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Le “anti-suit injunctions” nel common law

Con tale termine si fa riferimento ad un particolare tipo di azione inibitoria, diffusa in tutti i Paesi di common law, tramite la quale il giudice può far divieto ad un individuo di intraprendere o continuare in un altro Paese un dato procedimento giudiziario, sulla base della considerazione che la competenza su quella controversia appartiene ad una Corte statale od arbitrale del suo Paese.
Gli obiettivi dell’anti-suit injunction possono essere diversi. In genere però lo scopo principale di tale strumento è quello di assicurare il rispetto di una clausola di elezione del foro (giurisdizionale od arbitrale) o di scelta del diritto applicabile inserita all’interno di un contratto internazionale. Essa viene dunque pronunciata dal giudice - su richiesta di parte - per obbligare il soggetto inadempiente a rispettare gli obblighi derivanti dalla sottoscrizione di tali clausole.
I giudici di common law possono pertanto impedire, per il tramite dell’anti-suit injunction, che si verifichi la violazione di un accordo arbitrale o di una clausola di scelta del foro posta in un contratto internazionale, a meno che non sussista una “giusta causa”, “buona ragione” o “giusta ragione” che motiva il non rispetto di tale accordo, nel qual caso il giudice si asterrà dal pronunciare l’ingiunzione. 

L’anti-suit injunction rappresenta l’espressione di un potere discrezionale dei giudici di common law più ampio di quello di cui godono i loro colleghi di civil law. Tale strumento viene normalmente giustificato in quanto rimedio al fenomeno del forum shopping, e dunque quale dispositivo giuridico volto a porre un freno alla tendenza, da parte dei contraenti di un contratto internazionale, a indirizzare le controversie davanti al giudice dello Stato la cui legislazione risulti offrire l’esito a loro più favorevole. Tuttavia, il fatto che una simile ingiunzione provochi una interferenza con la giurisdizione straniera, comporta l’esigenza di circoscriverne il ricorso da parte del giudice, e dunque ad utilizzarlo con una certa cautela e solo se l’interesse generale della giustizia lo richiede .
L’anti-suit injunction è uno strumento che ha origini assai antiche. Esso si sviluppa in Inghilterra nel XV° secolo e la sua evoluzione è strettamente legata al concetto, tipico del diritto anglosassone, di equity . Inizialmente tale rimedio era disposto dal Chancellor per impedire alle parti litiganti di instaurare la propria controversia innanzi a più tribunali interni al solo scopo di ostacolare o ritardare l’esito del procedimento (cd. “common anti-suit injunction”). Concepita dunque al fine di impedire l’abuso del ricorso allo strumento processuale all’interno dell’ordinamento inglese, tale strumento è stato gradualmente esteso ai procedimenti giudiziali al di fuori del territorio inglese. In seguito, l’utilizzo dell’ingiunzione è stato ammesso anche per bloccare i procedimenti avviati davanti altre autorità giurisdizionali all’estero.  L’antisuit injunction “comune” è stata in seguito abolita dall’art. 24(5) del Judicature Act del 1873. A partire da tale data periodo, il rimedio in questione è dunque utilizzabile esclusivamente per bloccare i procedimenti giudiziali avviati all’estero.

Nel caso in cui le parti non rispettano l’inibitoria, si espongono ad essere perseguiti per oltraggio alla Corte (contempt of Court), reato che comporta la sanzione fino alla detenzione o la confisca dei beni posseduti nel territorio del Regno Unito. Di fatto quindi, attraverso tale rimedio, è possibile obbligare un soggetto - dietro la minaccia di incorrere in pesanti sanzioni penali - a non intentare o ad abbandonare un'azione giudiziaria che ha esperito di sua iniziativa dinanzi al proprio giudice naturale.
L’anti-suit injunction inglese rimane l’azione più controversa, e dunque la più interessante da analizzare, la cui base giuridica si rinviene nell’art. 37, n. 1, del Supreme Court Act del 1981 , il quale dispone che: «La High Court è competente a pronunciare un’ingiunzione (provvisoria o definitiva) in tutti i casi in cui essa lo ritenga opportuno».
La natura controversa di tale strumento deriva dal fatto che la sua applicazione all’interno dell’Unione è preclusa, stante la sua contrarietà al diritto comunitario. Di conseguenza le corti inglesi lo possono emanare unicamente per bloccare procedimenti avviati all’esterno della Comunità europea.
La preclusione all’utilizzo di tale strumento all’interno dell’Unione Europea deriva in particolare dalla sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee 27 aprile 2004 (Causa C-159/02), “Turner c. Grovit”. Nel caso di specie, la House of Lords inglese proponeva una domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte, per chiederle se l’ingiunzione con cui il giudice inglese può vietare ad una parte di un procedimento pendente in un tribunale statale del Regno Unito di intentare o proseguire un’azione giudiziaria dinanzi ad un organo giurisdizionale di un altro Stato contraente, fosse compatibile con la Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. Nella sentenza in questione, la Corte di Giustizia CE ritiene che l’emanazione di una tale inibitoria non sia ammissibile, in quanto contraria alla Convenzione in oggetto, perfino nell’ipotesi in cui il procedimento estero è avviato da una parte in mala fede, al puro scopo di ostacolare un procedimento già pendente davanti ad una giurisdizione nazionale. Il divieto di avviare o di continuare un’azione dinanzi ad un organo giurisdizionale di un altro Stato contraente costituirebbe infatti, secondo la Corte, un’ingerenza nella competenza di tale organo, incompatibile con il sistema della Convenzione (il riferimento è al cd. “principio della reciproca fiducia”, che è il meccanismo cardine della Convenzione), il quale presume un certo affidamento ad opera degli Stati-parte nei rispettivi sistemi giuridici ed istituzioni giudiziarie, rinunciando alle loro norme interne di riconoscimento e di delibazione delle sentenze straniere a favore di un meccanismo semplificato di riconoscimento e di esecuzione delle decisioni giudiziarie.

Anti-suit injunctions e lodi arbitrali

La English Commercial Court per la prima volta nel settembre 2007, ha emanato un’anti-suit injunction per bloccare l’impugnazione all’estero di un lodo arbitrale emesso a Londra (da arbitri inglesi). La questione riguardava la violazione dei termini di un contratto di assicurazione la cui polizza, sebbene deferisse ad arbitri inglesi eventuali controversie nascenti dal contratto, individuava come legge applicabile quella dello Stato di New York. L’assicuratore, a seguito della pronuncia di una decisione sfavorevole da parte degli arbitri inglesi, aveva minacciato di ricorrere davanti un Tribunale statunitense, sostenendo che il lodo non rientrasse nella Convenzione di New York sul riconoscimento ed esecuzione dei lodi arbitrali e che fosse pertanto annullabile per errore ai sensi dell’art. 202 del Federal Arbitration Act (FAA)  americano. L’assicurato richiedeva di conseguenza al giudice inglese di emanare un’anti-suit injuntion per impedire all’assicuratore di avviare il procedimento negli USA.
Il tribunale inglese, accolta la richiesta di quest’ultimo, motivava la concessione dell’ingiunzione con il fatto che il lodo era definitivo e vincolante per le parti, per via del fatto che esse avevano individuato nella polizza come giurisdizione esclusiva il Tribunale arbitrale inglese. In virtù di tale clausola infatti, la English Commercial Court sosteneva che si dovevano considerare attratte nella clausola di riserva di competenza non solo le eventuali controversie scaturenti dal contratto, ma anche i lodi arbitrali che le definivano, con la conseguenza che questi dovevano ritenersi impugnabili solo davanti ad una Corte inglese.
Nel contratto in oggetto non v’era inoltre alcun accordo espresso che consentiva di contestare il lodo in un luogo diverso da quello della sede dell’arbitrato. La scelta della legge di New York come legge che disciplinava il contratto, non poteva inoltre essere interpretata a giudizio della Corte come criterio implicito legittimante l’impugnazione del lodo innanzi ad una giurisdizione di tale Stato. Infine, il comportamento dell’assicuratore, il quale aveva minacciato di fare un passo che avrebbe rinnegato l’intera disciplina contrattuale nella quale le parti avevano incasellato il loro sistema di risoluzione delle controversie, veniva giudicato vessatorio, oppressivo, eccessivo e come un vero e proprio abuso.
Tuttavia, la conformità dell’anti-suit injuntion volta a far rispettare accordi arbitrali al diritto comunitario è anch’essa dubbia. La House of Lords ha presentato nel 2007, a tale proposito, una domanda pregiudiziale alla Corte di Giustizia delle CE nell’ambito della Causa West Tankers Inc c. RAS Riunione Adriatica di Sicurtà SpA, The Front Comor (Causa C 185/07), in particolare per verificare se l’anti-suit injunction è utilizzabile per far rispettare accordi arbitrali, e se ciò è compatibile con il Regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 2000, n. 44/2001, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. Con il ricorso in oggetto, la House of Lords chiede alla Corte di precisare se tali divieti sono inammissibili (così come deciso nella sentenza “Turner”) anche qualora siano dettati da ragioni di tutela di procedimenti arbitrali.

Nel Regno Unito infatti, i giudici sono soliti emanare inibitorie anche quando a loro giudizio una parte processuale, nell’adire un organo giurisdizionale di un altro Stato membro, ha violato un accordo arbitrale che attribuisce la competenza a un arbitro avente sede nel Regno Unito, come si è visto nel caso sopra citato della English Commercial Court. Essi sostengono infatti che la sentenza Turner non contraddica tale prassi, in quanto il Regolamento n. 44/2001 non si applica ai procedimenti arbitrali. L’Arbitration Act del 1996 per di più, stabilisce che i giudici nazionali possono pronunciare i medesimi provvedimenti urgenti previsti per i procedimenti giudiziari ordinari, compresa dunque l’anti-suit injunction. Può accadere inoltre che il giudice britannico neghi il riconoscimento e l’esecuzione ad una sentenza straniera emessa in violazione di una anti-suit injunction.
Questi i fatti di causa: nell’agosto 2000 la Front Comor, una nave appartenente alla West Tankers Inc noleggiata dalla Erg Petroli SpA, a Siracusa (Italia) urtava contro un molo portuale di proprietà della Erg Petroli, danneggiandosi. Il contratto di noleggio conteneva un accordo arbitrale in virtù del quale ogni controversia che sorgeva dal contratto doveva essere risolta in via arbitrale a Londra. Inoltre, esso individuava il diritto inglese come applicabile alle controversie nascenti in relazione ad esso. La RAS SpA, divenuta nel 1° ottobre 2007 Allianz SpA, e la Generali - Assicurazioni Generali, che avevano assicurato la Erg Petroli, risarcivano i danni causati dall’urto fino all’importo massimo della copertura assicurativa. Per la parte eccedente, la Erg Petroli avviava una procedura di arbitrato a Londra contro la West Tankers. Il 30 luglio 2003, la Allianz e e la Generali intentavano però un’azione contro la West Tankers dinanzi al tribunale di Siracusa per il rimborso degli importi versati alla Erg in base alle polizze di assicurazione. Le problematiche inerenti alla responsabilità sollevate dinanzi al tribunale di Siracusa erano sostanzialmente le medesime ricorrenti nel procedimento arbitrale.

La questione centrale in entrambi i casi era se la West Tankers potesse avvalersi della clausola di esclusione di responsabilità per errore di navigazione di cui al punto 19 del contratto di noleggio, o delle cosiddette Regole dell’Aja (ossia la Convenzione di Bruxelles del 1924 sull’unificazione delle regole sule polizze di carico, come modificata dai protocolli del 1968 e 1979) .
Il 10 settembre 2004, la West Tankers intentava un’azione contro la Allianz dinanzi alla High Court nel Regno Unito, chiedendo di dichiarare che la lite oggetto del procedimento di Siracusa sorgeva dal contratto di noleggio e che la Allianz e la Generali, ricorrente in virtù del diritto di surrogazione legale, erano pertanto vincolate all’accordo arbitrale. La West Tankers chiedeva inoltre un’anti-suit injunction che vietasse ai ricorrenti di adire altri organi giudiziari che non fossero la giurisdizione arbitrale, inibendo loro di continuare il procedimento avviato a Siracusa.
La High Court accoglieva tali conclusioni, osservando che, ai sensi della giurisprudenza della Court of Appeal, la sentenza Turner non osta all’emanazione di inibitorie a tutela di accordi arbitrali.
La causa in oggetto non è ancora giunta a definizione, ma dalle conclusioni dell’Avvocato generale, presentate lo scorso 4 settembre 2008, è possibile fare alcune riflessioni . La questione centrale è di verificare se i suesposti principi della sopra richiamata causa Turner si possano applicare ad «anti-suit injunctions» poste a tutela di accordi arbitrali.
L’avvocato generale, dopo aver premesso che la sentenza Turner è stata emessa sulla base della Convenzione di Bruxelles del 1968, mentre nella causa in oggetto trova applicazione, ratione temporis, il Regolamento n. 44/2001 (il quale ha sostituito la suddetta Convenzione), osserva che anche tale atto si basa sono sul principio della fiducia reciproca su cui si fonda la Convenzione di Bruxelles.
La House of Lords ritiene, proprio a causa dell’esclusione dell’arbitrato dal campo di applicazione del Regolamento n. 44/2001 (ex art. 1, par. 2: “ Sono esclusi dal campo di applicazione del presente regolamento: … d) l’arbitrato …”), che la giurisprudenza Turner non possa applicarsi al caso di specie. Le «anti-suit injunctions» sono infatti volte a sostenere l’instaurazione di un procedimento arbitrale, per cui i procedimenti che portano alla loro emanazione rientrerebbero anch’essi nel campo di esclusione contemplato all’art. 1, n. 2, lett. d), del Regolamento n. 44/2001.
Tale tesi, secondo l’Avvocato generale, non è tuttavia sostenibile in quanto la Corte, nella sentenza Turner, ha considerato in contrasto con la Convenzione di Bruxelles proprio gli effetti che una «anti-suit injunction» può avere sul procedimento straniero, nonostante tale azione, in quanto provvedimento di ordine procedurale, rientri unicamente nell’ambito di applicazione della legge nazionale. Il principio della reciproca fiducia inoltre, può risultare violato anche per il fatto che una decisione del giudice di uno Stato membro che non ricade nell’ambito di applicazione del Regolamento n. 44/2001, ostacoli l’esercizio da parte del giudice di un altro Stato membro delle attribuzioni conferitegli dal regolamento stesso. Viene richiamata in proposito la sentenza Hagen (Sentenza 15 maggio 1990, causa C-365/88), in base alla quale l’applicazione delle norme processuali nazionali – si tratta in specie delle condizioni di ammissibilità di un’istanza – non deve compromettere l’effetto utile della Convenzione di Bruxelles (1968) .

Sulla base delle considerazioni che precedono, l’Avvocato Generale propone pertanto di dichiarare le anti-suit injunction incompatibili con il Regolamento (CE) del Consiglio 22 dicembre 2000, n. 44/2001, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale.

 

 

 


Autore: Danilo Desiderio


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