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Sei in: Approfondimenti La giurisprudenza
Corte di cassazione, Sezione I civile, Sentenza 6 febbraio 2003, n. 1744 - famiglia
La violazione del dovere dei coniugi di stabilire concordemente il proprio domicilio non giustifica, di per sé, la pronuncia di separazione con addebito, ove la rottura dei rapporti coniugali sia riconducibile ad altre cause

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 4 gennaio 1999, Giuseppe Scialpi proponeva appello avverso la sentenza del 2-26 ottobre 1998 con la quale il Tribunale di Taranto aveva pronunziato la sua separazione personale dalla moglie Maria Adele Stano, rigettando però, a sua parere ingiustamente, la richiesta di addebito a costei. A sostegno del gravame l'interessato adduceva la violazione da parte della coniuge dell'obbligo di coabitazione e assistenza materiale e morale nei propri confronti, per non averlo seguito nella sede ove era stato destinato in ragione del suo servizio di sottufficiale della Guardia di finanza. Contestava inoltre la debenza e comunque la quantificazione dell'assegno di mantenimento, in relazione alle proprie capacità di reddito e a quelle lavorative della moglie e al breve periodo di vita coniugale.

All'impugnazione resisteva la Stano che, costituitasi con comparsa di risposta depositata all'udienza di comparizione delle parti, ne evidenziava l'infondatezza, e chiedeva, in parziale riforma della gravata sentenza, dichiararsi la separazione giudiziale per colpa del marito.

La corte d'appello, con sentenza del 16 febbraio 2000, rigettava entrambi gli appelli.

Ha proposto ricorso per Cassazione lo Scialpi con un unico articolato motivo.

La Stano ha resistito con controricorso illustrato con successiva memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l'unico articolato motivo di ricorso lo Scialpi denuncia la sentenza impugnata sotto il profilo della violazione di legge e della contraddittorietà della motivazione laddove questa ha escluso l'addebitabilità della separazione a carico della Stano ed ha posto a carico di esso ricorrente un assegno di mantenimento a favore di quest'ultima nonostante l'attività di parrucchiera da questa svolta.

Per quanto concerne in particolare l'addebito, le censure mosse dal ricorrente alla sentenza impugnata possono sintetizzarsi nel fatto che non è stato considerato causa di addebito il fatto che la Stano avesse trasferito senza il consenso del marito il proprio domicilio a Manduria e che l'esclusione dell'addebito stesso fosse stata motivata su delle mere supposizioni per quanto riguarda il momento in cui si era determinata tra i coniugi la frattura insanabile dei loro rapporti.

Tali censure sono infondate.

Questa Corte ha più volte enunciato il principio secondo cui l'indagine sulla intollerabilità della convivenza e sulla addebitabilità della separazione - istituzionalmente riservata al giudice del merito ed incensurabile in Cassazione se sorretta da congrua motivazione - non può basarsi sull'esame di singoli episodi di frattura (che possono essere anche successivi al verificarsi della situazione di intollerabilità della convivenza e possono incidere sul giudizio di addebitabilità quale causa concorrente alla definitiva rottura), ma deve derivare dalla valutazione globale dei reciproci comportamenti, quali emergono dal processo (Cassazione 9472/99). Da ciò ne consegue che la violazione del dovere di stabilire concordemente il proprio domicilio, ove anche possa considerarsi motivo di addebito, può non giustificare, da sola, la pronuncia di separazione con addebito qualora la rottura dei rapporti coniugali sia stata determinata indipendentemente dalla predetta violazione.

A tale proposito questa Corte ha ulteriormente precisato che per poter addivenire alla pronuncia di addebito occorre che venga fornita la prova che il comportamento del coniuge contrario ai doveri familiari sia stato la causa che ha determinato l'intollerabilità della convivenza (Cassazione 12130/01).

A tali principi si è correttamente attenuta la corte di merito che ha osservato come non sia stato possibile in base alle risultanze istruttorie determinare le cause della disgregazione del rapporto familiare, dovendosi le stesse ricercarsi nelle complesse vicende familiari che avevano dapprima portato i coniugi a trasferirsi a Pavia, dove lo Scialpi prestava servizio, con successivo allentamento dalla città da parte della Stano, rimasta incinta, che era tornata a Manduria per trascorrere la gravidanza ed il periodo post-parto nella casa dei genitori. Tali vicende erano poi proseguite con il trasferimento dello Scialpi a Catanzaro, il quale trascorse un periodo di licenza nell'agosto 1994 a Manduria presso la casa dei genitori della moglie per recarsi quindi presso la nuova sede di lavoro da dove, nel settembre 1994, comunicò alla moglie - che nel giugno dello stesso anno aveva trasferito il proprio domicilio da Pavia a Manduria - la propria richiesta di separarsi.

In base a tale ricostruzione dei fatti la corte di merito ha ritenuto con una valutazione di merito - che in quanto coerente sotto il profilo della logica e dei dati della comune esperienza non si presta a censure in sede di legittimità - che la causa della rottura insanabile tra i coniugi non fosse da attribuirsi al singolo episodio di trasferimento del domicilio da parte della Stano ma a tutto l'insieme delle vicende pregresse intercorse tra i coniugi, in particolare ai periodi di lontananza, e che l'episodio in questione, anziché essere la causa del disintegrarsi del consorzio familiare, ne sia stato invece uno degli effetti.

Per quanto concerne l'assegno di mantenimento le censure del ricorrente sono manifestamente prive di ogni fondamento.

A norma dell'articolo 156 c.c. il diritto all'assegno di mantenimento sorge in favore del coniuge separato al quale non sia stato addebitata la separazione ove non fruisca di redditi che gli consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello che aveva avuto durante il matrimonio e sussista una disparità economica tra i coniugi (ex plurimis Cassazione 5762/97; 3291/01; 12136/01).

Nel caso di specie la Corte salentina ha accertato che la Stano non dispone di reddito per cui ha correttamente posto a carico del ricorrente un assegno di mantenimento. Quest'ultimo del resto avanza delle censure del tutto generiche che non consentono la determinazione quantitativa delle somme da corrispondere e che si limitano a dedurre che la Stano svolge attività di parrucchiera in nero, circostanza questa puramente di fatto che non risulta dalla sentenza ed in ordine alla quale nessuna valutazione compete a questa Corte.

Il ricorso va pertanto respinto con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del processo liquidate in euro mille per gli onorari ed euro cento per le spese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in euro mille per onorari oltre euro cento per spese.

Autore: E-ius


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