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Sei in: Approfondimenti Giusto processo
Il «Caso Pisano» - Sentenze a confronto
1 - LA VICENDA 1
1-a - La sentenza di condanna di primo grado.
1-b - La sentenza di revisione della Corte d'Appello di Perugia.
2 - L'ALIBI DI MASSIMO PISANO.
2-a - La sentenza di condanna di primo grado.
2-b - La sentenza delle Sezioni Unite Penali della Cassazione.
3 - IL CONCETTO DI "PROVA NUOVA" al vaglio delle Sezioni Unite.
4 - LA RESPONSABILITA' DI TERZE PERSONE AL VAGLIO DELLE SS.UU.
5 - DIFFERENZA TRA "PROVA", "ELEMENTO DI PROVA" e "MEZZO DI PROVA" SECONDO LE SEZIONI UNITE.
6 - LE "PROVE NUOVE" AI FINI DEL TEMA DI PROVA DELL'ALIBI.
7 - L'ESCLUSIONE DELLA PREMEDITAZIONE NEL GIUDIZIO DI REVISIONE AL VAGLIO DELLE SEZIONI UNITE.



1 - LA VICENDA

La mattina del 4 agosto 1993 Massimo Pisano esce di casa intorno alle 6.45, giunge all'Istituto Superiore di Polizia alle 7.15; alle ore 10.30 circa vi si allontana, perchè incaricato di duplicare in un negozio di ferramenta le chiavi della palestra dell'Istituto, ove fa rientro intorno alle 11.30, uscendone poco prima delle 14.
Cinzia Bruno, moglie di Massimo Pisano, dopo aver telefonato alle 8.30 circa in ufficio per ottenere un giorno di permesso, chiedendo alle sue colleghe di non comunicarlo al marito, si reca a Riano (RM) a casa di Silvana Agresta, che sospettava essere l'amante del marito, con la quale ingaggia una zuffa violenta.
Una coppia di vicini di casa dell'Agresta sente una voce femminile lamentarsi, ripetutamente, intorno alle 12.
Il cadavere di Cinzia, sgozzato ed oltraggiato verrà ritrovato sul greto del Tevere, all'altezza del ponte del Grillo, a Capena (RM) il pomeriggio del 6 agosto.
La stessa notte i Carabinieri convocano Massimo Pisano e, sentite le colleghe di Cinzia Bruno che indicano agli inquirenti l'utenza telefonica domestica in uso all'Agresta, ne individuano il domicilio e la convocano. La coppia, dopo una iniziale negativa, ammette la relazione: i due vengono fermati per uxoricidio sulla base di un comune movente.
Nel processo avanti la Prima Corte d'Assise di Roma conclusosi il 29 novembre 1994, Silvana Agresta e Massimo Pisano, indicati dalla stampa come "gli amanti diabolici di Riano", vengono entrambi condannati all'ergastolo, pena confermata in Appello ed in Cassazione.

1-a - La sentenza di condanna di primo grado.

La sentenza di primo grado così ricostruì la vicenda:
"Se, dunque, Cinzia era uscita da casa intorno alle 8.30, la sua morte doveva essere avvenuta intorno alle 11.30/12 (e, comunque, in un arco di tempo approssimativamente vicino a quell'orario). E proprio a un dipresso a quell'ora (e, prima di mezzogiorno) Marronaro Elisa, vicina di casa della famiglia Agresta, udiva delle grida di donna che, ad intervalli, duravano circa 5 minuti. Lo faceva presente al marito, (Santella Giacinto), che pure lui, dopo alcuni minuti, percepì dei lamenti"... (sent. condanna di I grado, pag. 62).
"Essendo egli uscito dall'Istituto intorno alle 10/10.10 (orario da lui stesso indicato) ed essendo egli rientrato alle ore 11.30, egli è stato fuori dal luogo di lavoro circa 1 ora e mezzo...Si è riscontrato che, percorrendo quell'itinerario lungo 23 Km. a bordo di una "Opel Vectra" il giorno 3 agosto 1994, il tempo di percorrenza sia all'andata che al ritorno era di circa 20 minuti...Dunque, in un arco temporale di circa 1 ora e mezza di assenza dall'Ufficio, Pisano avrebbe trascorso 40 minuti in viaggio, residuandogliene altri 50. Ove anche si voglia ritenere provato il suo passaggio dal negozio di ferramenta (considerando che l'operazione per il rilascio del duplicato delle chiavi avrebbe comportato solo alcuni minuti), egli ha avuto a disposizione per recarsi a casa di Agresta Silvana circa 40 minuti. Tempo più che sufficiente per compiere il delitto ed uscire immediatamente di scena" (sent. condanna di I grado, pag. 86-87).

1-b - La sentenza di revisione della Corte d'Appello di Perugia.

La sentenza di revisione della Corte d'Appello di Perugia del 19.2.2001 esclude la partecipazione di Massimo Pisano, che verrà assolto per non aver commesso il fatto, ex art. 530 I comma e ricostruisce analiticamente la fase omicidiaria da pag. 99 a pag. 112.
1) Genesi e ricostruzione delle fasi del delitto
La Corte ha rilevato la presenza in atti di una serie di deposizioni testimoniali, che nel giudizio di cognizione non furono affatto valutate le quali, valutate unitamente alle nuove prove acquisite nel presente giudizio, consentono di ricostruire -in maniera precisa- la genesi e le fasi di esecuzione del delitto, che erroneamente i giudici di cognizione ritennero di individuare in un preteso "invito-trappola" rivolto alla vittima, circostanza che risulta pacificamente esclusa dagli atti processuali.
Le testimonianze non valutate, ai soli fini della ricostruzione del delitto, nel corso del precedente giudizio, sono le seguenti:
1) Mellucci Maria, madre della vittima (deposizione resa all'udienza del 13.7.1994);
2) Adriana Mourik, collega ed amica intima di Cinzia Bruno (deposizione resa all'udienza del 14.7.1994);
3) Soricelli Stella, collega ed amica intima di Cinzia Bruno (deposizione resa all'udienza del 13.7.1994);
4) Valletta Angela, collega ed amica intima di Cinzia Bruno (deposizione resa all'udienza del 14.7.1994);
5) Giuseppe Labozzetta, amico di famiglia di Cinzia Bruno e di Massimo Pisano (deposizione resa all'udienza del 3.10.1994);
6) Triburzi Vittoria (deposizione resa all'udienza del 26.10.1994);
7) Testa Tatiana (deposizione resa all'udienza del 14.10.1994);
8) Elisa Marronaro, residente nella strada parallela a via Matteotti, via XXV Aprile, la cui casa è quasi attaccata a quella dell'Agresta, che intorno a mezzogiorno del 4.8.1993 udì "invocazioni o meglio delle grida di una voce femminile", tanto più che chiese il giorno successivo alla mamma del Gigante, durante la gita a S.Rita, "se era la nipote ad invocare aiuto" (v.si verb. 11.8.93 fol. 403 fasc. indagini; deposizione resa all'udienza del 13.7.1994, fol. 59);
9) Giacinto Santella, residente nella strada parallela a via Matteotti, via XXV Aprile, la cui casa è quasi attaccata a quella dell'Agresta, che udì "lamenti soffocati" intorno a mezzogiorno del 4.8.1993 (s.i.t. 13.8.1993, s.i.t. 31.8.1993; deposizione resa all'udienza del 13.7.1994, fol. 63);
10) Pisano Massimo (s.i.t. 7.8.1993, h. 03.15; interrogatorio del 7.8.1993, h. 20,50);
11) consulenza autoptica della vittima;
12) verbale ispezione personale di Silvana Agresta del 10.8.1993.
Posto che la genesi e la ricostruzione delle varie fasi di un omicidio deve essere strettamente ancorata alle risultanze processuali (e non alle congetture), i predetti elementi di prova, valutati congiuntamente alle prove nuove assunte nel presente giudizio di revisione (esame Aniello Agresta, ud. 20.1.2001, consulenza tossicologica, deposizione geometra Giammattei), hanno consentito di ricostruire precisamente la genesi e tutte le fasi di esecuzione del delitto, che non è risultato premeditato.
Orbene, come emerge dagli atti, la vittima Cinzia Bruno, che nutriva già dei sospetti sul fatto che il marito avesse un'amante (cfr. dichiarazioni di Soricelli, trascr. ud. 13.7.94, fol. 77; Valletta e Mourik, trascr. ud. 14.7.94, risp. foll. 2 e 15/16), in data 21 luglio 1993 scoprì sul telefono cellulare del marito Massimo Pisano un numero telefonico di Riano (RM), intestato a Naso Giuseppina, madre di Silvana Agresta, residente in via Matteotti, n. 10 (cfr. dichiarazioni Soricelli Stella trascr. ud. 13.7.94, foll.77/78; Valletta e Mourik, trascr. ud. 14.7.94, risp. foll. 3/4 e 16), numero al quale la vittima aveva anche telefonato alcune volte, senza rispondere all'interlocutrice, che a volte aveva la voce di persona giovane ed a volte la voce di persona anziana (cfr. Soricelli, ibidem, fol. 78).
Tale circostanza avvalorò il sospetto di Cinzia che l'amante del marito risiedesse in Riano, come confermato dalle dichiarazioni rese dal teste Labozzetta Giuseppe, amico di famiglia di Cinzia Bruno e di Massimo Pisano, il quale ha riferito al dibattimento di primo grado che la vittima "parlava sempre di questo Riano, era sospettosa di questo Riano" (cfr- trascr. ud. 3.10.94, fol. 45).
Cinzia Bruno effettuò, pertanto, da sola con la sua autovettura un primo sopralluogo in Riano, nella seconda metà del mese di luglio (cfr. deposizioni delle testi Triburzi Vittoria e Testa Tatiana, le quali hanno espressamente dichiarato che nella seconda metà del mese di luglio "una biondina con una 126 celeste" aveva loro "richiesto di corso Matteotti in Riano… che avevano riconosciuto come Cinzia Bruno dalla foto sul giornale": cfr. Testa, trascr. ud. 14.10.94, foll. 56-59 e Triburzi, trascr. ud. 26.10.94, foll. 16-17).
Il teste Labozzetta ha poi precisato al dibattimento che Cinzia, sempre più insospettita, aveva anche rinvenuto a casa, in un mod. 740, una ricevuta di un versamento I.C.I. effettuato da Massimo Pisano proprio presso l'ufficio postale di Riano (cfr. trascr. ud. 3.10.94, fol. 45)
Ha ancora precisato Soricelli Stella che Cinzia Bruno aveva, quindi, deciso di fare un blitz in Riano a casa dell'Agresta, ove "dovevano recarsi insieme" (cfr. dichiarazioni di Soricelli, trascr. ud. 13.7.94, fol. 78/79).
Inoltre, la sera del 3 agosto Cinzia Bruno (come espressamente riferito al dibattimento da Mellucci Maria, madre della vittima), dopo che ritornarono tutti insieme a casa alle ore 24,00 circa, discusse con Massimo Pisano, in quanto era alla ricerca di un mod. 740 che non trovava (cfr. dichiarazioni, trascr. ud. 13.7.94, fol. 23).
Come riferito dall'imputato Massimo Pisano, la mattina successiva (4 agosto 1993) Cinzia Bruno alle ore 8,15 circa telefonò all'imputato, chiedendogli se ricordava dove fosse finito il mod. 740 del padre e l'imputato le disse dove lo stesso si trovava (cfr. s.i.t. 7.8.93, h. 3,15, nonché interrogatorio 7.8.93 h. 20,50 in volume 12).
Subito dopo, alle ore 8,30, Cinzia Bruno "impulsiva" (cfr. sentenza di condanna primo grado, pag 90, rigo 16), avendo finalmente rinvenuto nel mod. 740 del padre, su indicazioni dello stesso Pisano, la ricevuta del versamento I.C.I. effettuato dall'imputato presso l'ufficio postale di Riano (proprio quella cui ha fatto espresso riferimento il teste Labozzetta a fol. 45, ud. 3.10.94) che la sera precedente ella non aveva trovato (nonostante la discussione con il marito), decise di attuare da sola, ovviamente all'insaputa dell'imputato Massimo Pisano, il blitz a Riano, come peraltro già preannunciato alla sua collega ed amica intima Soricelli Stella (cfr. dichiarazioni cit.), la quale non era in condizioni di accompagnarla, perché aveva l'autovettura dal meccanico (cfr. dichiarazioni di Soricelli, trascr. ud. 13.7.94, fol. 79).
I giudici di cognizione hanno utilizzato, a questo punto, un falso riferimento temporale utilizzato per arrivare ad anticipare l'ora della morte della Bruno (3/4 ore dopo la colazione), partendo dall'erroneo assunto che Cinzia effettuò la prima colazione con lo yogurt, circostanza smentita dalla madre, Mellucci Maria (cfr. trascr. verb. ud. 13.7.1994, f. 22).
Cinzia, quindi, alle ore 8,30 circa telefonò in ufficio, riferendo alla collega Valletta che intendeva fruire di un giorno di ferie, pregandola di informare anche le altre colleghe che, qualora il marito Massimo Pisano l'avesse cercata telefonicamente, gli avrebbero dovuto tacere la sua assenza in ufficio (cfr. trascr. ud. 14.7.94, fol. 5).
D'altro canto, Massimo Pisano alle ore 8 circa ricevette una telefonata da Silvana Agresta la quale, nel prendere appuntamento con lui a casa intorno alle ore 14,00 invitandolo a pranzo, gli disse che aveva intenzione di andare a fare le pulizie a casa del Prefetto Rossi.
Per tale ragione, Massimo Pisano non telefonò a Silvana Agresta, come di consueto, al mattino, né successivamente, nel corso della mattinata, non essendo l'Agresta in possesso di un telefono cellulare.
Poco dopo, circa verso le ore 9,30, Cinzia Bruno, "impulsiva" e profondamente innamorata del marito Massimo Pisano, piombò in Riano a casa di Silvana Agresta, conoscendone ormai l'esatta ubicazione, appresa a seguito del precedente sopralluogo effettuato nella seconda metà di luglio, chiaramente invitandola a "togliersi di mezzo" per non distruggere la sua famiglia.
Silvana Agresta conosceva fisicamente la Bruno ("conoscevo la Bruno per averla vista sul luogo di lavoro"- int. 7.8.93) nonché, per averlo appreso dal Pisano, anche il tipo di auto da lei condotta: i giri viziosi della 126 della vittima (di cui ebbe a riferire a svariate persone, tra cui Gilda Catena, madre di Sabatino Gigante, la teste Anna Gentili Rossi, titolare di un negozio di alimentari sito proprio in via Matteotti) avevano certamente destato l'interesse dell'Agresta, la cui abitazione era sita a piano stradale, utilizzando la mansarda per la propria "intimità" (cfr. interrog. Agresta 24.8.1993 "...nella mia mansarda andavo ogni tanto, passando gran parte della mia giornata, quando stavo a casa, da mia madre...").
A Silvana Agresta non mancava certo l'intraprendenza (come il delitto ha dimostrato) e ben poté affrontare Cinzia a carte scoperte, manifestandole provocatoriamente la relazione sentimentale che ella intratteneva con il marito Massimo Pisano: Silvana Agresta, in esecuzione del suo proposito, svelò quindi alla vittima il "nido d'amore".
Cinzia recava con sé i biglietti del traghetto per la Sardegna, che proprio quel giorno aveva programmato di sostituire insieme alla Mourik (v.si dichiaraz. trascr. ud. 14.7.94) e che non verranno più trovati.
Le donne si affrontarono, ciascuna con i rispettivi argomenti: per Cinzia il vincolo coniugale, la figlia Arianna, la già programmata vacanza in Sardegna; per l'Agresta la annosa relazione amorosa, l'anello regalatole il giorno prima (cfr. capitolo B, par. 4, punto n. 6 della presente sentenza), nonché le lettere, gli altri ricordi e le foto che l'Agresta custodiva nel suo "nido d'amore".
Le provocazioni di Silvana Agresta ebbero effetto anche sulla timida e mite Cinzia Bruno, portando ad un'inevitabile escalation di improperi, insulti e ad una zuffa furibonda nella mansarda dell'Agresta, come dimostrato dalle tracce di sangue, rilevate in abbondanza nel locale bagno (dove avvenne lo sgozzamento ed il dissanguamento della vittima), nonché in camera da letto, sul pavimento, su di un comodino, nel soggiorno, sul termosifone, sul divano, nella porzione di corridoio costeggiante la camera da letto, oltre che sul pavimento del terrazzo ove fu trasportato il cadavere della vittima (cfr. verbale ispezione e foto in atti).
Dall'assenza sul corpo della vittima di lesioni od ecchimosi lievi (cfr. autopsia in atti) e, per contro, dalla presenza di 20 lesioni ed ecchimosi riscontrate sull'Agresta nell'ispezione corporale del 10 agosto 1993 è provato che l'Agresta ebbe inizialmente la peggio e che, quindi, la condannata non stava attendendo la vittima (in compagnia di "una persona alta e robusta"), né aveva teso alla stessa un invito-trappola, ma che fu l'Agresta stessa colta di sorpresa dal blitz di Cinzia Bruno.
L'Agresta aveva, però, un'arma in mansarda, quel corpo contundente non meglio individuato, che cagionò le vaste ferite al capo della Bruno e che l'Agresta brandì, colpendo la vittima al capo più volte, fino a fiaccarne le forze.
Erano circa le ore 10,00 del 4.8.1993 (cfr. dichiarazioni Furnari sulla necessaria durata dell'azione venefica).
Subito dopo Silvana Agresta maturò lo sconsiderato disegno di simulare il suicidio della rivale con l'ingestione di psico-farmaci, in particolare del Plegine, acquistato presso la farmacia di Riano dal fratello Aniello Agresta e custodito a piano terra a casa della madre (cfr. sul punto dichiarazioni rese nel presente giudizio di revisione da Aniello Agresta, fornitore dei farmaci ingurgitati dalla vittima, ud. 20.1.2001, p. 94-120 verb. trascr.).
Il Plegine certo non poteva salire da solo in mansarda, onde qualcuno, presente sul luogo del delitto, ve lo portò.
La stessa Silvana Agresta (ovvero il suo complice), dopo aver preso dalla borsa di Cinzia le chiavi dell'auto, scese precipitosamente le scale, dispose la Fiat 126 nel box, fece ritorno in mansarda e tentò di fare ingerire le compresse a Cinzia, utilizzando lo sciroppo per la tosse, prima, e lo yogurt, dopo, somministrato forzatamente con il cucchiaino "Algida" in Silver, che la vittima custodiva nella borsetta e che rimarrà fuori della borsa (mai più ritrovata), venendo poi bruciato la mattina successiva dall'Agresta sotto casa (v.si dichiaraz. Grasselli e Morelli cfr. trascr. ud. 10.10.94, rispettivamente foll. 16-18 e 19-21), per tentare di far scomparire quell'oggetto che poteva ricondurla a Cinzia Bruno e che, infatti, fu riconosciuto dalle colleghe della vittima (v.si ud. 13.7.94, dichiarazioni di Soricelli, foll. 84-85).
Il dottor Colesanti, c.t. del Pubblico Ministero, specificò l'impossibilità di far ingerire pastiglie sane ad una persona semi-incosciente (v.si chiarimenti al P.M. all.to 77 rich. rev.), e del resto per tale compito furono assolutamente necessarie almeno due persone in quanto, una volta ripresasi dal torpore provocatole dai colpi al capo, Cinzia, seppure ancora stordita, avendo ormai chiaramente percepito il disegno omicida dei suoi aguzzini, lottò per la sopravvivenza con tutte le sue residue forze.
Vi fu una serie di assunzioni di Plegine, che proseguì nel tempo, comportando l'immobilizzazione degli arti di Cinzia, con le conseguenti riscontrate fratture dei polsi e dei metacarpi, assolutamente simmetriche (cfr. foto autopsia in atti).
In questo frangente, l'Agresta, allo scopo di assicurarsi che il Pisano non le facesse un'improvvisa visita a casa, come poteva accadere, telefonò all'ufficio di Massimo Pisano, chiedendo di lui e, non avendolo trovato, lo chiamò sul telefono cellulare ("credo che fossero le 11 della mattina", cfr.int. Agresta del 9.8.93, nonché del 7.8.93, volume 9 "lui mi disse che era andato al catasto"); anche Pisano conferma, sintomaticamente, tale circostanza "stavo rientrando dal catasto e avevo fatto tardi" (cfr.int. Pisano del 26.8.93, fol. 2, volume 12).
Dalla rivisitazione della consulenza tossicologica, alla luce dei nuovi elementi di prova acquisiti, emerge inconfutabilmente che vi furono diversi "momenti" di somministrazione coatta di Plegine: una prima fase si riscontra nelle concentrazioni di fendimetrazina contenute nel sangue e nelle urine, mentre altre due fasi successive si rilevano dal contenuto gastrico, ove sono state reperite 4 pasticche integre ed altre 3 parzialmente sciolte.
Le altissime concentrazioni riscontrate nei campioni di sangue e di urine della vittima, da un lato accreditano l'ipotesi dell'ingestione di un massivo quantitativo di Plegine e dall'altro acclarano il necessario tempo di assorbimento ed espulsione urinaria dei principi attivi di tali pasticche, per un intervallo temporale erroneamente quantificato, sul piano tecnico-scientifico, nel giudizio di cognizione, in pochi "minuti" ("stimandosi, conseguentemente piuttosto breve -nell'ordine di grandezza di diversi minuti- l'intervallo di tempo introduzione-decesso": cfr. sentenza di condanna di I grado, fol. 54).
Deve, quindi, ribadirsi l'erroneità macroscopica dei "tempi omicidiari" calcolati nel giudizio di cognizione ("diversi minuti", in luogo di 1ora e ½ - due ore), nonché del numero di compresse di Plegine che furono fatte ingerire alla vittima (11 compresse), in luogo di 20-30 di solo Plegine, che corrisponde, significativamente, sia alla quantificazione del consulente delle parti civili, prof. Chiarotti "10-20 volte la dose terapeutica" (costituita da 1 o 2 pasticche al giorno), sia a quella indicata dal prof. Furnari nel corso del presente giudizio di revisione.
La simmetria delle fratture al metacarpo di entrambe le braccia dimostra inconfutabilmente che l'immobilizzazione della vittima fu attuata con l'utilizzo di corpi rigidi, verosimilmente morsetti, nella fase di avvelenamento coatto (vds. foto autopsia).
Di certo l'Agresta ed il (o i) complice(i), non riuscendo nel loro intento tossico-letale in tempi ragionevolmente brevi e compatibili con le altre emergenze (il Pisano era stato invitato a pranzo dall'Agresta per le 14), abbandonarono il primitivo disegno di simulazione suicidarla, passando all'ancor più efferata soppressione, e cioè sgozzando la vittima, ferita con tre coltellate in successione: alla trachea, alla carotide ed alla giugulare.
Il dissanguamento, secondo la comune esperienza, dura alcuni minuti, ma anche questa cruenta attività, diversamente da quanto avvenuto nel giudizio di cognizione, deve essere considerata nella ricostruzione delle fasi e dei tempi di esecuzione del delitto.
Silvana Agresta manifestò, infine, tutta la sua crudeltà infierendo con lo stiletto sul ventre della rivale, ormai letteralmente esangue, come accertato dall'autopsia (cfr. consulenza autoptica in atti).
È questo un ulteriore elemento che consente di escludere (sia pure solo logicamente) la compartecipazione al delitto del Pisano: l'accanimento sulla vittima ("over killing") ha, da un lato, una chiara firma femminile, per la collocazione dello sfregio -il ventre- e, dall'altro, impedisce di ritenere il Pisano capace di tanto implacabile e feroce odio per la donna che ha generato sua figlia Arianna, al punto di acconsentire, sia pure passivamente, a quest'ultimo inutile e crudele scempio.
Contrariamente a quanto ritenuto dai giudici della cognizione, tutta l'azione omicidiaria è caratterizzata da notevole approssimazione ed improvvisazione.
In un delitto premeditato ed accuratamente preordinato, non si cercano, peraltro a delitto asseritamente già compiuto, due persone per incaricarle del "trasporto" e dell'occultamento del corpo della vittima.
L'"invito-trappola" (e la connessa ritenuta "premeditazione") è un postulato logico-deduttivo disancorato dalle risultanze processuali globalmente considerate (quelle già esistenti in atti, valutate congiuntamente a quelle acquisite nel presente giudizio di revisione).
Ad esempio è da escludere che la Fiat 126, parcheggiata prima all'esterno, davanti all'abitazione dell'Agresta, poi ricoverata all'interno del box e poi posteggiata di nuovo in via Matteotti prima delle 13, sia stata condotta "in garage" dalla vittima.
Per quanto suadente o rassicurante fosse stato l'invito-tranello asseritamente ricevuto, non v'era ragione per utilizzare il box degli Agresta, che in realtà è una minuscola cantina, tale definita anche catastalmente (v.si sequestro conservativo in atti, disposto dalla Corte d'Assise di Roma); realmente non si coglie il senso di una manovra a retromarcia effettuata dalla vittima, al fine di una sollecita sortita, poi, o per pianificare… il proprio post mortem (!?)
È evidente, invece, che tale manovra, successiva al parcheggio dell'autovettura di Cinzia in via Matteotti, fu assolutamente funzionale e necessaria per gli assassini, che solo così avrebbero poi potuto introdurre il corpo della Bruno avvelenata, sul sedile accanto al conducente, attraverso lo sportello destro, dal lato che rende comunicante la cantina (posta al civico 8) con la scala interna del palazzo degli Agresta (civico 10).
Che la manovra fu effettuata dall'Agresta (o dal suo complice) è poi confermato proprio dall'urto tra la fiancata destra ed il telaio della saracinesca, in conseguenza della scomoda manovra a retromarcia e della particolare concitazione, successiva all'iniziale azione aggressiva ed alla scelta, poi abortita, di sopprimere la vittima mediante avvelenamento.
Tutte le colleghe di Cinzia Bruno hanno concordemente riferito dell'indole paurosa della vittima, che titubava rispetto alla prospettiva di cogliere in flagrante adulterio il marito in quel di Riano; orbene, asserire che la vittima introdusse addirittura l'autovettura, sua sponte, a retromarcia, all'interno del palazzetto dell'amante del marito, costituisce una chiara offesa alla Logica.
Di fatto l'azione omicidiaria si sviluppò nell'intero appartamento: tutte le tracce di sangue appartengono alla vittima (v.si pag. 33 della sentenza di I grado) e ciò non consente alternative interpretazioni.
Non ci si può limitare, così come hanno fatto i giudici di cognizione, ad affermare che Cinzia Bruno "dopo essere stata aggredita e costretta ad ingerire numerose compresse, è stata ripetutamente percossa al capo con un corpo contundente, ferita in più punti, con un'arma da punta e taglio, al volto e al collo; e oltraggiata, dopo morta, con altre stilettate all'addome", senza valutare l'elemento di prova costituito dalla perizia autoptica.
Non v'è ragione di una così furiosa aggressione sia in soggiorno che in camera da letto, ove si concordi con la tesi del giudizio di cognizione, secondo cui la vittima fu attirata (cd. "invito-trappola") in detto luogo al solo scopo di essere soppressa da due persone, almeno una delle quali di corporatura robusta, e per di più in possesso di un corpo contundente e di uno stiletto.
Non è dato comprendere, infatti, come avrebbe mai potuto la vittima, senza riportare alcuna piccola lesione, manifestare cotanta reazione, quantomeno nei confronti di Silvana Agresta, provocandole oltre 20 lesioni ecchimotiche o escoriate (v.si verbale di ispezione personale dell'Agresta in data 10.8.93), ove Cinzia fosse stata effettivamente oggetto di una premeditata (ed immediata) aggressione da parte di almeno due persone, armate e in grado di immobilizzarla, che la stavano attendevano al varco.
Tali elementi di fatto, non esaminati dai giudici della cognizione, i quali non valutarono nemmeno la significativa telefonata fatta in ufficio dalla vittima la stessa mattina alle ore 08,30, nel corso della quale Cinzia pregò le proprie colleghe di non riferire al marito Massimo Pisano, qualora l'avesse cercata al telefono, che ella si era assentata prendendo un giorno di ferie (cfr. Valletta, trascr. ud. 14.7.94, fol. 5), valutati congiuntamente ai nuovi, consentono di affermare con certezza che l'omicidio non fu premeditato e che non si trattò di "invito-trappola", bensì di un blitz effettuato in Riano da Cinzia Bruno, all'insaputa del marito Massimo Pisano, peraltro espressamente preannunziato dalla vittima alla propria amica intima e collega Soricelli Stella, con cui Cinzia l'aveva addirittura anche già concordato (cfr. Soricelli Stella, dichiarazioni cit.).
La documentata esclusione della premeditazione, rende già di per sé arduo ipotizzare il concorso dell'imputato Massimo Pisano in un delitto conseguente ad un improvviso blitz di Cinzia Bruno, effettuato dalla vittima in Riano, presso l'abitazione dell'Agresta, pacificamente all'insaputa dell'imputato.
Comunque, pur volendo comprimere i tempi del delitto (per farli rientrare con quelli, comunque scarsissimi, del Pisano), i "nuovi" dati di prova generica, nel caso di specie legati a fenomeni chimico-fisiologici del corpo umano acquisiti nel presente giudizio di revisione, dimostrano l'erroneità, sul punto, delle conclusioni cui pervennero i giudici di cognizione.
L'imputato Massimo Pisano, stando a quanto (erroneamente) riferito dalla stessa sentenza di condanna, avrebbe avuto circa 90 (in realtà 60, cfr. cap. B, par. 2-M) minuti di tempo, ed anche ritenendo che gli fosse stato possibile impiegare solo 40 minuti (in realtà circa 60, cfr. cap. B, par. 5) per il tragitto Roma-Riano-Roma, trascurando la sosta di almeno 5-10 minuti per effettuare il duplicato delle 4 chiavi (ampiamente provata dagli scontrini in atti, dai quali risulta l'orario 11,26 del 4.8.1993, cfr. vol. 4, ud. 3.10.94, fol. 11), è sufficiente la comune conoscenza della fisiologia umana ad imporre un intervallo di almeno un'ora (e comunque più dei soli "diversi minuti" che i giudici di cognizione "concessero" al Pisano) fra l'inizio dell'ingestione dei farmaci ed il decesso della vittima, quand'anche si voglia ridurre ad un'ora e ½ il riferimento temporale massimo di due ore indicato dal prof. Furnari.
Infatti, i testi Elisa Marronaro e Giacinto Santella udirono invocazioni di una donna "prima di mezzogiorno" (secondo il fol. 62 sent. I grado - recte "intorno a mezzogiorno" secondo i testi).
Pertanto, anche stando ai calcoli (comunque erronei) della sentenza di cognizione, l'imputato Pisano al più tardi alle ore 11,05 avrebbe dovuto necessariamente lasciare la mansarda dell'Agresta, e cioè almeno 1 ora prima della consumazione del delitto.

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Autore: Barbara Auleta


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