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Tribunale europeo 15.10.2009 Procedimento di dichiarazione di nullità del marchio comunitario TiMi KiNDERJOGHURT – Marchio denominativo anteriore KINDER

«Marchio comunitario – Procedimento di dichiarazione di nullità – Marchio comunitario figurativo TiMi KiNDERJOGHURT – Marchio denominativo anteriore KINDER – Impedimento relativo alla registrazione – Assenza di somiglianza dei segni – Opposizione anteriore – Assenza di autorità di cosa giudicata – Art. 8, nn. 1, lett. b), e 5, nonché art. 52, n. 1, lett. a), del regolamento (CE) n. 40/94 [divenuti art. 8, nn. 1, lett. b), e 5, nonché art. 53, n. 1, lett. a), del regolamento (CE) n. 207/2009]»

Nella causa T‑140/08,

Ferrero SpA, con sede in Alba, rappresentata dagli avv.ti C. Gielen e F. Jacobacci,

ricorrente,

contro

Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), rappresentato dal sig. D. Botis, in qualità di agente,

convenuto,

controinteressata nel procedimento dinanzi alla commissione di ricorso dell’UAMI:

Tirol Milch reg.Gen.mbH Innsbruck, con sede in Innsbruck (Austria),

avente ad oggetto un ricorso proposto contro la decisione della seconda commissione di ricorso dell’UAMI 30 gennaio 2008 (procedimento R 682/2007‑2), relativa a un procedimento di dichiarazione di nullità tra la Ferrero SpA e la Tirol Milch reg.Gen.mbH Innsbruck,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Seconda Sezione),

composto dalla sig. ra I. Pelikánová, presidente, dalla sig.ra K. Jürimäe (relatore) e dal sig. S. Soldevila Fragoso, giudici,

cancelliere: sig.ra B. Pastor, cancelliere aggiunto

visto il ricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 14 aprile 2008,

visto il controricorso depositato presso la cancelleria del Tribunale il 22 luglio 2008,

in seguito all’udienza dell’11 marzo 2009,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

 Fatti

1        L’8 aprile 1998 la Tirol Milch reg.Gen.mbH Innsbruck ha presentato all’Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI) una domanda di registrazione di marchio comunitario, ai sensi del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), come modificato [sostituito dal regolamento (CE) del Consiglio 26 febbraio 2009, n. 207, sul marchio comunitario (GU L 78, pag. 1)].

2        Il marchio del quale veniva chiesta la registrazione è il segno figurativo qui di seguito riprodotto:

 3        I prodotti per i quali veniva chiesta la registrazione rientrano nella classe 29 ai sensi dell’Accordo di Nizza 15 giugno 1957, relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, come riveduto e modificato, e corrispondono alla seguente descrizione:

«Yogurt, yogurt alla frutta, bevande allo yogurt, bevande allo yogurt contenenti frutta; alimenti pronti e semipronti a base prevalentemente di yogurt o di prodotti allo yogurt; creme allo yogurt».

4        Il 14 gennaio 1999 la ricorrente, Ferrero SpA, ha proposto opposizione avverso la registrazione del marchio richiesto per tutti i prodotti cui esso si riferisce basandosi sul proprio marchio denominativo anteriore KINDER, registrato in Italia dal 28 gennaio 1965 con il n. 168843 e, in seguito al rinnovo, con il n. 684985, per prodotti della classe 30 corrispondenti alla seguente descrizione: «Caffè, tè, zucchero, riso, tapioca, sago, succedanei del caffè; pane, biscotti, dolci, pasta per dolci e confetteria, gelati, miele, melassa, lievito e polvere per fare lievitare; sale, senape; pepe, aceto, salse; spezie; ghiaccio; cacao, prodotti di cacao, vale a dire pasta di cacao per bevande al cacao, pasta al cioccolato; strati, in particolare strati di cioccolato, cioccolato, praline, decorazioni in cioccolato per alberi di Natale, prodotti a base di cioccolato ripieno all’alcool, caramelle, confetteria, inclusa la pasta dura e morbida per dolciumi».

5        Con decisione 29 settembre 2000 la divisione di opposizione ha respinto l’opposizione in base a quanto disposto dall’art. 8, n. 1, lett. b), e n. 5, del regolamento n. 40/94 [divenuto art. 8, n. 1, lett. b), e n. 5, del regolamento n. 207/2009].

6        Tale decisione è stata successivamente confermata dalla quarta commissione di ricorso il 3 novembre 2003 nel procedimento R 1147/2000‑4.

7        In seguito al rigetto dell’opposizione, il marchio è stato pubblicato sul Bollettino dei marchi comunitari n. 42 dell’11 ottobre 2004.

8        Il 19 agosto 2005 la ricorrente ha presentato una domanda di dichiarazione di nullità della registrazione del detto marchio comunitario, ai sensi dell’art. 52, n. 1, lett. a), del regolamento n. 40/94 [divenuto art. 53, n. 1, lett. a), del regolamento n. 207/2009]. Tale domanda è stata presentata per tutti i prodotti contrassegnati dal marchio comunitario.

9        Richiamandosi all’art. 8, nn. 1, lett. b), e 5, del regolamento n. 40/94, cui rinvia l’art. 52, n. 1, lett. a), dello stesso regolamento, la ricorrente ha fatto valere, a sostegno della sua domanda di nullità, la registrazione italiana menzionata supra al punto 4, nonché altri 35 diritti anteriori italiani, francesi, spagnoli e internazionali, elencati al punto 5 del ricorso, contenenti tutti l’elemento «kinder» oltre a un elemento supplementare e/o elementi figurativi.

10      Con decisione 14 marzo 2007 la divisione di annullamento ha dichiarato la nullità del marchio comunitario TiMi KiNDERJOGHURT in applicazione dell’art. 8, n. 5, del regolamento n. 40/94.

11      Il 4 maggio 2007 la Tirol Milch reg.Gen.mbH Innsbruck ha proposto un ricorso dinanzi all’UAMI avverso la decisione della divisione di annullamento, ai sensi dell’art. 59 del regolamento n. 40/94 (divenuto art. 60 del regolamento n. 207/2009).

12      Tale ricorso è stato accolto con decisione della seconda commissione di ricorso 30 gennaio 2008 (in prosieguo: la «decisione impugnata»). La commissione di ricorso ha annullato la decisione della divisione di annullamento e ha respinto la domanda di nullità.

13      In sostanza, la commissione di ricorso ha ritenuto, anzitutto, che, benché le decisioni di opposizione non abbiano autorità di giudicato, la divisione di annullamento sarebbe vincolata dalle constatazioni e dalle conclusioni di merito delle precedenti decisioni dell’UAMI in forza del principio nemo potest venire contra factum proprium, secondo cui l’amministrazione è tenuta al rispetto dei propri atti, in particolare qualora tali atti abbiano consentito alle parti del procedimento di acquisire legittimamente diritti su un marchio registrato. In seguito, la commissione di ricorso ha confermato le constatazioni della decisione della divisione di opposizione e della decisione della quarta commissione di ricorso 3 novembre 2003, secondo cui i marchi erano complessivamente diversi, tenuto conto delle loro profonde differenze sul piano visivo e fonetico. Infine, essa ha respinto la domanda di nullità sulla base del rilievo che una delle condizioni di applicazione dell’art. 8, nn. 1, lett. b), e 5, del regolamento n. 40/94, vale a dire l’identità o la somiglianza dei segni, non risultava soddisfatta.

 Conclusioni delle parti

14      La ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        condannare l’UAMI alle spese.

15      L’UAMI conclude che il Tribunale voglia:

–        in via principale, respingere integralmente il ricorso;

–        condannare la ricorrente alle spese;

–        in via subordinata, ove ritenga che i segni non siano differenti, pronunciarsi sull’applicazione dell’art. 8, n. 5, del regolamento n. 40/94 se ritiene di disporre di elementi sufficienti, ovvero rinviare la causa all’UAMI per la prosecuzione del procedimento;

–        nell’ultimo caso, condannare l’UAMI a sopportare unicamente le proprie spese.

 Nel merito

16      A sostegno del suo ricorso la ricorrente deduce due motivi relativi, in primo luogo, all’erronea applicazione del principio dell’autorità della cosa giudicata e, in secondo luogo, alla violazione dell’art. 8, nn. 1, lett. b), e 5, del regolamento n. 40/94.

 Sul primo motivo, relativo all’erronea applicazione del principio dell’autorità della cosa giudicata

 Argomenti delle parti

17      Nell’ambito del presente motivo la ricorrente sostiene che la commissione di ricorso si è contraddetta affermando, da un lato, che le decisioni di opposizione sono prive dell’effetto negativo della cosa giudicata, poiché esse non sono di ostacolo alla ricevibilità di una successiva domanda di nullità, pur affermando, dall’altro, che siffatte decisioni non possono essere totalmente ignorate quando si tratta di statuire su una domanda di nullità successiva che vede contrapposte le stesse parti e che ha oggetto e motivi identici. Infatti, le decisioni di opposizione non avrebbero alcuna efficacia vincolante nell’ambito di un successivo procedimento volto alla dichiarazione di nullità. La ricorrente adduce, a tal riguardo, i seguenti quattro motivi.

18      In primo luogo, la ricorrente sostiene che gli elementi di fatto nuovi e le prove supplementari prodotti dinanzi alla divisione di annullamento, in particolare quelli che dimostrano la notorietà del marchio KINDER e della famiglia di marchi KINDER, sono sufficienti a modificare sensibilmente l’oggetto della controversia, in modo tale che le conclusioni tratte nella decisione di opposizione non sarebbero più pertinenti.

19      In secondo luogo, la distinzione operata dalla commissione di ricorso nella decisione impugnata tra l’«effetto positivo» e l’«effetto negativo» dell’autorità della cosa giudicata sarebbe artificiosa e infondata in diritto. O una decisione ha autorità di giudicato, oppure ne è priva.

20      In terzo luogo, il principio nemo potest venire contra factum proprium menzionato nella decisione impugnata sarebbe estraneo ai procedimenti amministrativi.

21      In quarto luogo, il rigetto di un’opposizione e la successiva registrazione di un marchio comunitario non possono creare una certezza giuridica né un legittimo affidamento per il titolare di un marchio, poiché la normativa offrirebbe la possibilità di contestare successivamente la registrazione nell’ambito di una domanda di nullità o di una domanda riconvenzionale proposta nel contesto di una causa di contraffazione.

22      La ricorrente trae dagli argomenti suesposti la conclusione che la decisione impugnata deve essere «disapplicata».

23      L’UAMI sottolinea, anzitutto, che esso concorda con l’affermazione contenuta nella decisione impugnata e nel ricorso secondo la quale, qualora il fondamento fattuale della controversia sia sensibilmente cambiato, la divisione di annullamento non è vincolata dall’esito del procedimento di opposizione nel caso in cui essa debba pronunciarsi su una nuova causa.

24      Successivamente, l’UAMI sostiene che, relativamente invece ai procedimenti i cui punti di fatto e di diritto sono identici, occorre effettuare un’importante distinzione tra, da un lato, l’«obbligo di coerenza» che un organo amministrativo preposto alla registrazione dei marchi deve osservare, applicando gli stessi principi giuridici a ogni procedimento e tenendo conto, per quanto possibile, di precedenti in casi identici o analoghi e, dall’altro, l’obbligo che graverebbe sul detto organo di giungere alla medesima conclusione del procedimento precedente, in ragione del carattere giuridicamente vincolante della decisione precedente adottata dallo stesso organo ovvero da un organo amministrativo o giudiziario superiore.

25      A tal riguardo, l’UAMI sostiene che l’«obbligo di coerenza» che si traduce nell’adozione di direttive interne, di note pratiche o di controlli di qualità più o meno vincolanti trova un limite, conformemente alla giurisprudenza, nel rispetto del principio di legalità. Ne conseguirebbe che un’autorità non può essere vincolata da una decisione precedente viziata da un errore. In particolare, poiché le decisioni relative alla registrazione di un segno come marchio comunitario, che l’UAMI deve adottare in forza del regolamento n. 40/94, rientrano nell’esercizio di una competenza vincolata e non di un potere discrezionale, la legalità di tali decisioni dovrebbe essere valutata unicamente sulla base del regolamento n. 40/94, come interpretato dal giudice comunitario, e non sulla base di una prassi decisionale anteriore dell’UAMI o delle sue commissioni di ricorso.

26      Di conseguenza, e indipendentemente dalla questione dell’applicabilità del principio nemo potest venire contra factum proprium, l’UAMI sostiene che, nel caso di specie, tale principio non può essere interpretato nel senso che la divisione di annullamento era vincolata dalle precedenti decisioni della divisione di opposizione o della commissione di ricorso adottate nello stesso procedimento.

27      Inoltre, tale interpretazione sarebbe conforme a una lettura a contrario dell’art. 62, n. 2, del regolamento n. 40/94 (divenuto art. 64, n. 2, del regolamento n. 207/2009), ai sensi del quale i motivi e il dispositivo delle decisioni delle commissioni di ricorso vincolerebbero soltanto il «primo organo», qualora la causa sia rinviata all’organo che ha emesso la decisione impugnata e nel caso in cui i fatti della causa restino gli stessi.

28      Peraltro, l’UAMI fa suo l’argomento della ricorrente secondo cui il rigetto di un’opposizione e la conseguente registrazione di un marchio comunitario non possono creare un legittimo affidamento.

29      Da quanto precede deriverebbe che la commissione di ricorso ha effettivamente commesso un errore di diritto ritenendo che la divisione di annullamento fosse stata vincolata dalla precedente decisione della divisione di opposizione.

30      Tuttavia, secondo l’UAMI, prima di annullare la decisione impugnata, si deve accertare se la commissione di ricorso si sia correttamente pronunciata nel merito della causa. Di conseguenza, ai fini della presente causa, occorrerebbe esaminare la fondatezza della decisione impugnata relativamente all’analisi effettuata dalla commissione di ricorso in merito alla somiglianza dei segni nell’ambito dell’art. 8, nn. 1, lett. b), e 5, del regolamento n. 40/94.

 Giudizio del Tribunale

31      Nell’ambito del motivo in esame, si deve esaminare la pertinenza, nel contesto di un procedimento di dichiarazione di nullità dinanzi all’UAMI, delle valutazioni effettuate e delle conclusioni accolte da una commissione di ricorso in una precedente decisione, intervenuta nell’ambito di un procedimento di opposizione tra le stesse parti e concernente il medesimo marchio comunitario.

32      A tale riguardo occorre osservare anzitutto che, indipendentemente dalla soluzione da fornire a tale questione, la commissione di ricorso ha effettuato, ai punti 32-46 della decisione impugnata, un esame autonomo e completo del merito della controversia e, segnatamente, della somiglianza dei segni in questione, che costituisce oggetto del secondo motivo della ricorrente.

33      Tutto ciò considerato, si deve concludere che, nonostante le constatazioni formulate al punto 30 della decisione impugnata, nella fattispecie la commissione di ricorso non ha applicato il principio dell’autorità della cosa giudicata. Di conseguenza, il primo motivo si basa su una premessa errata e deve, pertanto, essere respinto.

34      Tuttavia, prima di procedere all’esame del secondo motivo, si deve comunque rilevare che giustamente la commissione di ricorso ha affermato ai punti 17-29 della decisione impugnata che il principio dell’autorità della cosa giudicata, il quale richiede che il carattere definitivo di una decisione giudiziaria non sia rimesso in discussione, non era applicabile nell’ambito della relazione sussistente tra una decisione definitiva in materia di opposizione e una domanda di nullità, dal momento, in particolare, che, da un lato, i procedimenti dinanzi all’UAMI hanno natura amministrativa e non giurisdizionale e, dall’altro, che le disposizioni pertinenti del regolamento n. 40/94, vale a dire l’art. 52, n. 4, e l’art. 96, n. 2 (divenuti art. 53, n. 4, e art. 100, n. 2, del regolamento n. 207/2009), non prevedono una norma in tal senso.

35      Parimenti a giusto titolo la commissione di ricorso ha osservato, al punto 30 della decisione impugnata, che le affermazioni contenute nella decisione definitiva in materia di opposizione non potevano essere del tutto ignorate in sede di statuizione sulla domanda di nullità che vede contrapposte le stesse parti, relativa allo stesso oggetto e fondata sugli stessi motivi, a condizione che tali affermazioni ovvero i punti decisi non abbiano subìto variazioni a seguito di nuovi elementi di fatto, nuove prove o nuovi motivi. Infatti, tale affermazione è soltanto un’espressione particolare della giurisprudenza secondo la quale la prassi decisionale anteriore dell’UAMI costituisce un elemento che può essere preso in considerazione per valutare se un segno sia idoneo alla registrazione [v., in tal senso, sentenza del Tribunale 9 luglio 2008, causa T‑304/06, Reber/UAMI – Chocoladefabriken Lindt & Sprüngli (Mozart), Racc. pag. II‑1927, punti 45 e 53].

36      Per contro, la commissione di ricorso ha erroneamente ritenuto, al punto 30 della decisione impugnata, che, nell’ambito di un procedimento di dichiarazione di nullità, gli organi dell’UAMI fossero vincolati dalle constatazioni operate nella decisione definitiva resa nell’ambito del procedimento di opposizione, in virtù del principio nemo potest venire contra factum proprium, della tutela dei diritti acquisiti, nonché dei principi della certezza giuridica e della tutela del legittimo affidamento. Infatti, da un lato, se nessuna autorità di giudicato può attribuirsi alla decisione, anche se definitiva, resa nell’ambito di un procedimento di opposizione, tale medesima decisione non può creare diritti acquisiti né un legittimo affidamento per quanto attiene all’esito di un successivo procedimento di dichiarazione di nullità. Dall’altro lato, se l’argomentazione della commissione di ricorso al riguardo fosse accolta, la contestazione della registrazione di un marchio comunitario che sia stata oggetto di una decisione in materia di opposizione mediante una domanda di dichiarazione di nullità che vede contrapposte le stesse parti, relativa allo stesso oggetto e fondata sugli stessi motivi, sarebbe privata di qualsiasi effetto utile, sebbene essa sia possibile ai sensi del regolamento n. 40/94, come risulta dalle considerazioni sopra esposte.

37      Pertanto, è erronea la conclusione della commissione di ricorso circa il carattere vincolante delle constatazioni formulate nella decisione definitiva in materia di opposizione nell’ambito del successivo procedimento di nullità.

 Sul secondo motivo, relativo alla violazione dell’art. 8, nn. 1, lett. b), e 5, del regolamento n. 40/94

 Argomenti delle parti

38      Nell’ambito del secondo motivo, in primo luogo, la ricorrente ritiene che la notorietà dei suoi diversi marchi anteriori non sia stata adeguatamente tenuta in considerazione dalla commissione di ricorso.

39      A tale riguardo, anzitutto, essa ricorda che, da un lato, nel contesto dell’art. 8, n. 5, del regolamento n. 40/94, la notorietà e il carattere distintivo rivestono un «ruolo cruciale» e, dall’altro, nel contesto dell’art. 8, n. 1, lett. b), dello stesso regolamento, essi sono elementi essenziali per determinare l’esistenza o meno di un rischio di confusione.

40      In secondo luogo, sebbene al punto 35 della decisione impugnata la commissione di ricorso abbia confermato la decisione della divisione di annullamento in merito all’elevato grado di notorietà del marchio anteriore, in seguito la commissione di ricorso non avrebbe tenuto conto di tale notorietà per valutare il carattere distintivo del marchio anteriore e non avrebbe confrontato quest’ultimo con il marchio contestato.

41      Inoltre, concludendo al punto 35 della decisione impugnata, relativo alla valutazione delle prove della notorietà del marchio anteriore, che da alcuni studi è risultato anche che la parola «kinder» era spontaneamente associata ai prodotti dolciari del marchio KINDER, la commissione di ricorso avrebbe indebitamente limitato la gamma di prodotti ai quali la notorietà del marchio KINDER è associata. Infatti, una corretta valutazione avrebbe dovuto far giungere alla conclusione che il marchio KINDER risulta associato non soltanto ai dolci, ma anche al cioccolato, alle uova di cioccolato, alle merendine (incluse le merendine a base di latte) e alle barrette di cioccolato.

42      Infine, contrariamente alle affermazioni della commissione di ricorso, la notorietà di un marchio dovrebbe essere tenuta in considerazione per valutare la somiglianza tra due segni. A tale proposito, la ricorrente ricorda la giurisprudenza secondo la quale i marchi che hanno un elevato carattere distintivo, intrinsecamente ovvero a motivo della loro notorietà sul mercato, godono di una tutela più ampia rispetto ai marchi il cui carattere distintivo è inferiore. Sebbene tale giurisprudenza abbia ad oggetto casi di somiglianza rientranti nell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, resta il fatto che la notorietà, in quanto fattore rilevante del caso di specie, dovrebbe parimenti essere presa in considerazione nella valutazione della somiglianza tra due segni effettuata nell’ambito dell’art. 8, n. 5, dello stesso regolamento. La ricorrente fa valere, al riguardo, che l’esistenza di un legame tra la diffusione della notorietà e la somiglianza dei marchi è riconosciuta dal precedente diritto dei marchi del Benelux nel senso che quanto più un marchio è forte o quanto più esso è rinomato, tanto più deve essere facilmente ammessa l’esistenza di un’associazione o di una somiglianza.

43      In secondo luogo, anche se i prodotti contrassegnati dal marchio contestato e quelli contrassegnati dai marchi anteriori non sono identici e non rientrano nella stessa classe, sarebbe pur vero che i prodotti in questione sono notevolmente simili. Infatti, poiché, nella mente dei consumatori, i prodotti della famiglia dei marchi contenenti il termine «kinder» sarebbero fortemente associati al latte e ai prodotti derivati dal latte in generale, l’uso del segno TiMi KiNDERJOGHURT abbinato a prodotti a base di yogurt potrebbe generare, nella mente dei consumatori, una forte associazione tra i prodotti appartenenti alla detta famiglia di marchi e i prodotti contrassegnati dal marchio contestato.

44      In terzo luogo, la ricorrente critica il fatto che, nella decisione impugnata, la commissione di ricorso non abbia tenuto conto del fatto che essa è proprietaria di una grande famiglia di marchi che contengono o che sono composti dall’elemento «kinder» associato a termini o simboli distintivi o descrittivi.

45      Ebbene, l’esistenza di una medesima serie o famiglia di marchi costituirebbe un fattore rilevante ai fini della valutazione dell’esistenza di un rischio di confusione. Infatti, un rischio di confusione potrebbe derivare dalla possibilità di associazione tra il marchio contestato e i marchi anteriori appartenenti alla serie, qualora il marchio contestato presenti con questi ultimi somiglianze tali da indurre i consumatori a credere che esso faccia parte della stessa serie e, pertanto, che i prodotti da esso contrassegnati abbiano la stessa origine commerciale di quelli protetti dal marchio anteriore ovvero un’origine imparentata. Un siffatto rischio potrebbe esistere anche qualora, come nel caso di specie, il confronto tra il marchio contestato e i marchi anteriori, considerati ciascuno isolatamente, non consentisse di dimostrare l’esistenza di un rischio di confusione diretta.

46      Nella fattispecie, non essendo mai stato contestato dalla Tirol Milch reg.Gen.mbH Innsbruck, né dalla commissione di ricorso, che l’elemento «kinder» rappresenta l’elemento fondamentale di una famiglia di marchi e che tutti i marchi che compongono tale famiglia sono ampiamente utilizzati sul mercato e sarebbero percepiti dai consumatori come una famiglia di marchi, risulterebbe evidente che il marchio contestato sarebbe immediatamente percepito come un altro marchio della famiglia o della serie, per il fatto di contenere anch’esso l’elemento «kinder». Quindi, il rischio di confusione, incluso il rischio di associazione ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, diventerebbe una certezza.

47      In quarto e ultimo luogo, la ricorrente ritiene che la valutazione compiuta dalla commissione di ricorso ai punti 36‑44 della decisione impugnata e secondo la quale i due segni non sono simili sarebbe incoerente ed erronea. Essa adduce, a tal riguardo, i seguenti tre motivi.

48      In primo luogo, la commissione di ricorso non avrebbe tenuto conto della giurisprudenza secondo la quale il grado di somiglianza ai fini del confronto dei segni ai sensi dell’art. 8, n. 5, del regolamento n. 40/94 non è uguale a quello richiesto dall’art. 8, n. 1, lett. b), dello stesso regolamento. Infatti, contrariamente alla seconda disposizione, la prima non richiederebbe che la somiglianza dei segni sia idonea a provocare un rischio di confusione.

49      In secondo luogo, anziché valutare la somiglianza tra i segni in funzione dell’impressione generale data dagli stessi, la commissione di ricorso l’avrebbe valutata in seguito a una «profonda disamina» del marchio contestato.

50      In terzo luogo, la constatazione della commissione di ricorso, secondo cui l’elemento «timi» è l’elemento dominante del marchio contestato, sarebbe manifestamente erronea. Infatti, da un lato, tale elemento è stampato in bianco su uno sfondo più scuro, il che lo renderebbe «meno leggibile immediatamente» rispetto all’ipotesi in cui fosse stampato in nero su uno sfondo bianco e, dall’altro, la sua dimensione rappresenterebbe soltanto una piccola parte dell’insieme del marchio. Al contrario, l’elemento dominante del marchio sarebbe l’elemento «kinder». Infatti, da un lato, l’elemento «kinderjoghurt» sarebbe stampato in nero e occuperebbe uno spazio molto più ampio rispetto all’elemento «timi». Dall’altro, l’elemento «joghurt» in quanto termine descrittivo dovrebbe essere considerato come elemento trascurabile, ovvero come evidenziante, di fatto, la somiglianza con la famiglia di marchi KINDER. D’altronde, la constatazione della commissione di ricorso al punto 41 della decisione impugnata, secondo la quale l’elemento «kinder» non spicca o non si presenta come elemento indipendente ed è unito all’elemento «joghurt», sarebbe parimenti erronea. Infatti, secondo la giurisprudenza, il fatto che un elemento distintivo sia unito a un elemento descrittivo non escluderebbe la somiglianza dell’elemento distintivo. Da ultimo, anche supponendo che l’elemento «timi» sia parimenti rilevante, la commissione di ricorso non avrebbe potuto trascurare completamente l’elemento «kinder» in sede di confronto dei due segni. Al riguardo, la ricorrente ricorda che, in un caso particolare, un marchio anteriore, utilizzato da un terzo nell’ambito di un segno composto contenente la denominazione dell’impresa di tale terzo, conserva una posizione distintiva autonoma nel segno composto, pur senza costituirne l’elemento dominante. In un’ipotesi siffatta, l’impressione globale prodotta dal segno composto potrebbe indurre il pubblico a ritenere che i prodotti o servizi in questione provengano, quantomeno, da imprese economicamente collegate, nel qual caso dovrebbe ammettersi l’esistenza di un rischio di confusione.

51      Da quanto precede la ricorrente trae la conclusione, anzitutto, che esiste un elevato rischio di pregiudizio ai sensi dell’art. 8, n. 5, del regolamento n. 40/94, consistente nella lesione arrecata al carattere distintivo e alla notorietà del marchio denominativo KINDER, successivamente, che la Tirol Milch reg.Gen.mbH Innsbruck trae indebitamente vantaggio da tale carattere distintivo e da tale notorietà, e, infine, che esiste anche un elevato rischio di confusione ai sensi dell’art. 8, n. 1, lett. b), dello stesso regolamento, con riferimento alla somiglianza dei marchi e dei prodotti nonché tenuto conto della notorietà del marchio KINDER e della famiglia di marchi della ricorrente.

52      L’UAMI contesta gli argomenti della ricorrente.

 Giudizio del Tribunale

53      Si deve rilevare, anzitutto, che l’esistenza di una somiglianza tra il marchio anteriore e il marchio contestato costituisce una condizione di applicazione comune all’art. 8, n. 1, lett. b), e all’art. 8, n. 5, del regolamento n. 40/94, ai quali rinvia l’art. 52, n. 1, lett. a), dello stesso regolamento. Per quanto attiene alla valutazione di tale condizione, emerge dalla giurisprudenza relativa all’interpretazione dell’art. 5, n. 2, della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU L 40, pag. 1), il cui contenuto normativo, in sostanza, è identico a quello dell’art. 8, n. 5, del regolamento n. 40/94, che essa presuppone, in particolare, l’esistenza di elementi di analogia visiva, uditiva o concettuale (v. sentenza della Corte 23 ottobre 2003, causa C‑408/01, Adidas-Salomon e Adidas Benelux, Racc. pag. I‑12537, punto 28 e giurisprudenza ivi citata).

54      Inoltre, emerge ancora dalla giurisprudenza della Corte relativa all’interpretazione dell’art. 5, n. 2, della direttiva 89/104, che, per soddisfare la condizione relativa alla somiglianza, non è necessario dimostrare l’esistenza, nel pubblico di riferimento, di un rischio di confusione tra il marchio anteriore che gode di notorietà e il marchio contestato. È sufficiente che il grado di somiglianza tra tali marchi abbia l’effetto di indurre il pubblico di riferimento a stabilire un nesso tra essi. L’esistenza di un siffatto nesso deve essere oggetto di valutazione globale, in considerazione di tutti i fattori pertinenti del caso di specie. Per quanto attiene alla somiglianza visiva, fonetica o concettuale dei marchi di cui trattasi, il confronto dei segni deve essere fondato sull’impressione globale prodotta dai marchi, in considerazione, in particolare, degli elementi distintivi e dominanti dei marchi medesimi [v., per analogia, sentenza del Tribunale 16 aprile 2008, causa T‑181/05, Citigroup e Citibank/UAMI – Citi (CITI), Racc. pag. II‑669, punti 64 e 65 nonché giurisprudenza ivi citata].

55      Nella fattispecie, benché l’elemento «kinder» sia presente in entrambi i segni, esistono, come giustamente rilevato dalla commissione di ricorso al punto 42 della decisione impugnata, alcune caratteristiche visive e fonetiche che escludono che i segni siano percepiti come simili.

56      In primo luogo, l’elemento «kinder» costituisce un tutt’uno con l’elemento «joghurt», con la conseguenza che essi sono privi di un’esistenza autonoma specifica. Infatti, da un lato, non soltanto gli elementi «kinder» e «joghurt» hanno la stessa importanza dal punto di vista visivo, ma le irregolarità stilizzate del carattere di scrittura danzante e ondulante dell’elemento «kinderjoghurt» producono un’unità armoniosa nella quale i due elementi costitutivi divengono a stento percettibili. Tali particolarità dimostrano che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, l’elemento «kinder» non è semplicemente unito all’elemento «joghurt». Dall’altro, il carattere di scrittura stilizzato dell’elemento «kinder» utilizzato nel marchio contestato fa sì che quest’ultimo non assomigli dal punto di vista visivo al marchio denominativo anteriore sul quale si fonda la domanda di nullità, che è invece rappresentato da un carattere di scrittura di tipo classico.

57      In secondo luogo, è giocoforza constatare che l’elemento «kinder» nel marchio contestato fa semplicemente parte dell’elemento «kinderjoghurt», il quale riveste un’importanza secondaria rispetto all’elemento «timi». A tale riguardo, occorre respingere gli argomenti dedotti dalla ricorrente diretti a provare che l’elemento «timi» non sarebbe l’elemento dominante a causa delle sue piccole dimensioni e del suo carattere asseritamente meno leggibile rispetto all’elemento «kinderjoghurt». Infatti, da una parte, da un punto di vista visivo, tale elemento è il punto convergente del segno in quanto esso è posto in evidenza al centro e sopra l’elemento «kinderjoghurt», di modo che esso è il primo ad attirare lo sguardo. Tale posizione centrale compensa ampiamente il fatto che l’elemento «timi» è stampato in un carattere di scrittura più piccolo rispetto a quello utilizzato per l’elemento «kinderjoghurt» nonché il fatto che la stampa in bianco su un fondo nero potrebbe eventualmente rendere l’elemento «timi» meno leggibile rispetto all’elemento «kinderjoghurt» posto al di sotto del segno. Dall’altra, da un punto di vista fonetico, è giocoforza constatare che l’elemento «timi» è quello che viene pronunciato per primo, di modo che i consumatori gli attribuiscono maggiore importanza. L’elemento «kinder» è quindi eclissato dall’elemento dominante «timi», che colpisce senza alcun dubbio i consumatori.

58      In terzo luogo, contrariamente alla sua posizione nel marchio denominativo anteriore sul quale si fonda la domanda di nullità, nel marchio contestato l’elemento «kinder» si trova tra due altri elementi, che sono, da un lato, l’elemento «timi» e, dall’altro, l’elemento «joghurt». Una siffatta differenza attenua sostanzialmente non soltanto la somiglianza fonetica che può esistere tra i due segni per via dell’elemento che condividono, ma anche l’eventuale somiglianza visiva dovuta a tale elemento comune. Pertanto, l’elemento «kinder» rappresenta un elemento trascurabile nell’impressione globale prodotta dal marchio in questione.

59      Da quanto precede consegue che giustamente la commissione di ricorso ha concluso che i segni di cui trattasi non erano simili.

60      Una siffatta conclusione non è rimessa in discussione dagli altri argomenti dedotti dalla ricorrente.

61      Infatti, in primo luogo, per quanto riguarda tanto l’argomento relativo alla notorietà del marchio anteriore quanto l’argomento relativo alla somiglianza esistente tra i prodotti dei marchi controversi, è giocoforza constatare che, benché i detti elementi possano essere presi in considerazione per la valutazione di un rischio di confusione, resta il fatto che essi sono del tutto irrilevanti ai fini della valutazione della somiglianza esistente tra i segni.

62      In ogni caso, da un lato, per quanto attiene all’argomento relativo alla notorietà del marchio anteriore, si deve rilevare che, nella fattispecie, l’assenza di somiglianza tra i segni in questione, constatata supra ai punti 56-58, è evidente a tal punto che la notorietà del marchio KINDER, indipendentemente dal fatto che esso sia o meno contestato, non può rimettere in discussione tale assenza di somiglianza. Dall’altro, per quanto attiene all’argomento relativo alla somiglianza tra i prodotti dei marchi controversi, si deve rilevare anzitutto che, mentre i prodotti del marchio contestato riguardano tutti lo yogurt e rientrano tutti nella classe 29, i prodotti dei 36 diritti anteriori fatti valere a sostegno della domanda di nullità sono essenzialmente prodotti di cacao e di cioccolato nonché dolciumi, prodotti di pasticceria e di confetteria e rientrano tutti nella classe 30. D’altronde, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, il fatto che alcuni di questi ultimi prodotti possano contenere una certa quantità di latte non li rende simili al latte o ai prodotti derivati dal latte in generale, né, a fortiori, ai prodotti allo yogurt. Ne deriva che l’assenza di somiglianza tra i segni controversi certamente non è compensata dall’esistenza di una somiglianza qualunque tra i prodotti dei marchi controversi.

63      In secondo luogo, per quanto attiene all’argomento relativo all’esistenza di una famiglia o serie di marchi, è opportuno ricordare che la giurisprudenza ha riconosciuto che, in presenza di una famiglia o serie di marchi, il rischio di confusione, che deve essere valutato nell’ambito dell’art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento n. 40/94, aumenta per il fatto che i consumatori possono ingannarsi circa la provenienza o l’origine dei prodotti o servizi contrassegnati dal marchio contestato ritenendo, erroneamente, che questo appartenga a tale famiglia o serie di marchi (v., per analogia, sentenza della Corte 13 settembre 2007, causa C‑234/06 P, Il Ponte Finanziaria/UAMI, Racc. pag. I‑7333, punto 63). Tuttavia, come emerge da tale giurisprudenza, l’esistenza di una famiglia o serie di marchi non è rilevante nell’ambito della valutazione in merito a se sia o meno soddisfatta la condizione di applicazione comune all’art. 8, n. 1, lett. b), e all’art. 8, n. 5, del regolamento n. 40/94, vale a dire l’esistenza di una somiglianza tra il marchio anteriore e il marchio contestato.

64      In ogni caso, anche supponendo che l’esistenza di una famiglia o serie di marchi sia un elemento rilevante ai fini della valutazione dell’esistenza di una siffatta somiglianza, il rischio che i consumatori possano effettivamente ritenere, nel caso di specie, che il marchio contestato appartenga a tale famiglia o serie di marchi è molto debole, se non addirittura inesistente, per via della rilevanza delle dissomiglianze esistenti tra il marchio contestato e i segni elencati al punto 5 del ricorso.

65      Infatti, al riguardo occorre rilevare, in particolare, i tre seguenti aspetti. In primo luogo, contrariamente ai segni elencati al punto 5 del ricorso, l’elemento «kinderjoghurt» del marchio contestato si scrive in una sola parola, senza spazio tra l’elemento «kinder» e l’elemento «joghurt». In secondo luogo, contrariamente ai segni elencati al punto 5 del ricorso, il marchio contestato è caratterizzato da irregolarità stilizzate dell’elemento «kinderjoghurt», come evidenziate supra al punto 56. In terzo luogo, contrariamente ai segni elencati al punto 5 del ricorso, il marchio contestato contiene l’elemento «timi» che, a causa del suo carattere dominante, offusca l’elemento «kinderjoghurt» e, a fortiori, il relativo elemento «kinder».

66      Di conseguenza, l’argomento relativo all’esistenza di una famiglia o serie di marchi deve essere respinto.

67      In terzo luogo, per quanto attiene all’argomento secondo cui la commissione di ricorso non avrebbe preso in considerazione il fatto che, nell’ambito dell’art. 8, n. 5, del regolamento n. 40/94, la valutazione del grado di somiglianza non necessita di accertamento relativo all’esistenza di un rischio di confusione, è giocoforza constatare che gli elementi fatti valere dalla commissione di ricorso, e che il Tribunale ha fatto suoi supra ai punti 56-58, dimostrano l’assenza di somiglianza a prescindere dall’eventuale idoneità del grado di somiglianza a creare un rischio di confusione. L’argomento della ricorrente deve dunque essere respinto in quanto inoperante.

68      In quarto e ultimo luogo, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente, la commissione di ricorso non ha commesso un errore procedendo a una «profonda disamina» del marchio contestato. Infatti, nell’ambito della valutazione del grado di somiglianza, si deve considerare l’impressione globale prodotta dalla combinazione degli elementi che compongono tali marchi, il che tuttavia non è incompatibile con un esame ulteriore di tali elementi. Nella fattispecie, dopo aver constatato al punto 43 della decisione impugnata che le differenze tra i segni compensavano l’unico elemento di somiglianza, la commissione di ricorso ha sottolineato che, se confrontati nel loro insieme, le impressioni globali prodotte dai segni in questione erano differenti. Poiché tale «profonda disamina» non è stata effettuata a scapito della presa in considerazione dell’impressione globale prodotta dalla combinazione degli elementi che compongono i marchi controversi, l’argomento della ricorrente deve essere respinto in quanto infondato.

69      Da tutte le suesposte considerazioni deriva che il secondo motivo deve essere respinto in quanto infondato.

70      Alla luce di quanto precede, il ricorso deve essere quindi interamente respinto.

 Sulle spese

71      Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché l’UAMI ha concluso in tal senso, la ricorrente, rimasta soccombente, deve essere condannata alle spese.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Seconda Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      La Ferrero SpA è condannata alle spese.

Pelikánová
 Jürimäe
 Soldevila Fragoso
 

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 14 ottobre 2009.

Firme

 


Autore: redazione - fonte UAMI


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