Il ruolo e la rilevanza assunti del diritto islamico nell’ambito degli ordinamenti dei paesi che lo adottano sono diversi, dipendendo in larga misura dalla portata che ciascuno di essi attribuisce all’Islam come religione. Nei paesi in cui l’Islam costituisce l’unica religione ufficiale di Stato infatti, come ad es. l’Arabia Saudita, il diritto islamico giunge a regolare ogni ambito della vita sociale, arrivando a pervadere ogni aspetto della vita del cittadino (o del suddito). Viceversa, nei Paesi dove la religione islamica non costituisce l’unica confessione religiosa praticata, sia essa religione di maggioranza (es. Senegal), o di minoranza (es. Kenya[1] o Nigeria), il diritto islamico convive con altri diritti preesistenti, soprattutto di natura consuetudinaria[2], sovrapponendosi ad essi, pur rimanendone visibilmente distinto. Ciò ha determinato lo sviluppo, all’interno di tali ordinamenti giuridici, di fenomeni di pluralismo giuridico caratterizzati dalla presenza di tanti sottosistemi separati gli uni dagli altri, ciascuno dei quali regolante in maniera autonoma uno specifico complesso di rapporti giuridici. A tali sottosistemi giuridici separati spesso si è sovrapposto anche un sistema separato di organi giudiziali, in cui ciascuna corte è competente in ordine ad una certa categoria di rapporti e controversie ed all’applicazione di un particolare tipo di diritto: nel caso del diritto islamico, ad esempio, vi sono i Tribunali islamici, come ad es. le Qadi Courts[3] in Kenya o le Sharia Courts in Nigeria[4].
A proposito dei fenomeni di pluralismo giuridico che caratterizzano gran parte dei sistemi giuridici africani, si può citare il caso dalla Tanzania, paese che presenta un sistema giuridico che si articola in ben 5 livelli e che vede mescolare le giurisdizioni del diritto consuetudinario tribale, islamico e della common law di origine britannica. In tale ordinamento, i cittadini di religione musulmana possono richiedere, alternativamente (ed esclusivamente nella materie civili), l’applicazione del diritto consuetudinario o del diritto islamico, mentre quelli appartenenti ad altre confessioni religiose sono soggetti al diritto consuetudinario ed alle leggi del Parlamento, sia nelle materie civili che in quelle penali. Iil sistema giudiziario di Zanzibar riflette in linea di massima quello continentale, con i Tribunali Islamici competenti in ordine ai casi (relativi a cittadini musulmani) di famiglia come il divorzio e la custodia dei figli, e quelli relativi a questioni successorie[5]. In Libia, il carattere dualistico del sistema giudiziario, che distingue tra questioni religiose e civili, si è sviluppato durante il periodo dell’impero ottomano. La maggior parte delle questioni riguardanti i musulmani, quali ad es. quelle riguardanti lo stato personale, come il matrimonio e la successione, ricadevano inizialmente entro la giurisdizione dei Tribunali islamici, che applicavano l’interpretazione Malikita della sharia ed erano presieduti dai Qadi, giudici religiosi islamici. Le materie secolari – quelle relative al diritto civile, criminale, e commerciale – erano trattate da un sistema separato di corti. I non-musulmani non erano invece soggetti alla sharia (ad es., la minoranza ebrea era soggetta ai suoi tribunali religiosi, gli europei erano soggetti alle loro leggi azionali attraverso i tribunali consolari, ecc.).
Le potenze coloniali che governarono la Libia dopo la disintegrazione dell’impero ottomano mantennero questa struttura giudiziale binaria. Dopo che la Libia raggiunse l’indipendenza, fu fatto un tentativo di unire i sistemi giudiziari religioso e secolare. La fusione, avvenuta nel 1954, incontrò l’opposizione del popolo, poichè comportava la subordinazione del diritto islamico a quello civile. Nel 1958 dunque si decise di ricostituire il sistema duale di giurisdizioni separate. Nell’ottobre del 1971 fu costituito un Comitato di revisione e modifiche legislative, composto di esperti giuristi libici, per rendere le leggi esistenti conformi alla sharia. L’obiettivo era quello di consentire all’Islam di permeare l’intero sistema giuridico, non solo nelle materie personali, ma anche nel diritto civile, criminale e commerciale. Con l’accettazione del primato del diritto islamico, la duplice struttura religiosa- secolare non era più necessaria.
Nel novembre 1973, il sistema giudiziale religioso delle Qadi Courts fu dunque abolito. Il sistema dei tribunali civili fu conservato per amministrare la giustizia, ma la sua giurisdizione ora includeva anche le questioni religiose. La giurisprudenza secolare doveva conformarsi alla sharia, che rimase la base della giurisprudenza religiosa[6]. Un tale sistema giudiziario a carattere dualistico, che vede la presenza di giurisdizioni religiose accanto a quelle civili, ed in cui ai tribunali religiosi sono riservate principalmente le questioni matrimoniali e successorie, accomuna molti Paesi del Medio Oriente ed africani.
Se si fa eccezione per l’Arabia Saudita e l’Iran, dove v’è un’applicazione pressoché integrale della sharia[7] (la legge islamica) e dove i tribunali religiosi hanno giurisdizione ampissima, in genere i rapporti che sono regolati dal diritto musulmano sono principalmente quelli familiari e quelli riguardanti i diritti della persona[8]. Le decisioni emesse da tali Corti, che prendono il nome di fatwa (letteralmente, “editti”), corrispondono grosso modo alle sentenze dei tribunali civili[9]. Gli altri rapporti sono di conseguenza assoggettati ad altre fonti e la relativa giurisdizione è attribuita a tribunali secolari. Per quanto riguarda i paesi mediorientali, si può citare l’esempio del Libano, paese in cui ai Tribunali di prima istanza (a composizione monocratica), le Corti d'appello ed le Corti di cassazione (quattro in totale, di cui tre destinate alle controversie civili e una a quelle penali[10]), si affiancano i tribunali religiosi, con giurisdizione circa questioni di diritto privato come matrimoni, decessi ed eredità. Lo stesso sistema di separazione di organi giudiziali esiste anche in Israele, dove alla giurisdizione dei Tribunali civili si affianca quella dei Tribunali religiosi.
In particolare, in questo Paese esiste addirittura uno specifico tipo di Tribunale religioso per ciascuna delle principali religioni che sono professate, la cui giurisdizione, concorrente con quella esercitata dai Tribunali civili, è legata alla religione di appartenenza. Vi sono dunque Tribunali rabbinici ebrei[11], Tribunali islamici, Tribunali religiosi cristiani e Tribunali religiosi Drusi, ciascuno con un proprio specifico ambito di competenza.
Il sistema dei Tribunali civili è invece costituito dalle Corti dei Magistrati, che si occupano dei reati civili e penali di gravità minore, dai Tribunali distrettuali, davanti ai quali possono essere appellate le decisioni delle Corti dei magistrati ed i quali occupano dei reati penali e civili di maggiore importanza. Al vertice dell’intero sistema v’è poi la Corte Suprema. Esistono infine una serie di Tribunali speciali che si occupano di questioni particolari (es. tribunali del lavoro e militari).
Ma il suddetto sistema di separazione tra corti religiose e civili si ripete in Paesi lontani dall’area considerata, come ad esempio il Bangladesh, dove i tribunali del clero del villaggio (chiamati salish), sono competenti a pronunciare fatwa contro coloro che sono ritenuti colpevoli di aver violato la legge islamica, potendo comminare condanne che vanno dalla rasatura della testa alla fustigazione ed alla lapidazione. In Indonesia, accanto ai Tribunali generali, costituiti dal sistema dei Tribunali distrettuali, delle Corti d’appello e dalla Suprema Corte di Cassazione, sorgono i Tribunali islamici, la cui giurisdizione si è anzi notevolmente espansa tra a partire dagli inizi degli anni ’80: nel nord di Sumatra, ad esempio - territorio interessato negli ultimi tempi da un intenso fenomeno di islamizzazione -, si è verificato un travaso di competenze (es. in ordine alle questioni fondiarie) dai Tribunali civili a quelli islamici[12]. In conclusione possiamo citare un curioso episodio di estensione della giurisdizione dei Tribunali islamici nell’area occidentale. Tale episodio si riferisce all’emanazione, avvenuta nel 1991, nello Stato dell’Ontario, in Canada, di una legge che autorizzava la costituzione di tribunali arbitrali islamici. La legge in questione, ha infatti consentito alle comunità musulmane residenti nello Stato di regolare le loro controversie, a condizione che esse riguardassero esclusivamente soggetti musulmani, in tribunali alternativi che praticano una particolare forma di arbitrato, basata sull’applicazione dei principi religiosi islamici. Tale soluzione ha favorito una forte decongestione del sistema giudiziale ordinario, sia pure nel rispetto del primato del diritto civile canadese (prevedendosi, tra l’altro, la possibilità di appellare le decisioni rese da tali corti davanti ad un Tribunale civile).
A tali tribunali è stata tuttavia tassativamente sottratta la trattazione di questioni penali, così come è stata loro vietata l’applicazione di qualsiasi forma di punizione corporale.
Bibliografia
[1] In Kenya, dei circa 30 milioni di abitanti, il 10% è di religione musulmana.[2] Il diritto consuetudinario, esperienza comune a tutta l’Africa, in quanto prodotto delle singole comunità e gruppi etnici esistenti nei vari Paesi africani, assume anch’esso un grado di rilevanza differente da Paese in Paese. Tale diritto è tuttavia andato incontro ad un progressivo fenomeno di declino, soprattutto a seguito dell’introduzione di costituzioni e codici di diritto uniformi per tutti i cittadini, all’interno dei singoli stati, i quali hanno consentito di superare lo stato di frammentazione giuridica esistente a livello di singole comunità. A tale processo di declino del diritto consuetudinario si sono sottratti però alcuni Paesi, come il Sud Africa e la Repubblica democratica del Congo. Nel primo, è la stessa Costituzione a dare un considerevole riconoscimento al diritto consuetudinario (prima v’era stata la Sezione 31 della Costituzione provvisoria del 1994 e poi la Costituzione Finale del 1996, varata nel 1997). Nella Repubblica Democratica del Congo invece, tribù come quelle dei Baluba, Bakongo e Nkundo Mongo, sono ancora oggi prive di qualsiasi raccolta scritta di diritto, mantenendo vive antiche pratiche consuetudinarie di diritto.[3] Le Qadi Courts sono state introdotte dalla Costituzione keniana (adottata il 12 dicembre 1963 e più volte modificata) all’art. 66, commi da 1 a 5. In base ad essa, tali corti hanno competenza nelle questioni in materia familiare e di successione relative alla minoranza islamica, non anche nelle dispute criminali. Il Qadi Courts Act del 1967 ha istituito 6 Qadi Courts, attribuendo ad esse la competenza in ordine all’applicazione del diritto in materia di Statuto personale. Tali organismi giudiziari, attualmente nel numero di 8, sono composte da giudici religiosi, tra cui un ‘Super-Qadi’ o ‘Capo Qadi’, che le presiede, ed un numero variabile da 3 a 20 Qadi, nominati dal Judicial Service Commission del Kenya. Contro le decisioni delle Qadi Court è possible fare appello alla High Court.[4] “Customary and Islamic Law and its Development in Africa — An Overview”, su Hunton & Williams Bullettin, August 2004, p. 3
[5] Fonte: U.S. Department of State
[6] Fonte: Biblioteca del Congresso degli U.S.A.
[7] La Sharia è applicata anche in Sudan, Libia ed un tempo anche in Afghanistan. In Nigeria, Paese ad ordinamento federale, alcuni Stati del nord hanno di recente reintrodotto i tribunali sciaraitici, i quali hanno determinato la reintroduzione di punizioni dure, quali la fustigazione, l’amputazione di una od entrambe le mani per i ladri e la lapidazione per l’adulterio. [8] Talvolta tale competenza si estende anche al regime fondiario.
[9] In realtà le fatwa costituiscono pareri non dotati di forza vincolante, al punto che molti studiosi le accomunano ai “responsa” del diritto romano, e che possono essere emesse da un qualunque musulmano che soddisfi criteri di autorevolezza e di profonda conoscenza della legge islamica. In linea di principio, quindi sarebbe abilitato ad emettere tali provvedimenti chiunque risponda ai requisiti in questione, e non necessariamente solo una Corte.[10] Si ricordi che anche in Italia, prima del 1923, esistevano ben 5 Corti di Cassazione civile: a Roma, Firenze, Torino, Napoli, Palermo, poi unificate in quella di Roma
[11] Questi tribunali hanno competenza esclusiva in materia di matrimoni e i divorzi di ebrei in Israele tra cittadini o residenti dello Stato.
[12] Bowen, J.R., “Consensus and suspicion: Judicial reasoning and social change in an Indonesian society 1960-1994“, Law and Society Review 34/2000