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Finanza e fisco nei Paesi ad ordinamento islamico

L’intensificarsi delle relazioni tra i Paesi islamici ed Occidentali sembra aver determinato negli ultimi anni una enorme crescita di interesse e sensibilità in occidente verso lo studio del diritto e della cultura islamica, come testimoniano l’aumento di corsi di lingua araba e di islamistica nelle maggiori Università italiane ed europee. Una nuova coscienza è venuta infatti maturando riguardo queste tematiche, così come riguardo al problema dell’applicazione della Islamic law nelle moderne società occidentali, sollevato dalla sempre più consistente presenza di immigrati musulmani oramai stabilmente risiedenti nelle stesse e dalle sempre più numerosi fenomeni di conversione all’Islam.
Anche nei comparti bancario e assicurativo, molte istituzioni finanziarie occidentali hanno fatto propri prodotti finanziari specificamente destinati ad una clientela musulmana, con la conseguenza che termini quali murabaha, sukuk e takaful, che fino ad un decennio fa erano assolutamente sconosciuti, sono diventati oggi di uso comune nel gergo bancario. Si è venuto così a sviluppare, anche in occidente, un sistema di finanza etica rispettoso delle prescrizioni religiose della Sharia (1).
La takaful industry rappresenta oggi una componente importante del sistema finanziario islamico, particolarmente sviluppata nei Paesi del Golfo Persico ed in Malesia. I prodotti takaful sono rappresentati, in sostanza, da polizze assicurative basate su un sistema di garanzie congiunte, in cui perdite e passività sono suddivise tra gruppi di clienti, consentono, come gli altri prodotti finanziari “halal” (ossia”leciti”), di superare il divieto di usura (riba) posto dal Corano.
I prodotti assicurativi convenzionali infatti, a causa della presenza nei premi e nelle rendite, di elementi di aleatorietà ed incertezza (gharar), azzardo (maisir) e di tassi d'interesse fissi e predeterminati (riba), sono contrari alle regole della Sharia, come in genere gli strumenti finanziari di più largo uso in occidente, come i contratti derivati, le opzioni, i futures ed i forward su cambi, essendo i tassi determinati su differenziali d'interesse. Il meccanismo del takaful è invece in linea con i principi di compensazione e di responsabilità condivise tra i membri della Umma (Comunità) islamica, fondandosi su una distinta separazione tra i fondi dei detentori di polizze e quelli degli azionisti. Non si tratta di un prodotto nuovo: si narra che sia stato già praticato per la prima volta più di 1400 anni fa. Nel 1985, il gran Consiglio dei dotti islamici della Mecca, in Arabia Saudita, Majma al-Fiqh, ha approvato il sistema takaful come forma alternativa di assicurazione conforme alle regole sciaraitiche (2).
Quanto alla natura delle Banche Islamiche, possiamo dire che si tratta di istituzioni che somigliano più alle banche d’investimento che a quelle commerciali: gli strumenti finanziari da esse offerti sono infatti basati, più che su eventuali garanzie di cui il cliente può disporre, sulla condivisione e compartecipazione agli utili ed alle perdite tra quest’ultimo e la banca stessa. Di conseguenza, l’erogazione di un finanziamento, piuttosto che di un prestito, si basa su un’approfondita analisi dell’idea imprenditoriale, di cui viene valutata la redditività, intervenendo la banca il più delle volte nell’andamento operativo e finanziario dell'investimento.
Nell’ambito di tale sistema, stante il divieto degli interessi, anche i semplici contratti di conto corrente assumono delle caratteristiche del tutto particolari, non essendo possibile alcuna remunerazione per il detentore del conto (il quale avrà diritto soltanto al rimborso del capitale in caso di chiusura del conto, o tuttalpiù ad un premio, cd. “hiba”, il cui ammontare varia in base al livello dei profitti totali realizzati dalla banca stessa).
Il titolare del conto corrente, nell’ipotesi più pessimistica, rischia di perdere una parte o la totalità del proprio investimento, in caso di esito negativo dell'investimento operato dalla banca.
All’interno di ciascun istituto di credito, un Comitato interno di esperti (Shariàh board), si assicura del controllo della conformità degli strumenti finanziari offerti dall'istituto di credito ai precetti della legge islamica, eseguendo una costante azione di monitoraggio sugli investimenti della banca affinché non vengano canalizzati in attività haram, ossia proibite, in quanto non corrispondenti alle prescrizioni sciaraitiche.
Altri strumenti finanziari tipici della finanza islamica sono la Murabaha, paragonabile al contratto di vendita a premio, in cui la banca acquista merci di cui il cliente ha bisogno e successivamente le rivende a quest’ultimo, lucrando sul prezzo di rivendita, il Sukuk, assai simile al primo, e come questo basato sull’acquisto di beni (stavolta immobili), che vengono successivamente ceduti in leasing al cliente, la ijara, paragonabile al leasing operativo, caratterizzato dall’acquisto, da parte della banca del bene di cui il cliente abbisogna, per cui la proprietà del bene rimane in capo all'istituto di credito, mentre al cliente viene ceduto il solo diritto d’uso sullo stesso (per il quale viene richiesto a quest’ultimo un canone mensile), la ijara-wa-iktina, paragonabile al leasing finanziario, in quanto alla fine del periodo di locazione, il cliente ha la possibilità di acquistare il bene dalla banca.
Infine si può citare la istisna, prodotto finanziario con cui la banca finanzia la produzione di un macchinario per conto di un cliente, il quale come corrispettivo eseguirà nei confronti della prima una serie di pagamenti dilazionati collegati alle varie fasi produttive del bene, fino ad acquisirne la piena proprietà al termine.
Per quanto riguarda la materia fiscale, la principale imposta nei Paesi islamici è un tributo antichissimo, chiamato “Zakat”, al cui versamento sono tenuti tutti i fedeli adulti, uomini e donne, il cui pagamento è perdurato nei secoli, pur essendo regolato con modalità differenti nei vari Stati islamici. La grande efficacia di questa imposta deriva dal fatto che essa nasce da un comando divino, da un ordine che viene da Dio stesso: non si tratta di un contributo volontario o personale, ma di un obbligo religioso del cui adempimento l'individuo è responsabile direttamente nei confronti di Dio.
La zakat viene calcolata solo su determinati redditi, come ad esempio sui possedimenti di oro ed argento, nonché di bestiame dei credenti o sui prodotti agricoli di prima necessità (cd. “Uchur”, ossia il “dare immediatamente dopo la raccolta della mietitura”). La zakat è dunque un’obbligazione che oltre a mirare a fini redistributivi della ricchezza, ha anche una valenza purificativa per colui che la versa. La sua funzione principale è infatti quella di purificare, sia la ricchezza posseduta che il cuore del fedele, dall'egoismo e dall'amore per la ricchezza. Infatti il senso lessicale del termine “zakât” è quello di "purificazione" o “pulizia”, ma anche quello di “glorificare”. Oggi le banche Islamiche devono prevedere un fondo speciale per la raccolta dello zakat, il quale viene in genere utilizzato per l'erogazione di mutui particolari.
La mancata prestazione della zakat, equivale al trattenere ingiustamente qualcosa che non appartiene al fedele.
Il Corano classifica nel modo seguente i legittimi destinatari della zakah:
1. I Musulmani poveri, affinché siano alleviati i loro bisogni;
2. i Musulmani bisognosi, affinché siano loro forniti dei mezzi con cui possano procacciarsi da vivere;
3. i neofiti, affinché siano messi in grado di far fronte alle loro nuove necessità;
4. i prigionieri di guerra Musulmani, affinché vengano liberati grazie al pagamento del riscatto;
5. i Musulmani che hanno debiti, affinché siano liberati da una condizione di dipendenza economica;
6. i funzionari Musulmani nominati da un ministro Musulmano per la raccolta della zakah, in modo che possano pagare le loro spese;
7. i Musulmani al servizio della causa di Dio, nella ricerca, nello studio, nella propagazione dell'Islam, affinché possano coprirsi le spese e possano continuare a svolgere il loro servizio;
8. i viaggiatori Musulmani che si trovano in terra straniera e hanno bisogno di aiuto.
La zakah può essere distribuita direttamente a persone di una o più delle categorie suddette oppure a organismi che si occupino di tali categorie. Può anche essere distribuita sotto forma di borse di studio a studenti e ricercatori musulmani brillanti e promettenti, ovvero come garanzia ad organismi e istituzioni di pubblico servizio che tutelino tali cause.
Il contribuente deve far uso del proprio giudizio nel modo migliore al fine di trovare i beneficiari più qualificati. Altre tasse che vengono pagate ai governi dei paesi islamici non sostituiscono questo dovere religioso: quest’ultimo va considerato come un obbligo speciale ed aggiuntivo rispetto alle tasse governative.
Molti Paesi, come ad esempio gli Stati Uniti, accordano delle apposite agevolazioni fiscali ai musulmani che versano somme a titolo di zakat. Questi ultimi possono infatti pagare la loro zakah ai beneficiari qualificati e poi reclamare le quote versate come deduzioni legali dal reddito dichiaratola fisco.
In molti Paesi islamici la zakat rappresenta ancora oggi l'unica imposta sul reddito delle persone fisiche, sebbene i sistemi fiscali di altri Stati di religione islamica prevedano altri tipi di imposte accanto ad essa, tra i quali si può citare, per importanza, il "khoms" (letteralmente, “il quinto”), che nei Paesi musulmani di tradizione sciita è la principale fonte di sostentamento del clero, nonché una delle fonti più importanti di finanziamento delle infrastrutture. Questa imposta, concepita per aiutare i poveri con il denaro dei ricchi, corrisponde ad una donazione volontaria con valore di tassa annuale sul lusso con aliquota del 20%, calcolata sui guadagni derivanti dal commercio, dall'agricoltura o sulle eredità ricevute. Al suo versamento sono tenuti i soggetti più agiati. Il Khoms si compone di sei parti, tre delle quali costituiscono la cd. “sahm el imam” (“parte dell’Imam”), mentre le altre tre vanno ai “Sadaat”, ossia ai discendenti della famiglia del Profeta. La “parte dell’Imam” viene destinata ai cd. Mujtahid (musulmani altamente istruiti e qualificati a dedurre regole, leggi o decreti, in altre parole a legiferare, in base al Corano ed alla Sunna): il fedele sceglie a quale religioso di sua fiducia consegnare tale autotassazione: ciò genera una vera e propria competizione tra gli Imam per avere più seguaci e in conseguenza più fondi (3). La rimanente parte del khoms, il fedele può assegnarla ad un dignitario religioso od un devoto di sua scelta od ancora gestirla egli personalmente per fini caritativi.
Per quanto riguarda invece le modalità di versamento dell’imposta, ogni anno, in una data liberamente scelta, i credenti devono fare un inventario di tutto ciò che hanno guadagnato nell’anno precedente e devolvere il quinto del profitto netto ad un dignitario religioso (Imam) di loro scelta. A differenza della zakat, che si applica solo a certi tipi di redditi, il Khoms deve essere pagato da ciascuno in ragione di un quinto dei suoi redditi totali. La metà del Khoms comunemente detta “parte dell’imam” è generalmente raccolta tramite la rete delle moschee.
La tradizione sunnita, a differenza di quella sciita, ritiene invece che il khoms vada pagato soltanto su bottini di guerra, con la conseguenza che tale tassa di fatto non viene applicata dai sunniti.
E’ sorprendente l’analogia di questi due principali tributi della fiscalità islamica con un tributo tipico della tradizione giudaico-cristiana: la "decima”, anch’essa tributo con finalità equitative di redistribuzione dei redditi tra soggetti più e meno abbienti (4).
La decima, che già nell'antico testamento era una prassi obbligatoria, rappresentava una pratica spontanea posta in essere dai fedeli che si privavano di una parte essenziale delle proprie ricchezze (un decimo del reddito annuale) per cederle a Dio in segno di amore e di riconoscenza. Il prelievo della decima e la sua destinazione secondo i propositi esposti nella legge esprimevano infatti il diritto di Dio su tutto quanto uno possedeva. Nella pratica tale tributo serviva a provvedere annualmente al sostentamento dei leviti (5), i quali erano dignitari che si occupano del culto di Dio: si noti la corrispondenza con il khoms (ed in particolare con quella che abbiamo definito “parte dell’imam”). I leviti a loro volta, dovevano devolvere la decima parte del tributo ricevuto ai sacerdoti ed ogni tre anni essa doveva essere destinata ai poveri.
La decima è rimasta per lungo tempo in uso nella Chiesa, specialmente durante il Medioevo, fino a scomparire con i tempi moderni.

 


1- W. Wallis, “Bankers learn new language to manage Islamic funds”, Financial Times, 20 October 2004
2- Conferenza internazionale sull’assicurazione islamica (takaful), London 26-27 Settembre 2003, organizzata dall’Institute of Islamic Banking and Insurance of London all’Hilton London Metropole
3- F. Adelkhah, “Quand les impots fleurissent à Tehéran”, Les cahiers du CERI, n° 12 - 1995
4- La Bibbia ne parla in relazione ad epoche diverse. Già al tempo di Abramo (Gen 14,18-20) e di Giacobbe (Gen 28,22). Nel Libro della Genesi infatti è scritto che Giacobbe fece un voto a Dio, impegnandosi a cedergli un decimo di quanto entrasse a far parte del proprio reddito: «Se Dio sarà con me e mi proteggerà in questo viaggio che sto facendo e mi darà pane da mangiare e vesti per coprirmi, se ritornerò sano e salvo alla casa di mio padre, il Signore sarà il mio Dio. Questa pietra, che io ho eretta come stele, sarà una casa di Dio; di quanto mi darai io ti offrirò la decima». (Gen 28,20-22). Bisogna tuttavia rilevare come questa pratica fosse già d’uso nei popoli antichi, ancora prima di Giacobbe. Nell’antico testamento si legge infatti che Abramo, patriarca degli israeliti, offrì la decima al re Melkisedek (Gen 14,20). Quindi prima ancora di diventare pratica religiosa, l’offerta della decima era una usanza pagana, diffusa tra gli antichi popoli.
5- Membri della tribù del patriarca biblico Levi, in Israele. Erano dediti essenzialmente al servizio cultuale, accanto ai sacerdoti. Non possedendo un territorio proprio, erano dispersi in quelli delle altre tribù.


Autore: Danilo Desiderio


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