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Cessione del contratto di locazione e affitto di azienda

Nella cessione del contratto si attua un successione a titolo particolare nel rapporto, con l’introduzione di un nuovo soggetto detto il “cessionario” il quale diviene legittimato attivo e passivo sia sul piano sostanziale che su quello processuale.

In tema di cessione del contratto di locazione ad uso commerciale, l’art. 36 della Legge 392/78 attribuisce al conduttore la facoltà di cedere a terzi il contratto di locazione, anche senza il consenso del locatore, purché venga insieme ceduta o locata l’azienda.

Tale disposizione costituisce evidente deroga alla statuizione di cui all’articolo 1594 c.c. che vieta al conduttore di cedere il contratto di locazione, in mancanza del consenso del locatore.

La ratio della deroga contenuta all’articolo 36 e valevole solo per gli immobili adibiti ad uso diverso da abitazione, è ravvisabile, nella volontà del legislatore di agevolare il trasferimento della titolarità aziendale e assicurare la continuazione delle attività commerciali.

Ciò è stato ravvisato anche dalla dottrina e dalla giurisprudenza di legittimità, la quale si è spinta sino ad affermare che il conduttore possa procedere alla cessione del contratto anche nell’ipotesi in cui nel contratto di locazione vi sia un’apposita clausola, contenente l’espresso divieto di cessione del contratto (Cass. Civ. n. 4802/2000).

Nel caso di azienda costituita da una pluralità di immobili e di relativa cessione della stessa, a parere dello scrivente, è plausibile ipotizzare l’esclusione di alcune unità immobiliari dall’affitto o dalla cessione, mentre ove l’azienda venga esercitata in un unico immobile, sarebbe più arduo legittimare un’esclusione dell’immobile dall’affitto o dalla cessione, senza snaturare il contratto di affitto o cessione di azienda dei suoi connotati essenziali. Si tratterebbe invero di privare l’azienda di un suo elemento costitutivo.
 
In tal senso, la Corte di Cassazione in sentenza n. 8065/1993 ha affermato che, in caso di affitto o cessione di azienda che venga esercitata in immobile condotto in locazione, il trasferimento del diritto di godimento dell’immobile aziendale, costituisce un effetto naturale del trasferimento dell’azienda e non un effetto negoziale alla cui produzione occorra anche un distinto negozio di cessione del rapporto locativo (principio dell’automatismo della cessione).

In senso opposto la Cass. Civ., sez. III, ha recentemente sancito che: “non si produce l'automatica successione del cessionario nel contratto di locazione dell'immobile, quale effetto necessario del trasferimento dell'azienda, ma la successione è soltanto eventuale e richiede comunque la conclusione, tra cedente e cessionario dell'azienda, di un apposito negozio volto a porre in essere la sublocazione o la cessione del contratto di locazione” (03-04-2003, n. 5137 e vedasi anche Cass. civ., sez. II, 02-02-2000, n. 1133)

Tale orientamento discenderebbe da una interpretazione di tipo letterale della legge 392/78 la quale recita all’art. 36 che il conduttore, ha la facoltà ("può") di cedere il contratto e può quindi anche non avvalersene. Alla stregua di tale interpretazione, la successione nel contratto di locazione non discenderebbe automaticamente dal negozio di cessione o di affitto dell'azienda quale suo effetto necessario, ma sarebbe soltanto eventuale, richiedendo comunque l'adozione, da parte del cedente e del cessionario dell'azienda, di un apposito negozio volto a porre in essere la sublocazione o la cessione del contratto di locazione.
 
A parere di chi scrive l’interpretazione della Suprema Corte è eccessivamente restrittiva e soprattutto rischia di introdurre un orientamento giurisprudenziale che è da ritenersi corretto in presenza di determinati requisiti e condizioni ma che può divenire contrario alla spirito informatore di altre normative vigenti, in presenza di altre condizioni.

Ove l’azienda sia costituita da una pluralità di immobili, è certamente necessario, al fine di evitare equivoci, più o meno voluti, che nel contratto di affitto o cessione di azienda, si faccia espresso riferimento ai singoli immobili che le parti vogliono effettivamente cedere in godimento o che vengano contestualmente (o successivamente) stipulati differenti contratti di cessione locazione per i singoli immobili.

Ma, come in precedenza affermato, nel caso di affitto o cessione di azienda che venga esercitata nell’unico immobile condotto in locazione dal titolare dell’azienda, il trasferimento del diritto di godimento dell’immobile aziendale, dovrebbe costituire un effetto naturale del trasferimento dell’azienda e non un effetto negoziale alla cui produzione occorra anche un distinto negozio di cessione del rapporto locativo e ciò perchè in caso contrario si darebbe al conduttore cedente, la facoltà di escludere dalla cessione un elemento fondamentale e costitutivo del complesso aziendale, snaturando la struttura e la funzione stessa del contratto di cessione o affitto di azienda.

In materia di collegamento temporale tra il contratto di cessione e affitto di azienda e la cessione del contratto di locazione, la Suprema Corte ha chiarito, con principio da ritenersi ormai consolidato, che non è affatto necessario che il contratto di affitto / cessione di azienda e la cessione del contratto di locazione siano stipulati contemporaneamente, “essendo sufficiente che tra i due atti vi sia uno stretto collegamento funzionale e temporale”  (Cass. Civ. 7091/1997 e Cass. Civ. 9509/1995).

Nonostante il dettato normativo non richieda il consenso del locatore ceduto, è in ogni caso sancito il dovere per il conduttore di comunicare l’avvenuta cessione del contratto di locazione (art. 36 L. 392/78). Detto incombente non costituisce un requisito di validità della cessione del contratto di locazione, ma ha come unica conseguenza, l’impossibilità per il conduttore di opporre al locatore ceduto, la cessione del contratto di locazione.

Altra importante conseguenza dell’avvenuta comunicazione ex art. 36 è il passaggio della legittimazione passiva in capo al cessionario.

Legittimato ad eseguire la comunicazione anzidetta è esclusivamente il conduttore cedente con conseguente inefficacia della comunicazione effettuata da terzi soggetti (La Suprema Corte con sentenza 2675/1998 si è spinta sino a dichiarare inefficace una comunicazione ex art. 36 effettuata dal difensore del conduttore, nel corso di un giudizio pendente tra le parti originarie del rapporto).

Per quanto concerne la comunicazione, essa viene dalla Giurisprudenza prevalente considerata una dichiarazione a forma libera, in quanto nonostante l’indicazione della lettera raccomandata A.R. per l’effettuazione della stessa, la norma non prevede tale forma a pena di nullità e pertanto in ossequio al vigente principio sulla libertà nella forma, ove una determinata forma non venga espressamente prevista a pena di nullità, la sua mancanza non potrebbe avere come conseguenza l’invalidità del negozio.

Ove manchi la comunicazione, l’eventuale conoscenza della cessione acquisita altrove, non rende opponibile il negozio di cessione al locatore (Cass. Civ. 2675/1998). In tal caso, l’opponibilità della cessione, potrebbe discendere, a giudizio di chi scrive, solo nell’ipotesi di accettazione effettuata per facta concludentia dal contraente ceduto, in quanto si rientrerebbe nella regola generale sulla cessione del contratto prevista dall’articolo 1407 c.c.. Si tratterebbe in altre parole di equiparare, ai fini sostanziali e processuali, la comunicazione all’avvenuta accettazione della cessione per facta concludentia da parte del contraente ceduto, il quale venuto aliunde a conoscenza della cessione, abbia accettato la situazione di fatto, attraverso un comportamento univoco, protrattosi nel tempo.

Il termine per il locatore ceduto, per opporsi all’avvenuta cessione è di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione completa di tutti i suoi elementi (specie quelli relativi alla persona del cessionario e all’ubicazione dell’immobile).

L’opposizione, per la quale non è prevista alcuna forma particolare, è ammissibile unicamente per gravi motivi, intendendosi come tali esclusivamente quelli riguardanti ragioni di ordine economico o morale relative alla persona del cessionario.

L’avvenuta opposizione non invalida né sospende, a giudizio di chi scrive, l’efficacia della cessione della locazione, la quale continua a produrre i suoi effetti, sino all’eventuale pronuncia giudiziale che accolga l’opposizione del contraente ceduto. Questo principio ha come importante conseguenza, quella che il legittimato passivo per tutte le azioni riguardanti l’esistenza o la durata della locazione, deve considerarsi il cessionario e non il cedente e ciò, nonostante l’avvenuta formale opposizione del locatore alla cessione. In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione in sentenza 5305/1996, mentre in senso opposto la Suprema Corte ha affermato che l’opposizione del locatore alla cessione produce l’effetto immediato di sospendere nei suoi confronti l’efficacia della cessione” (Cass. Civ. 201/2002).


Autore: Matteo Santini


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