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Tassa sulle societa’
I rapporti tra cittadini e Stato risultano sempre più pregiudicati, a fronte dell’atteggiamento vessatorio assunto da quest’ultimo. All’indomani di censurate prese di posizione già positivamente enunciate dal nostrano legislatore, la stessa Giurisprudenza parrebbe ormai aver ricondotto i rapporti Stato-cittadino nell’alveo di censurabili principi di diritto, almeno negli effetti,funzionali a una gestione dialettica dei rapporti ispirata a una cruda riaffermazione di vera “forza”. Il Supremo organo giurisprudenziale in materia civile (le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione), risulta aver affrontato la materia dei rimborsi dei crediti vantati dalle Società di capitali (in ogni loro tipologia) per le tasse di concessione governativa da esse versate all’Erario, in ottemperanza all’obbligo imposto dall’art. 3 D.L. n. 853/84 e sue successive modificazioni. Come noto, con sentenza 20.4.93 la Corte di Giustizia Cee (C-71/91 e C-178/91) ha rilevato il contrasto della predetta normativa interna con i principi posti dalla direttiva comunitaria 17.7.69 69/355/Cee, attinente alla imposizione indiretta sulla raccolta di capitali. La Corte di Giustizia Cee ha infatti stabilito che il tributo, così come in concreto imposto dallo Stato italiano ai sensi della richiamata normativa, in ragione della prima iscrizione e dell’iscrizione annuale delle società di capitali nei registri commerciali, viola i principi imposti dall’orientamento comunitario. A tale pronuncia, risultano essere seguite numerosissime azioni giudiziarie promosse dalle società contribuenti e volte a ottenere il rimborso dei tributi imposti normativamente e, per l’appunto, a seguito della pronuncia della Corte Cee, illegittimamente. Le domande di rimborso sono state accolte dalle varie Corti di merito della Repubblica, almeno sin tanto che la questione non è stata sottoposta al vaglio della Corte di Cassazione la quale, a Sezioni Civili Unite (sentenza n. 3458/96), pur prendendo doverosamente atto dell’illegittimità della pretesa tributaria fatta valere dallo Stato italiano, ha peraltro di fatto costretto a dismisura (si tratta infatti di tributi relativi alle annualità 1984-1992) la possibilità per le società contribuenti di ottenere il rimborso delle somme versate all’Erario. Va peraltro osservato che una possibilità concreta di recuperare il maltolto risultava resa assai problematica dagli innumeri lacci e lacciuoli posti avverso un tempestivo rimborso dall’Erario al contribuente. La Cassazione risulta infatti aver statuito come i versamenti eseguiti dalle società contribuenti, peraltro imposti da norma cogente e sotto comminatoria di aspre sanzioni, vadano qualificati come “erronei pagamenti”, per farne quindi discendere il maturarsi della decadenza dalla possibilità di attivarsi per il rimborso, una volta decorso il triennio dall’eseguito pagamento. Al di là delle complesse implicazioni giuridiche connesse alla pronuncia adottata, val la pena sottolineare come, il ricondurre e qualificare un pagamento imposto da una norma (quantunque illegittima, in quanto e solo a posteriori riconosciuta in contrasto con l’Ordinamento comunitario) a carico dei contribuenti come “erroneo” finisce per suonare come una beffa per il contribuente,il quale sarebbe incorso in “errore” (?….) nel pagare il balzello impostogli; dovendo pertanto egli stesso farsi carico delle conseguenze dell’errore in cui sarebbe incorso e che, proprio perché assunto come “erroneo” gli precluderebbe la possibilità di fidare nell’operatività del ben diverso termine di prescrizione ordinaria decennale (come peraltro le Corti di merito avevano ripetutamente affermato). Al fine di scongiurare il maturarsi di brucianti decadenze determinate dal proprio “errore” il cittadino-contribuente .... non dovrebbe evadere i tributi illegittimi... pur anche nell’ipotesi che tale illegittimità non sia stata frattanto accertata e solennemente dichiarata (e in proposito un termine triennale per il nostrano apparato di giustizia parrebbe utopico), pretendendosi in tal modo dal contribuente una prognosi circa l’illegittimità del tributo, esponendosi alle pesantissime conseguenze del proprio comportamento, e sperando che la diagnosi della rilevata illegittimità venga riconosciuta e dichiarata giudizialmente, almeno in tempo utile per scongiurare il possibile annientamento dell’azienda, inadempiente di fronte ad una normativa fiscale pur sempre, almeno fino a pronuncia definitiva contraria, cogentemente efficace.
E allora, il contribuente, nei rapporti con l’Erario, dovrebbe costruirsi acutissimo cultore del diritto (per l’appunto anche comunitario), tanto sconsiderato da sfidare l’Erario, in attesa che il Giudice adito prontamente ed effettivamente ristabilisca le regole violate; il tutto sempre fatti salvi, nelle more, i possibili accomodamenti normativi (e anche nella fattispecie all’esame la cronaca già narrava, ovviamente nel periodo antecedente la richiamata pronuncia delle S.U. della Cassazione, di “misure allo studio”), ovviamente a carico del contribuente e nella primaria e assorbente necessità di far fronte al dissesto delle casse erariali. Esigere con un minimo di serietà un tale comportamento, con tutti i connessi ardui atti di fede appare eccessivo, non potendosi due volte riversare sul cittadino le conseguenze negative dell’illegittima produzione normativa statuale. Un ordinamento fondato su tali principi, non pare poter legittimamente fregiarsi della qualifica di evoluto, men che meno legittimato a fare ingresso, non solo formale, nel sovraordinato ordinamento comunitario. I rapporti tra il cittadino-contribuente e Ordinamento comunitario (e comunque Ordinamento statuale sottordinato) non possono certo risultare ispirati all’idea medievale del rapporto di vassallaggio. La ben nota giurisprudenza della Corte di Giustizia Cee risulta di già aver enunciato l’ovvio principio (per un Ordinamento evoluto) secondo il quale: fintanto che una direttiva non è stata correttamente trasposta nel diritto nazionale, i singoli non sono in grado di avere piena conoscenza dei loro diritti. Solo la corretta trasposizione della direttiva porrà fine a tale stato di incertezza e solo al momento ditale trasposizione si è creata la certezza giuridica necessaria per pretendere dai singoli che essi facciano valere i loro diritti. Fino al momento dell’esatta trasposizione della direttiva, lo Stato membro inadempiente non può eccepire la tardività di un’azione giudiziaria avviata nei suoi confronti da un singolo. Un termine di ricorso di diritto nazionale non può iniziare a decorrere prima di tale momento. I principi generali e fondamentali enunciati dalla direttiva Cee dovrebbero essere rispettati da qualsiasi giudice comunitario, ivi compresa la nostra Corte di Cassazione. Nessun termine decadenziale, in subiecta materia, potrebbe quindi decorrere anteriormente al 30.8.1993, data nella quale lo Stato Italiano (ottemperando al richiamo della Corte di Giustizia Cee) ha correttamente trasposto (con D.L.n.331/93) nell’ordinamento interno l’assorbente direttiva comunitaria. In ragione dei predetti principi si auspica che in tema dì tassa sulle Società non sia ancora sceso il sipario (neanche del funesto silenzio), nella essenziale e necessaria esigenza di veder effettivamente riaffermati i principi essenziali in uno Stato di diritto alle soglie del terzo millennio, o che almeno tale aspiri a essere, a pieno titolo qualificato. Su tale ordine di argomentazioni si sono fondate le prime pronunce (frattanto del Tribunale e della Corte di Appello di Firenze) che, coraggiosamente, hanno avuto l’ardire di sconfessare l’assunto professato pur dal massimo Organo giudiziario civile della Repubblica che, rimane da sperare,ci si auspica provveda a operare un neanche tanto disonorevole revirement, allontanando altresì il dubbio ingenerabile nel cittadino di pronunce adottate allo scopo di avallare l’intendimento del Governo di evitare aggravi (quantificabili in importi addirittura eccedenti le varie “manovrine” di aggiustamento) alle esamini casse erariali pur a costo di riaffermare un’inaccettabile ragion di Stato, con correlativa abdicazione di imprescindibili principi sui quali pur sempre si fonda un Ordinamento civile, tale per conquista e non per mera e vuota enunciazione di principio.

Gigno 1996

Autore: Avv. Giorgio Valentini


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