Cass. pen., Sez. III, (ud. 13 aprile 2012) 08 maggio 2012, n. 16990
La paternità di quest’affermazione è della Terza Sezione penale, la quale è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di un sequestro preventivo, disposto ai sensi dell’art. 6, comma 1 bis, D.L. 6 novembre 2008, n. 172 (Misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania, nonché misure urgenti di tutela ambientale), convertito, con modificazioni, dalla L. 30 dicembre 2008, n. 210[1].
La disposizione incriminatrice testé citata, che trova applicazione limitatamente ai territori in cui vige lo stato di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti dichiarato ai sensi della L. 24 febbraio 1992, n. 225[2], sanziona una fitta schiera di condotte, che integrano rispettivamente figure delittuose, contravvenzionali e illeciti amministrativi. L’ultimo capoverso di questa lunga norma, aggiunto in sede di conversione, prevede l’obbligatorietà del sequestro preventivo dell’eventuale veicolo utilizzato per porre in essere una delle fattispecie penali de quibus. Tale misura cautelare reale è finalizzata alla confisca obbligatoria del mezzo di trasporto, prevista dallo stesso alinea in caso di condanna.
Nella vicenda esaminata dalla Suprema Corte alla persona sottoposta alle indagini erano state sequestrate una “pala gommata” e una “macchina operatrice semovente”, impiegate per il trasporto non autorizzato di rifiuti. Sulla richiesta di restituzione di questi mezzi di movimentazione terra si erano pronunciati negativamente dapprima il G.I.P. del Tribunale di Salerno e poi lo stesso Tribunale, che aveva rigettato l’appello proposto ex art. 322 bis c.p.p.
Contro il provvedimento del giudice collegiale proponeva ricorso per Cassazione, ai sensi dell’art. 325 c.p.p., il difensore dell’indagato, adducendo una serie di motivi. In particolare, secondo quest’ultimo, i beni sequestrati non erano sussumibili nella categoria veicolare, per cui il ricordato comma 1 bis dell’art. 6 D.L. cit. era stato erroneamente applicato.
Tale tèsi è stata condivisa dalla Corte regolatrice, ad avviso della quale, le pale meccaniche e gli escavatori non sono sequestrabili e confiscabili, in quanto rappresentano degli strumenti di lavoro e non dei mezzi di trasporto. Richiamando una decisione afferente a una vicenda analoga[3], il Giudice nomofilattico ha, infatti, chiarito che laddove, in deroga alla littera legis, si estendesse l’applicazione della norma in questione anche a macchine operatrici non qualificabili come veicoli, si darebbe luogo a un’interpretazione in malam partem, che non ha cittadinanza nel nostro sistema penale, ispirato al principio di legalità e ai suoi sotto-principi (in primis, la tassatività o sufficiente determinatezza della fattispecie penale).
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[1] Sull’argomento, vedi Vergine, Nuovi orizzonti del diritto penale ambientale, in Ambiente svil., 2009, 1, 5.
[2] La legittimità costituzionale della disciplina penale in commento, diversa da quella vigente nelle altre aree geografiche dello Stato, è stata confermata dal Giudice delle leggi con la sentenza 5 marzo 2010, n. 83. In relazione a tale pronuncia, cfr. Aa.Vv., L’emergenza rifiuti e la ragionevolezza di un aggravamento territoriale del trattamento penale di determinate fattispecie, in Leg. pen., 2010, 2, 256; De Martino, Salsano, Rifiuti: legittima la linea dura nelle aree in stato di emergenza, in Ambiente svil., 2010, 6, 526; De Sanctis, Disciplina penale dell’emergenza rifiuti in Campania, ivi, 2011, 2, 116.
[3] Vedi Cass. pen., Sez. III, 8 aprile 2003, n. 23945, in Riv. pen., 2004, 463; adde, Id., Sez. III, 6 giugno 2006, n. 19407, in CED Cass., 2006.