport, 1988, 700

[42] App. Torino, 5 luglio 1997, in Resp. Civ., 1998, 123

[43] In materia di responsabilità civile nelle competizioni motoristiche si veda: Franzoni M, La responsabilità  civile nell’esercizio di attività sportive, cit., 927; Scarpino D., Rally e responsabilità per le lesioni riportate dagli spettatori, in Diritto dello Sport, 2009, I, 42 ss. Caratteristica degli sports motoristici è quella della necessità di fare il possibile per superare l’avversario.  Gli sport motoristici, infatti, sono annoverati nell’ambito degli sport pericolosi, poiché caratterizzati da un’audacia ed una competitività particolari.

[44] Sul punto si veda in particolare Filograna E., Il mio regno per (colpa di ) un cavallo!, in Danno e Resp., 1999,6, 651 ss.

[45] Cass. civ. 24 maggio 1988 n. 3616, in Giur. It., 1989, I, 1, 99

[46] E’ fuori discussione che a determinate condizioni l’attività equestre possa essere annoverata tra le attività pericolose con conseguente applicazione dell’art. 2050 c.c.: a riguardo un precedente che effettua tale distinzione è Cass. 1380/94. La giurisprudenza più recente, comunque, tende ad escludere l’applicazione dell’art 2050 c.c., salvo l’accertamento in fatto, di specifiche caratteristiche inerenti il caso concreto, idonee a rendere pericoloso lo svolgimento: Cass. 23 novembre 1998 n. 11861, in Danno e Resp., 1999,651, con nota di Filograna, Il mio regno per ( colpa di ) un cavallo!. Afferma invece la pericolosità dell’attività in questione Cass. 4 dicembre 1998 n. 12307 in Danno e Resp., 1999, 475 per la quale  se la caduta da cavallo è avvenuta nel corso di una cavalcata effettuata da cavaliere inesperto mediante cavallo concessogli in uso dal gestore del maneggio, quest’ultimo è chiamato a rispondere ex art. 2052 c.c. 

[47] Cass. Civ. 11 febbraio 1994 n.1380, in Giur. It., 1995,I, I 1733; Cass. civ. 22 luglio 1996 n. 6527 in Resp. Civ. Prev., 1997,427; Trib. Vercelli 9 gennaio 1996, in Nuova Giur. Civ. comm., 1996,I, 832 con nota di Fusaro

[48] Nell’attività equestre viene in rilievo il particolare rapporto uomo-animale; occorre tenere in considerazione le imprevedibili reazioni dell’animale, le sue caratteristiche intrinseche, nonché le condizioni del tracciato ed il livello di competenza del fantino.

[49] Trib. Vercelli 9 gennaio 1996, cit.;

[50] Trib. Terni, 4 luglio 2002, in Riv. Pen., 2002, 800 con nota di Rocca: Gli sport estremi in attesa di regolamentazione; Questa pronuncia è tra le prime ad affrontare la tematica estremamente delicata della responsabilità penale del gestore dell’impianto di uno sport estremo.

[51] Sul punto si veda: Canestrari, Dolo eventuale e colpa cosciente. Ai confini tra dolo e colpa nella struttura delle tipologie delittuose, Milano, 1999; Forte, Ai confini fra dolo e colpa: dolo eventuale o colpa cosciente?,in Riv. It. dir. proc. pen., 1999, 228 ss; Id., Dolo eventuale tra divieto di interpretazione analogica e incostituzionalità, ivi, 2000, 820; Prosdocimi, Dolus eventualis. Il dolo eventuale nella struttura delle fattispecie penali, Milano, 1993; Hassemer, Caratteristiche del dolo,; Licci, Dolo eventuale, Riv. It. dir. proc. pen., 1990, 1498; De Francesco G.A., Dolo eventuale e colpa cosciente, in Riv. It. dir. proc. pen., 1988, 113 ss.

[52] Riguardo la nuova qualificazione del danno non patrimoniale si segnala: Cass., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972, in Resp. Civ., 2009, I, 4; Fam. E dir., 2009, 2, 113, con nota di Facci; Danno e Resp., 2009, 3, 379, con nota di Gazzara; Riv. Dir. Civ., 2009,1, 2, 97, con nota di Busnelli; Nuova Giur. Civ., 2009, 2,1,102, con commenti di Bargelli e Di Marzio.

[53] Le società sportive sono soggetti che appartengono sia all’ordinamento statale che a quello sportivo. Anche se non è questa la sede più opportuna per affrontare la tematica, occorre segnalare che l’autonomia dell’ordinamento sportivo rispetto a quello statale è principio pienamente presente nel nostro diritto positivo. Sulla base del vigente assetto costituzionale infatti la legittimità dell’attuale organizzazione sportiva si desume dal combinato disposto degli artt. 2 e 18 Costituzione. L’ordinamento sportivo può essere considerato come una delle formazioni sociali più importanti della società moderna. L’art. 2 della nostra Carta Costituzionale conferisce piena autonomia e legittimità all’ordinamento sportivo e,conseguentemente, al sistema di giustizia sportiva. Per dovere di completezza occorre tuttavia mettere in luce che, nonostante l’evidenziata autonomia dell’ordinamento sportivo rispetto a quello statale, sussiste un contrasto tra i suddetti ordinamenti, in relazione al problema dell’indipendenza di quello sportivo. Riconoscere all’ordinamento sportivo la qualità di ordinamento giuridico di settore, a carattere derivato, riconosciuto dall’ordinamento statale, caratterizzato da un ampio margine di autonomia, implica la necessità di comprendere i limiti di quest’ultima e, di discutere sulle interferenze tra i due ordinamenti. Nonostante dottrina e giurisprudenza enuncino costantemente l’astratta ed intangibile autonomia dell’ordinamento sportivo, in sede di concreta attuazione di tale principio, si sono non di rado configurati episodi di restrizioni di tale autonomia. L’affermazione dell’autonomia dell’ordinamento sportivo non può mai comportare l’abbandono da parte dell’ordinamento statale del nucleo di regole e principi cardine che, proprio in quanto tali, non sopportano limitazioni. La doverosa affermazione dell’autonomia dell’ordinamento sportivo non può far dimenticare la sua natura derivata e settoriale rispetto all’ordinamento statale che, data la sua natura originaria, non sopporta alcun tipo di limitazione. Numerosi sono stati gli interventi della giurisprudenza finalizzati a ribadire questa logica di fondo, poiché gli atti dell’organizzazione sportiva sono, in alcuni casi, idonei a incidere su posizioni giuridiche soggettive meritevoli di tutela statale (nell’ambito di questi interventi si veda il primo “caso Catania”: G. Vidiri, Il caso Catania: i difficili rapporti tra ordinamento statale e sportivo, in Foro It., 1994, III, p. 511). Sebbene comunque l’autonomia dell’ordinamento sportivo si desuma dalle norme suesposte, la legge n. 280/2003 effettua una solenne ed esplicita affermazione del principio di autonomia dell’ordinamento sportivo rispetto a quello statale confermando a livello legislativo, gli orientamenti giurisprudenziali sul punto che rispondono alla logica sopra richiamata. A riguardo si veda nello specifico: P. D’Onofrio, Sport e giustizia, Rimini, 2004, p. 147 ss.; R. Frau, La responsabilità civile sportiva nella giurisprudenza. Profili generali, in Resp. civ. prev., 2006, p. 1028 ss.; G. Morbidelli, Ordinamento sportivo e ordinamento statale: una separazione sempre più problematica, in Atti del corso di perfezionamento in diritto ed economia dello sport, anno accademico 1999/ 2000, Università degli studi di Firenze; G. De Marzo, Ordinamento statale ed ordinamento sportivo tra spinte autonomistiche e valori costituzionali, in Corriere giuridico, 2003, n. 10, p. 1265 ss.

[54] Va, peraltro, tenuto presente che ad oggi la materia è stata interamente  rivisitata per effetto del Dlgs. N. 81/2008 che, agli artt. 15 s.s., specifica gli obblighi gravanti sul datore di lavoro, disciplinando anche l’istituto della delega di funzioni.


Autore: Daniele Scarpino


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