Internet genera quotidianamente problemi giuridici: alcuni sono innovativi e fondamentali per lo sviluppo e l’aggiornamento del diritto, altri no. La proprietà intellettuale fa parte sicuramente della prima categoria.
Il 9 Febbraio a Milano la W.I.P.O. (World Intellectual Property Organization) ha organizzato, in collaborazione con il Ministero dell’Industria e del Commercio Estero, un convegno sulla proprietà intellettuale in rete e il suo riflesso sulle piccole e medie imprese. L'obiettivo principale di tale manifestazione, alla quale ha partecipato, tra gli altri, Giuliano Amato, è stato quello di rivedere il ruolo della proprietà intellettuale in relazione al costante aumento di competitività delle piccole e medie imprese ed in relazione all'importanza di una sua tutela per i governi, per l’industria, per i mercati e per i consumatori di tutto il mondo.
A livello normativo, l’art. 1 della legge Italiana sul diritto d’autore (1), che ricalca l’art. 2575 c.c.(2), e la Convenzione di Berna sulla protezione delle opere letterarie ed artistiche (ratificata e resa esecutiva con legge 399-78), offrono tutela a tutte quelle opere di ingegno dotate di un quid novi di creatività, vale a dire un apporto personale dell’autore necessario a differenziare la sua opera dalle altre (3).
Anche i contenuti presenti nella rete sono potenzialmente tutelati dalle stesse norme, ma Internet, usando standard aperti, oltre che provocare un'espansione prodigiosa del numero di utenti, ha fatto nascere due nuovi fattori che rendono ancora più difficile la tutela del copyright:
Ø L’extraterritorialità: pubblicare un opera su internet significa pubblicare quell’opera in tutto il mondo
Ø L’immaterialità: la tutela della proprietà intellettuale arranca dietro la costante evoluzione tecnologica
Per quanto riguarda il primo punto, fin dal 1988, la Commissione Europea, si preoccupava di realizzare un documento (il c.d. "libro verde") per indicare le linee guida per l’armonizzazione sul tema della tutela della proprietà intellettuale nella società dell’informazione fra le legislazioni dei vari paesi membri.
In seguito vi sono stati altri importanti stimoli da parte della Comunità Europea, fra cui è opportuno citare Direttiva 93/98/CEE del Consiglio, del 29 ottobre 1993, concernente l'armonizzazione della durata di protezione del diritto d'autore e di alcuni diritti connessi e la Direttiva 91/250/CEE relativa alla tutela giuridica dei programmi per elaboratore nonchè Proposta modificata di direttiva CE del Parlamento europeo e del Consiglio sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e dei diritti connessi nella società dell'informazione (presentata dalla Commissione il 21 maggio 1999).
Senza nulla togliere agli importanti obiettivi raggiunti a livello europeo, non possiamo, però, ritenere che la tutela della proprietà intellettuale sia un problema risolto omogenamente in tutta Europa; sono, ad esempio, rimasto molto perplesso per la decisione presa dal Tribunale di Rotterdam che ha ritenuto lecita la pratica del “deep linking”, ovverossia, la possibilità per un sito di linkare alle pagine interne di un altro sito senza passare dalla home page. Nel caso di specie, un sito di notizie on line, effettuava collegamenti ipertestuali alle pagine di un sito concorrente direttamente alle notizie ritenute di interesse. La violazione della proprietà intellettuale in questo caso mi sembra evidente, non tanto per il “deep link” in sé, quanto per la lesione derivata dalla diminuizione degli utenti che va ad incidere sugli introiti pubblicitari e che può configurarsi, pacificamente, come un atto di concorrenza sleale. Così è sembrato, ben tre anni prima, anche al Tribunale di Milano (Ordinanza 8 aprile 1997) che giudicò illlecito, sotto il duplice profilo della concorrenza sleale e del diritto d’autore, il comportamento di una società che pubblicava le informazioni utili per i suoi clienti, riproducendo articoli tratti da pubblicazioni della società ricorrente. Sempre in tema di deep link è utile a questo proposito un richiamo alla recente ordinanza del Tribunale di Parigi.
Se, però, il problema della extraterritorialità è ricco di documentazione e ci si sta avviando attraverso la lunga e tortuosa strada dell’armonizzazione, la tematica della immaterialità della rete desta molte più preoccupazioni e perplessità. Internet, permette, grazie all’estrema fungibilità e varietà dei software attualmente in mercato, di nascondere con molta facilità le “prove” di una violazione di proprietà intellettuale: tutti noi “navigatori” abbiamo sperimentato, almeno una volta, l’ebbrezza del “copia e incolla” o l’intensa gioia di aver scaricato, gratuitamente, un brano musicale da Napster. http://www.e-jus.it/db/data/Napster_6-2-01.htm Per capire l’immaterialità della rete, è estremamente educativo commentare la sentenza sul caso Napster che avrebbe dovuto cancellare il fenomeno Peers to Peers (P/P), ovvero la possibilità di condividire determinati file con una comunità virtuale di utenti che hanno come denominatore comune il fatto di avere scaricato il medesimo software di gestione dati.
La sentenza del Giudice Federale di San Francisco del 26 Luglio ha imposto a Napster il blocco delle attività illecite, ritenendo sufficiente eliminare il formato MP3 e non comprendendo il sottile dilemma tecnico, per cui il formato MP3 non è in sè illegale, poichè permette solamente di comprimere file audio. Impedendo quel formato si impedirebbero tanti utilizzi leciti di MP3. Ancor più grottesca, forse, l’affermazione del Giudice, successiva alla ovvia sospensione della sentenza a seguito dell’appello proposto dagli avvocati di Shawn Fanning, inventore del software: “Napster ha creato quel software, ed è Napster che deve trovare il modo di impedire agli utenti di copiare materiale protetto”.
Il problema attuale in tutti i settori dove internet invade la proprietà intellettuale, non è tanto quello di individuare gli illeciti, quanto quello di trovare la tecnologia necessaria alla loro repressione o alla loro prevenzione e quello di valutare l’incidenza giuridica di terzi che non partecipano direttamente, ma solo indirettamente alla loro commissione.
In questo contesto la W.I.P.O. si è proposta di lanciare nel congresso del 9 a Milano, ma ancora più in quello del 20 a Ginevra, un programma di cooperazione tra i vari stati per una maggiore omogeneità nella tutela della proprietà intellettuale.
La sfida più interessante e più remunerativa potrebbe essere quella di proporre delle modalità di risoluzione stragiudiziale delle controversie in tema di proprietà intellettuale, alla luce del successo ottenuto nel settore dei domain name. Basti pensare che la W.I.P.O. in meno di un anno sono ha avuto più di 1491 procedure per la riassegnazione di domain name. I tempi sono stati brevissimi (737 sono già state decise) e i costi vanno da 1500 US$ per un solo arbitro a 3000 US$ per un collegio.
Note: 1 Art. 1 Legge n. 633 del 22 aprile 1941 (l.d.a.) Sono protette ai sensi di questa legge le opere dell'ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all'architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione. Sono altresì protetti i programmi per elaboratore come opere letterarie ai sensi della convenzione di Berna sulla protezione delle opere letterarie ed artistiche ratificata e resa esecutiva con legge 20 giugno 1978, n. 399, nonché le banche di dati che per la scelta o la disposizione del materiale costituiscono una creazione intellettuale dell'autore. 2 Art. 2575 Codice Civile: Oggetto del diritto Formano oggetto del diritto di autore le opere dell'ingegno di carattere creativo che appartengono alle scienze, alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all'architettura, al teatro e alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione. 3 Cass., 2 dicembre 1993, n. 11953
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